Corte costituzionale Sez. I sentenza n. 348 del 24 ottobre 2007

(3 massime)

(massima n. 1)

Lo scrutinio di costituzionalità sulla norme CEDU non può limitarsi alla possibile lesione dei principi e dei diritti fondamentali o dei principi supremi, ma si estende ad ogni profilo di contrasto tra le "norme interposte" e quelle costituzionali. Nell'ipotesi di una norma della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo che risulti in contrasto - insanabile in via interpretativa - con una norma costituzionale, la Corte ha il dovere di dichiarare l'inidoneità della stessa ad integrare il parametro costituzionale provvedendo, nei modi rituali, ad espungerla dall'ordinamento giuridico italiano.

(massima n. 2)

Sebbene, da un lato, l'art. 42 Cost. non garantisca all'espropriato il diritto ad un'indennità esattamente commisurata al valore venale del bene e, dall'altro lato, l'indennità stessa non possa essere (in negativo) meramente simbolica od irrisoria, ma debba essere (in positivo) congrua, seria, adeguata, la mediazione tra l'interesse generale sotteso all'espropriazione e l'interesse privato, espresso dalla proprietà privata, non può fissarsi in un indefettibile e rigido criterio quantitativo, ma risente sia del contesto complessivo in cui storicamente si colloca, sia dello specifico che connota il procedimento espropriativo, non essendo il legislatore vincolato ad individuare un unico criterio di determinazione dell'indennità, valido in ogni fattispecie espropriativa. Questa essenziale relatività dei valori in giuoco impone una verifica settoriale e legata al contesto di riferimento nel momento in cui si pone il raffronto tra il risultato del bilanciamento operato dal legislatore con la scelta di un determinato criterio «mediato» ed il canone di adeguatezza dell'indennità. Un'indennità «congrua, seria ed adeguata» non può adottare il valore di mercato del bene come mero punto di partenza per calcoli successivi che si avvalgono di elementi del tutto sganciati da tale dato, concepiti in modo tale da lasciare alle spalle la valutazione iniziale, per attingere risultati marcatamente lontani da essa. Sono, pertanto, costituzionalmente illegittimi l'art. 5-bis, commi 1 e 2, D.L. 11 luglio 1992 n. 333, conv., con mod., dalla L. 8 agosto 1992 n. 359, e l'art. 37, commi 1 e 2, D.P.R. 8 giugno 2001 n. 327, considerato che gli stessi (da un lato, facendo riferimento al reddito dominicale, il quale, pur mantenendo un sia pur flebile legame con il valore di mercato, produce il risultato pratico di dimezzare, il più delle volte, l'indennità, e, dall'altro lato, prevedendo un'ulteriore detrazione del 40 per cento, che è priva di qualsiasi riferimento, non puramente aritmetico, al valore del bene, ma costituente effetto di un comportamento dell'espropriato, essendo esclusa in caso di cessione volontaria) prevedono un'indennità oscillante - nella pratica - tra il 50 ed il 30 per cento del valore di mercato del bene, la quale è ulteriormente falcidiata dall'imposizione fiscale, che si attesta su valori di circa il 20 per cento.

(massima n. 3)

Va dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 5-bis, 1° e 2° comma, D.L. 11 luglio 1992, n. 333, convertito in L. 8 agosto 1992, n. 359, in quanto, prevedendo, ai fini della determinazione dell'indennità di esproprio dei suoli edificabili, il criterio di calcolo fondato sulla media tra il valore dei beni e il reddito dominicale rivalutato, si pone in contrasto con gli obblighi internazionali sanciti dall'art. 1 del Protocollo addizionale alla CEDU e per ciò stesso viola l'art. 117, 1° comma, Cost.

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