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Vilipendio della Repubblica: quando si configura?

Vilipendio della Repubblica: quando si configura?
Ai fini della configurabilità del reato di "vilipendio della Repubblica" è sufficiente la coscienza e volontà di esprimere offensivi e aggressivi giudizi nei confronti delle istituzioni tutelate, con l'intenzione di manifestare pubblicamente il proprio disprezzo per le stesse.

La Corte di Cassazione penale, con la sentenza n. 1903 del 17 gennaio 2018, si è occupata di un interessante caso di vilipendio alla bandiera nazionale italiana, di cui all’art. 292 c.p.

Il caso sottoposto all’esame della Cassazione ha avuto come protagonista tre soggetti, condannati dal Tribunale di Bolzano per il reato di cui agli artt. 110 e 292 c.p., per avere, in concorso fra loro, “vilipendiato la bandiera nazionale dell'Italia”.

Nello specifico, i tre erano stati accusati di tali reati per aver “offeso la bandiera italiana con espressioni ingiuriose producendo e diffondendo circa ottocento manifesti” che raffiguravano il simbolo di un partito politico e “una scopa che spazzava via la bandiera nazionale dell'Italia, degradandola a ‘Dreck bzw. Schmutz’ (trad. ‘sudiciume o sporcizia’), per far posto alla bandiera sudtirolese”.

La sentenza era stata, tuttavia, ribaltata in secondo grado, in quanto la Corte d’appello riteneva che il fatto in questione non costituisse reato.

La Corte d’appello riteneva, in particolare, che, con la condotta contestata, gli imputati si fossero limitati ad esercitare il loro “diritto di libertà di opinione politica”.

Ritenendo la decisione ingiusta, il Procuratore generale presso la Corte d’appello di Trento aveva deciso di rivolgersi alla Corte di Cassazione, nella speranza di ottenere l’annullamento della sentenza di assoluzione.

Secondo il ricorrente, infatti, “il ‘fare piazza pulita con una scopa della bandiera italiana’ equivale a paragonare la stessa allo sporco raccolto con la scopa e a denigrarla, per l'effetto, quale emblema dello Stato italiano”.

La Corte di Cassazione riteneva, in effetti, di dover aderire alle considerazioni svolte dal Procuratore, accogliendo il relativo ricorso, in quanto fondato.

Osservava la Cassazione, infatti, che la giurisprudenza di legittimità “ha puntualizzato da tempo che il prestigio dello Stato, dei suoi emblemi e delle sue istituzioni rientra tra i beni costituzionalmente garantiti, per cui si pone come limite ad altri diritti costituzionalmente protetti”.

Secondo la Cassazione, inoltre, l’elemento soggettivo del delitto di “vilipendio della Repubblica” consiste nel “dolo generico”, con la conseguenza che, ai fini della configurabilità del reato, è sufficiente la “coscienza e volontà di esprimere offensivi e aggressivi giudizi nei confronti delle istituzioni tutelate”, con l’intenzione di manifestare pubblicamente il proprio disprezzo delle stesse.

Precisava la Cassazione, infine, come il reato di cui all’art. 292 c.p. non tutela la bandiera nazionale “come oggetto in sé”, bensì “unicamente per il suo valore simbolico, suscettibile, per sua natura, di essere leso anche da semplici manifestazioni verbali di disprezzo, la cui penale rilevanza, ai fini della configurabilità del reato, richiede quindi soltanto la percepibilità da parte di altri soggetti”, essendo del tutto indifferente la presenza o meno della bandiera quale “oggetto”.

Ebbene, nel caso di specie, la Cassazione riteneva che la Corte d’appello non avesse adeguatamente valutato i fatti di causa e che la stessa non avesse nemmeno opportunamente motivato la propria decisione, omettendo, peraltro, di verificare la “coscienza e volontà dell'azione”.

Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione accoglieva il ricorso proposto dal Procuratore Generale, annullando la sentenza impugnata e rinviando la causa alla Corte d’appello, affinchè la medesima procedesse ad un nuovo giudizio, “in piena autonomia di apprezzamento, ma con motivazione immune da vizi logici e giuridici”.


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