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Utilizzo del badge per controllare i lavoratori: deve essere concordato con le rappresentanze sindacali o autorizzato dall'ispettorato del lavoro

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Utilizzo del badge per controllare i lavoratori: deve essere concordato con le rappresentanze sindacali o autorizzato dall'ispettorato del lavoro
Secondo la Cassazione, il badge non è un semplice "rilevatore di presenza" ma uno "strumento di controllo a distanza" dei lavoratori, in quanto lo stesso consente di comparare immediatamente i dati di tutti i lavoratori, realizzando un controllo continuo, permanente e globale.
Quanto può dirsi legittimo l’uso del badge all’interno di un’azienda?

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 17531 del 14 luglio 2017, si è occupata proprio di questa questione, fornendo alcune interessanti precisazioni sul punto.

Nel caso esaminato dalla Cassazione, il Tribunale di Napoli aveva dichiarato l’illegittimità del licenziamento disciplinare che era stato intimato da una società ad un lavoratore, con conseguente condanna della datrice di lavoro alla reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, nonché al risarcimento del danno, ai sensi dell’art. 18 della legge n. 300 del 1970.

La pronuncia veniva confermata in secondo grado, con la conseguenza che la società datrice di lavoro decideva di rivolgersi alla Corte di Cassazione, nella speranza di ottenere l’annullamento della sentenza sfavorevole.

Osservava la ricorrente, in particolare, che i giudici dei precedenti gradi di giudizio avevano errato nel dichiarare l’illegittimità del licenziamento, dal momento che l’uso del sistema “badge” per controllare a distanza l’attività dei lavoratori non poteva considerarsi illegittimo.

Secondo la ricorrente, in particolare, il “badge” rappresentava una “mera evoluzione del cartellino marcatempo”.

La Corte di Cassazione, tuttavia, non riteneva di poter dar ragione alla società datrice di lavoro, rigettando il relativo ricorso, in quanto infondato.

Secondo la Cassazione, infatti, pur essendo indubbio che “il controllo degli orari di ingresso e di uscita dei lavoratori non abbia nulla a che vedere con il controllo a distanza dell’attività di costoro”, doveva considerarsi che, nel caso di specie, era stato accertato l’utilizzazione del “badge” non era stata concordata con le rappresentanze sindacali e non era nemmeno stata autorizzata dall’ispettorato del lavoro, con la conseguenza che la stessa doveva considerarsi illegittima, ai sensi dell’art. 4 della legge n. 300 del 1970 (controllo a distanza dei lavoratori).

Evidenziava la Cassazione, in particolare, che, come precisato dalla Corte d’appello, il badge in uso presso la società ricorrente, consentiva “la trasmissione, mediante sistema on line, alla centrale operativa di Roma di ‘tutti i dati acquisiti tramite la lettura magnetica del badge del singolo lavoratore, riguardanti non solo l’orario di ingresso e di uscita, ma anche le sospensioni, i permessi, le pause’, così realizzando ‘in concreto, un controllo costante e a distanza circa l’osservanza da parte degli stessi’ (dipendenti) ‘del loro obbligo di diligenza, sotto il profilo del rispetto dell’orario di lavoro’, rientrante nella fattispecie prevista dal secondo comma dell’art. 4 L. n.300/1970”.

In sostanza, secondo la Cassazione, il badge in questione era uno “strumento di controllo a distanza” e non un semplice “rilevatore di presenza, dal momento che lo stesso consentiva “di comparare immediatamente i dati di tutti i dipendenti, realizzando così un controllo continuo, permanente e globale”.

Pertanto, l’utilizzo di tale strumento doveva essere concordato con le rappresentanze sindacali o autorizzato dall’ispettorato del lavoro, a tutela dei diritti dei lavoratori.

Ciò considerato, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso proposto dalla società datrice di lavoro, confermando integralmente la sentenza impugnata e condannando la ricorrente anche al pagamento delle spese processuali.


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