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Scuola, niente pasto completo per i docenti in servizio durante la mensa scolastica, ecco perché: nuova sentenza

Lavoro - -
Scuola, niente pasto completo per i docenti in servizio durante la mensa scolastica, ecco perché: nuova sentenza
I docenti che prestano servizio durante l’orario della refezione scolastica non hanno diritto a un pasto completo. Scopriamo insieme le motivazioni addotte dalla Corte di Cassazione
I docenti che prestano servizio durante l’orario della refezione scolastica non hanno diritto a un pasto completo (primo, secondo, contorno, frutta e pane).
A stabilirlo è la Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con l’ordinanza n. 2844 pubblicata il 17 luglio 2025.

La vicenda
Un gruppo di insegnanti aveva fatto ricorso contro il Ministero dell’Istruzione, un Istituto Comprensivo Statale e un Comune, chiedendo il riconoscimento del diritto alla somministrazione di un pasto completo gratuito, ritenendo insufficiente il cosiddetto "mini pasto" .
La Corte d’Appello di Venezia, con la sentenza n. 415/2020, aveva già respinto le loro pretese, riformando una precedente decisione favorevole del Tribunale.
La Cassazione ha confermato questa linea, dichiarando inammissibile il ricorso presentato dai docenti.

La disciplina relativa ai buoni pasto - si rammenta - è contemplata dal regolamento del Ministero dello Sviluppo Economico n. 122 del 7 giugno 2017. La normativa richiamata definisce il buono pasto come "un servizio sostitutivo di mensa di importo pari al valore facciale del buono", utilizzabile "esclusivamente dai prestatori di lavoro subordinato, a tempo pieno o parziale, anche qualora l’orario di lavoro non preveda una pausa per il pasto, nonché dai soggetti che hanno instaurato con il cliente un rapporto di collaborazione anche non subordinato".
La normativa deve, inoltre, essere letta congiuntamente con gli accordi derivanti dalla contrattazione collettiva nazionale che, generalmente, disciplinano l’erogazione dei buoni pasto nel proprio settore di riferimento. Il fine dei buoni pasto è quello di garantire il benessere fisico - necessario per la prosecuzione dell’attività lavorativa - al lavoratore, obbligato a rendere la prestazione in un orario comprensivo della fisiologica pausa pranzo e in un luogo, la sede di lavoro, diverso dalla propria abitazione.

Le argomentazioni della Cassazione
La Suprema Corte ha innanzitutto precisato che il servizio mensa gratuito, previsto dall’art. 21 del CCNL Scuola 2006-2009, ha natura assistenziale, non retributiva.

Ciò significa che:
  • non si tratta di un "benefit economico" legato alla prestazione lavorativa;
  • serve solo a garantire il benessere psico-fisico dei docenti e del personale ATA;
  • non comporta l’obbligo di fornire un “pasto completo” come definito dai ricorrenti.

Nel primo motivo di ricorso i docenti sostenevano fosse “pacifico” che la mensa dovesse garantire un pasto completo, lamentando la mancanza della seconda portata. Tuttavia, né in Tribunale né in Appello era stato dimostrato che il “mini pasto” fornito fosse inadeguato rispetto alla funzione assistenziale del servizio. La Cassazione ha dichiarato il motivo inammissibile, in quanto mirava a una rivalutazione dei fatti, che è compito esclusivo del giudice di merito.

Il secondo motivo di ricorso invocava la violazione delle Linee di indirizzo nazionale per la ristorazione scolastica (2010), approvate in sede di Conferenza Stato-Regioni, che raccomandano la presenza del secondo piatto.

Ebbene, anche in questo caso, la Cassazione ha respinto il motivo chiarendo i seguenti punti:
  • le Linee guida non hanno forza normativa;
  • sono atti amministrativi o di indirizzo politico, privi di efficacia giuridica vincolante;
  • non possono essere usate come base per una censura di legittimità in Cassazione.

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