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Scarso rendimento a lavoro

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Scarso rendimento a lavoro
Il datore di lavoro deve provare lo scarso rendimento posto alla base del licenziamento del lavoratore.
La corte di cassazione, con la sentenza n. 18317 del 19 settembre 2016, si è pronunciata in ordine ad un interessante caso di licenziamento per giusta causa del lavoratore.

Nel caso esaminato dalla Cassazione, il Tribunale di Palermo aveva dichiarato l’illegittimità del licenziamento disposto da una società nei confronti di un lavoratore, condannando la stessa a reintegrare il dipendente nel posto di lavoro, o, in alternativa, a versargli un'indennità pari a cinque mensilità della retribuzione.

La Corte d'appello di Palermo, confermava l’illegittimità del licenziamento, condannando la società “a reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro ed a corrispondergli le retribuzioni dalla data del recesso sino a quella della reintegra”.

Secondo la Corte d’appello, in particolare, non era ravvisabile, nel caso di specie, “l'ipotesi di scarso rendimento” contestata al dipendente e posta alla base del licenziamento.

Giunti dinanzi la Corte di Cassazione, la società datrice di lavoro denunciava la violazione dell’art. 3 della legge n. 604 del 1966, “con riferimento alla nozione di scarso rendimento”.

Secondo la ricorrente, “anche nel caso in cui non sia prevista una clausola che disponga l'obbligo del raggiungimento di un determinato risultato, sussiste l'ipotesi dello scarso rendimento qualora la prestazione offerta dal lavoratore non raggiunga il livello minimo di intensità necessario per il suo proficuo inserimento nell'organizzazione produttiva, in modo da escludere l'interesse del datore di lavoro alla prosecuzione dell'attività lavorativa e rendere giustificato il licenziamento”.

La Corte di Cassazione, tuttavia, non riteneva di poter aderire alle argomentazioni svolte dalla ricorrente ed osservava che “nel licenziamento per scarso rendimento del lavoratore, rientrante nel tipo di licenziamento per giustificato motivo soggettivo, il datare di lavoro, a cui spetta l'onere della prova, non può limitarsi a provare solo il mancato raggiungimento del risultato atteso l'oggettiva sua esigibilità, ma deve anche provare che la causa di esso derivi da colpevole e negligente inadempimento degli obblighi contrattuali da parte del lavoratore nell'espletamento della sua normale prestazione”.

Inoltre, osserva la Corte, il licenziamento per scarso rendimento deve ritenersi legittimoqualora sia risultato provato, sulla scorta della valutazione complessiva dell'attività resa dal lavoratore stesso ed in base agli elementi dimostrati dal datore di lavoro, una evidente violazione della diligente collaborazione dovuta dal dipendente - ed a lui imputabile - in conseguenza dell'enorme sproporzione tra gli obiettivi fissati dai programmi di produzione per il lavoratore e quanto effettivamente realizzato nel periodo di riferimento, avuto riguardo al confronto dei risultanti dati globali riferito ad una media di attività tra i vari dipendenti ed indipendentemente dal conseguimento di una soglia minima di produzione”.

Nel caso di specie, invece, la Corte d’appello aveva rilevato che la società datrice di lavoro, aveva “del tutto omesso di specificare quale fosse lo standard produttivo inizialmente concordato” con il lavoratore, senza documentare o provare, nemmeno, “quale fosse il grado di efficienza dei colleghi dello stesso”. Allo stesso modo, indimostrata risultata l’affermazione secondo cui “l'asserita contrazione delle vendite fosse in alcun modo imputabile alla dedotta grave inottemperanza degli obblighi contrattuali da parte del predetto dipendente”.

Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione riteneva il ricorso privo di ogni fondamento, dal momento che la Corte d’appello aveva “correttamente escluso la sussistenza dei motivi posti alla base del licenziamento”.

La Cassazione, dunque, rigettava il ricorso, condannando la ricorrente al pagamento delle spese processuali.


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