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La pensione può essere sospesa, ecco quando si rischia di perderla e dover restituire tutto: nuovo aggiornamento INPS

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La pensione può essere sospesa, ecco quando si rischia di perderla e dover restituire tutto: nuovo aggiornamento INPS
L’Inps ha recentemente fornito alcuni chiarimenti circa la non cumulabilità del trattamento pensionistico con eventuali ulteriori redditi da lavoro
Di recente sono saltate agli onori della cronaca due diverse vicende accomunate, però, da un comune esito: la perdita del trattamento pensionistico e il conseguente obbligo di restituire le somme percepite a tale titolo nel corso dell’anno.

La prima vicenda riguarda un cittadino altoatesino andato in pensione con Quota 100 che, dopo aver lavorato per un solo giorno come comparsa in un film e aver percepito lo stipendio netto di 77 euro, si è visto sospendere la pensione per i restanti mesi dell’anno, oltre a dover restituire tutte le mensilità già percepite nello stesso anno (circa 19.000 euro totali).

La seconda vicenda, invece, riguarda un cittadino veneto (anch’egli andato in pensione con Quota 100) che, dopo aver percepito circa 320 euro al mese per prestazioni lavorative svolte tra il giugno 2023 e l’ottobre 2023, si è visto sospendere la pensione per i restanti mesi dell’anno, oltre che, come nel caso di cui sopra, chiedere indietro tutte le somme già percepite nel corso del 2023 (circa 12.000 euro totali).

Ciò che è evidente è la sproporzione tra le somme “guadagnate” attraverso le prestazioni di lavoro e quanto, invece, sarebbe stato percepito con la regolare erogazione della pensione.

Sul punto, tuttavia, è arrivata tempestiva la risposta dell’Inps.

Difatti, con una comunicazione pubblicata sul relativo portale il 30.01.2024, l’Istituto precisa che “la normativa vigente stabilisce alcuni casi di incumulabilità tra le pensioni e i redditi da lavoro”.
In particolare, per le pensioni Quota 100, Quota 102 e per le pensioni anticipate flessibili (c.d. Quota 103), “è prevista dal primo giorno di decorrenza della pensione e fino a quando non si maturano i requisiti per la pensione di vecchiaia, la non cumulabilità con i redditi provenienti sia da lavoro dipendente che autonomo”.
A chiusura della comunicazione, viene – altresì – precisato che “in caso di mancato rispetto del regime di non cumulabilità, l’INPS è tenuta a sospendere la pensione e recuperare le mensilità pagate indebitamente”.

L’unica eccezione si pone con riferimento al lavoro autonomo occasionale, purché i ricavi di tale attività non superino i 5.000 euro lordi annui (per il cui computo si rimanda alle circolari Inps del 29 gennaio 2019, n. 11 e del 9 agosto 2019, n. 117).

La normativa in commento è stata sottoposta anche al vaglio della Corte Costituzionale che, con la sentenza n. 234 del 24 novembre 2022, ha riconosciuto come legittima la disposizione di cui all’art. 14, comma 3 del D.L. n. 4/2019 (secondo cui “la pensione di cui al comma 1 non è cumulabile, a far data dal primo giorno di decorrenza della pensione e fino alla maturazione dei requisiti per l'accesso alla pensione di vecchiaia, con i redditi da lavoro dipendente o autonomo, ad eccezione di quelli derivanti da lavoro autonomo occasionale, nel limite di 5.000 euro lordi annui”).

Secondo la Corte, infatti, il Legislatoreha preteso, non irragionevolmente, che il soggetto che sceglie di usufruire di tale trattamento esca dal mercato del lavoro, sia per la sostenibilità del sistema previdenziale, sia per favorire il ricambio generazionale”.

Inoltre, come sottolineato dalla stessa Inps con la comunicazione sopra citata, gli utenti che beneficiano del trattamento pensionistico in commento sono (e devono essere) resi edotti del regime di incumulabilità della pensione con i redditi da lavoro nel momento in cui viene comunicato il provvedimento di liquidazione della pensione.


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