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Pensione anticipata, dal 2026 in pensione a 62 anni senza tagli all'assegno con Quota 41 flessibile: ecco i requisiti

Pensione anticipata, dal 2026 in pensione a 62 anni senza tagli all'assegno con Quota 41 flessibile: ecco i requisiti
Andare in pensione a 62 anni potrebbe diventare realtà nel 2026, ma a condizioni nuove e diverse rispetto al passato. Al posto della vecchia Quota 103, sta prendendo forma una proposta chiamata Quota 41 flessibile. Ecco come funziona questa nuova possibilità
Nel 2026 potremmo dire addio a Quota 103, la misura che finora permetteva di andare in pensione con 62 anni di età e 41 anni di contributi. Una formula che però ha mostrato diversi limiti, soprattutto per via del ricalcolo interamente contributivo dell’assegno, che in molti casi ha portato a pensioni più basse rispetto alle attese. È per questo che il Governo sta valutando una nuova strada: la cosiddetta Quota 41 flessibile, che punta a conservare il diritto all’uscita anticipata, ma rendendolo più sostenibile per le casse pubbliche.
La riforma pensionistica sarà uno dei pilastri della prossima Legge di Bilancio, anche in vista dell’aumento automatico dell’età pensionabile previsto dal 2027, come stabilito dal meccanismo di adeguamento alla speranza di vita introdotto con la Legge n. 335/1995. L’obiettivo è quello di garantire più flessibilità ai lavoratori, evitando allo stesso tempo un’impennata di costi che lo Stato non potrebbe sostenere. Infatti, estendere la pensione anticipata con 41 anni di contributi a tutti i lavoratori costerebbe tra i 4 e i 5 miliardi di euro l’anno, una cifra incompatibile con gli equilibri della finanza pubblica.
È proprio per questo che si sta ragionando su una versione più “soft” della misura, chiamata Quota 41 flessibile, in cui si manterrebbe il requisito dei 41 anni di contributi, ma con paletti sull’età anagrafica e penalizzazioni sull’importo della pensione.
Come funzionerebbe Quota 41 flessibile e a chi spetterebbe
L’attuale Quota 41 è una misura molto selettiva. È riservata solo ad alcune categorie fragili: disoccupati di lunga durata, invalidi civili con almeno il 74% di invalidità, caregiver familiari e chi svolge lavori usuranti o gravosi, come definiti dai decreti attuativi delle leggi n. 232/2016 e n. 205/2017. In questi casi, è possibile accedere alla pensione con 41 anni di contributi versati, a prescindere dall’età, ma solo se si è iniziato a lavorare prima del 1996, quindi con almeno una settimana contributiva versata entro il 31 dicembre 1995, cioè nel sistema retributivo o misto.
Con la nuova Quota 41 flessibile, invece, si allargherebbe la platea dei beneficiari. Secondo quanto trapelato, potrebbero accedervi anche i lavoratori contributivi puri (cioè chi ha iniziato a versare dopo il 1996), ma a una condizione fondamentale: aver compiuto almeno 62 anni di età. In pratica, per chi non rientra nelle categorie protette, l’accesso anticipato con 41 anni di contributi non sarà più automatico, ma subordinato a questo nuovo requisito anagrafico.
È un compromesso che cerca di riequilibrare il diritto alla pensione con la sostenibilità del sistema, dando più spazio a chi ha carriere lunghe, ma senza aprire troppo i rubinetti. Inoltre, a differenza del progetto originario della Lega, non si parla più di un ricalcolo interamente contributivo (che taglia l’assegno anche del 15-20%), ma di un sistema di penalizzazioni più leggere e mirate.
Penalizzazioni, ISEE e nuovi criteri: le vere novità della misura
Una delle differenze principali rispetto alla vecchia Quota 103 riguarda proprio la penalizzazione sull’assegno pensionistico. Nella Quota 103, l’intero importo viene ricalcolato con il metodo contributivo, come previsto dall’art. 1, comma 283 della Legge di Bilancio 2023. Questo meccanismo ha scoraggiato moltissimi lavoratori, perché spesso porta a un assegno notevolmente più basso rispetto a quello calcolato col metodo misto (retributivo + contributivo).
Con Quota 41 flessibile, invece, non ci sarebbe più il ricalcolo totale, ma una riduzione più contenuta, fissata (secondo le prime ipotesi) al 2% per ogni anno di anticipo rispetto all’età pensionabile ordinaria. Un taglio più sopportabile, che potrebbe rendere la misura maggiormente appetibile per chi vuole lasciare il lavoro prima.
Ma la vera novità è un’altra: per la prima volta nel sistema pensionistico italiano, si introdurrebbe un criterio legato all’ISEE. Chi ha un indicatore ISEE inferiore a 35.000 euro annui, infatti, potrebbe essere escluso dalla penalizzazione, ottenendo così una pensione piena nonostante l’uscita anticipata. È una misura che punta a tutelare i redditi più bassi, evitando che il diritto alla pensione anticipata diventi un privilegio solo per chi se lo può permettere.
Questa logica "a soglia" rappresenterebbe un cambio culturale importante nel nostro sistema previdenziale: si passerebbe da un meccanismo basato solo sui contributi versati a uno che tiene conto anche della situazione economica del lavoratore, riconoscendo che non tutti hanno avuto le stesse possibilità nella vita lavorativa.
Quando entra in vigore e cosa può cambiare ancora
Per ora, Quota 41 flessibile è una proposta ancora in fase di studio, che potrebbe essere inserita nella Legge di Bilancio 2026, accanto ad altre opzioni di flessibilità come una revisione dell’Opzione Donna o dell’APE sociale. Nulla è ancora ufficiale, ma nei prossimi messi capiremo quale forma definitiva prenderà la riforma delle pensioni.
Tuttavia, una cosa è certa: Quota 103 è destinata a sparire e, senza una nuova misura alternativa, il rischio è che l’età per andare in pensione aumenti ancora, penalizzando milioni di lavoratori. Per questo il dibattito politico è già acceso, e il 2026 potrebbe rappresentare un anno di svolta per il sistema previdenziale italiano.


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