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Paziente a rischio: il medico è responsabile?

Sanità - -
Paziente a rischio: il medico è responsabile?
Non può ritenersi in colpa il medico che, in presenza di problemi tecnici di speciale difficoltà si sia attenuto alle linee guida o, in mancanza, alle buone pratiche cliniche-assistenziali, a prescindere dai risultati dell’intervento dal medesimo effettuato.
Il Tribunale di Roma, con una sentenza del 01 febbraio 2018, ha fornito alcune interessanti precisazioni in tema di responsabilità medica.

Il caso sottoposto all’esame del Tribunale ha visto come protagonista una donna, che aveva agito in giudizio nei confronti di un medico e di una casa di cura, al fine di ottenere il risarcimento dei danni subiti a seguito di un intervento chirurgico.

Nello specifico, la donna aveva evidenziato di essere stata sottoposta a degli “interventi di artroprotesi delle anche” e di aver riportato, nel 2003, “una lussazione della protesi sinistra”, in conseguenza della quale era stata operata dal medico convenuto, “per un intervento di sostituzione della protesi”.

Nei giorni successivi, tuttavia, la TAC rilevava l’insorgenza di alcune complicazioni e la donna – nonostante gli ulteriori interventi chirurgici ai quali era stata sottoposta – aveva continuato a lamentare “gravi problemi di deambulazione ed altro”, che venivano attribuiti alla responsabilità del medico intervenuto e della struttura sanitaria nella quale era stata ricoverata.

Il Tribunale di Roma non riteneva di poter accogliere la richiesta risarcitoria della paziente, rigettando il relativo ricorso, in quanto infondato.

Osservava il Tribunale, infatti, che la paziente in questione era affetta da precedenti problemi alle anche, che l’avevano resa “una persona ad altissimo rischio per questo genere di interventi”.

Ebbene, il Tribunale evidenziava come, “non può ritenersi in colpa (da intendersi grave e quindi giuridicamente significativa) il medico che, in presenza (come in questo caso) di problemi tecnici di speciale difficoltà” si sia attenuto alle “linee guida” o, in mancanza, “alle buone pratiche cliniche-assistenziali”, a prescindere dai risultati dell’intervento dal medesimo effettuato (artt. 5, 6 e 7 della legge n. 24/2017).

Il Tribunale osservava, peraltro, che, nel caso di specie, non era stata dimostrata né la sussistenza di una “condotta erronea e colposa dei medici” (dal momento che il chirurgo aveva operato la paziente “con la massima diligenza”), né la sussistenza di un nesso di causalità tra le modalità di esecuzione dell'intervento e le conseguenze dannose lamentate dalla paziente.


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