Entro il 31 marzo 2026 ogni Comune dovrà concludere tutte le pratiche legate ai tre condoni fatti in passato, ovvero quelli del 1985, 1994 e 2003. Si parla di un numero impressionante di domande, accumulate in alcuni casi da oltre vent’anni, che hanno bloccato compravendite, impedito ristrutturazioni e creato incertezza sullo status giuridico di migliaia di immobili. L’intento dell’esecutivo è quello di sbloccare il mercato immobiliare, oramai impantanato in lungaggini procedurali. Un obiettivo ambizioso, che si scontra però con le previsioni del decreto. Quest’ultimo, infatti, non assegna risorse aggiuntive, né prevede sanzioni per le amministrazioni che non riusciranno a rispettare le scadenze. Tutto dipenderà dalla capacità dei singoli Comuni di riorganizzare il lavoro interno, già gravato da carenze di personale tecnico.
Ripercorriamo brevemente i vari provvedimenti normativi succedutisi negli ultimi decenni. I primi condoni, quelli del 1985 e del 1994, erano costruiti su una logica di ampia sanabilità, per cui molti abusi, anche in zone con vincoli moderati, potevano essere regolarizzati senza troppi ostacoli.
A inizio 2000, invece, il quadro è cambiato drasticamente. Il condono del 2003 introdusse criteri più rigidi, soprattutto per le opere realizzate in aree soggette a vincolo paesaggistico o ambientale. Il tratto più discusso della legge fu una scelta tecnica che avrebbe segnato il destino di migliaia di pratiche: considerare invalidi gli interventi realizzati anche quando il vincolo fosse stato imposto dopo la costruzione dell’opera.
A complicare tutto, negli anni la Corte costituzionale ha dato il via libera a diverse leggi regionali ulteriormente restrittive, generando un mosaico normativo frammentato, spesso contraddittorio e quasi impossibile da applicare in modo uniforme.
Uno dei pilastri del piano riguarda le irregolarità minori. La proposta del Governo riapre un percorso di regolarizzazione ispirato alla logica meno restrittiva del 1985, ma applicato all’attualità. La sanatoria, infatti, riguarderà solo le opere realizzate entro il 30 settembre 2025 e si concentrerà su elementi marginali della casa, come portici, tettoie, balconi, logge, piccole pertinenze.
L’obiettivo è quello di sciogliere il nodo delle micro-irregolarità che bloccano compravendite e successioni, senza aprire varchi a interventi invasivi. Le nuove costruzioni e gli ampliamenti consistenti sono esclusi in modo netto. È una sanatoria “leggera”, pensata più per semplificare la vita quotidiana dei cittadini che per regolarizzare situazioni strutturalmente complesse.
La parte più controversa della riforma riguarda gli abusi edilizi più rilevanti, quelli storicamente non sanabili a causa dei vincoli. Qui entra in gioco il richiamo al condono del 2003, ma con un impianto completamente riscritto.
La novità più rilevante è che le Regioni avranno il potere di decidere se e come riattivare il percorso di sanatoria, definendo criteri, limiti e procedure. Non si tratta di una semplice riapertura dei termini, ma di una reinterpretazione radicale della legge precedente.
L’emendamento cancella il divieto assoluto di sanare opere in aree vincolate. Ora sarà possibile farlo, purché il vincolo sia intervenuto dopo la realizzazione dell’immobile e sempre con l’assenso delle Soprintendenze.
In più, la riforma permette di rimettere in gioco tutti i vecchi illeciti edilizi commessi prima del 31 marzo 2003, a eccezione delle opere in aree di inedificabilità assoluta.
Un tassello fondamentale della riforma riguarda il futuro degli immobili già oggetto di sanatoria. La maggioranza propone, infatti, di estendere bonus e premi volumetrici anche agli edifici condonati.
Negli ultimi anni, due sentenze della Corte Costituzionale (24/2022 e 142/2024) avevano tolto agli immobili sanati la possibilità di accedere agli incentivi per il recupero e l’efficientamento energetico, di fatto congelandone la possibilità di partecipare ai programmi di rigenerazione urbana. La riforma ribalta completamente questo orientamento. L’idea è permettere anche alle case condonate di entrare nei percorsi di riqualificazione, evitando che una parte significativa del patrimonio immobiliare italiano resti esclusa da interventi che potrebbero aumentarne sicurezza, valore e sostenibilità energetica.