Fino a oggi, il diritto alla disoccupazione veniva interpretato in modo formale: se un giudice ordinava la reintegra di un lavoratore, l’INPS considerava il periodo di disoccupazione “annullato sulla carta” e chiedeva la restituzione dell’indennità. La
Corte di Cassazione, con la
sentenza n. 23476/2025, ha messo fine a questa pratica, affermando che ciò che conta è la situazione economica concreta del lavoratore, non il semplice dato giuridico.
In altre parole, se un lavoratore viene reintegrato ma non riceve mansioni, stipendio o effettiva possibilità di lavorare, resta comunque disoccupato nella realtà dei fatti. La Corte sottolinea che l’indennità di disoccupazione deve essere una protezione reale e non un mero adempimento formale.
Il caso concreto dietro la sentenza
La questione nasce da una situazione purtroppo frequente: un lavoratore licenziato ottiene l’indennità di disoccupazione, poi vince una causa per il reintegro. Spesso, però, l’azienda non può o non vuole ottemperare all’ordine del
giudice: può essere fallita, aver ridotto il personale o semplicemente ignorare il provvedimento.
Fino ad oggi, l’INPS sosteneva che il lavoratore dovesse restituire tutta la disoccupazione percepita, perché formalmente non sarebbe mai stato disoccupato. La Corte ha, però, chiarito che questo ragionamento ignora la realtà economica del lavoratore, che senza stipendio rimane comunque in difficoltà. La decisione della Cassazione mette al centro la sostanza della condizione economica, non la forma giuridica.
Le motivazioni della Cassazione
La decisione delle
Sezioni Unite si basa su un principio fondamentale: il
diritto alla indennità di disoccupazione è tutelato dalla Costituzione (
38 Cost.), che garantisce ai lavoratori mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di perdita involontaria del lavoro.
La Corte sottolinea che interpretare la disoccupazione in senso puramente formale significa negare la protezione economica a chi ne ha realmente bisogno. Se il reintegro non porta a un concreto ritorno al lavoro e alla
retribuzione, parlare di “contratto valido” è una
finzione giuridica. La sentenza stabilisce, quindi, un principio chiaro:
la sostanza conta più della forma, e il diritto all’indennità rimane valido finché il lavoratore non percepisce effettivamente uno stipendio.
Cosa cambia per la Naspi e gli ammortizzatori sociali
Il principio stabilito dalla sentenza riguarda tutti i sostegni al reddito, non solo la vecchia indennità di mobilità. La Cassazione ha specificato che la decisione si applica anche all’ASpI e, soprattutto, alla Naspi, l’attuale indennità di nuova assicurazione sociale per l’impiego.
Ciò significa che, oggi, qualsiasi lavoratore che venga reintegrato formalmente, ma senza effettivo lavoro o stipendio, può continuare a ricevere la Naspi senza dover restituire nulla. È una tutela importante, soprattutto per chi lavora in aziende piccole, in crisi o in situazioni in cui la reintegra è difficile da concretizzare. La sentenza rappresenta un vero cambiamento di prospettiva, ponendo al centro il diritto del lavoratore a vivere dignitosamente durante la disoccupazione involontaria.