La questione sottoposta alla Suprema Corte è se, nel computo del periodo delle "30 giornate di lavoro effettivo", di cui alla norma considerata, debbano essere comprese le giornate in cui la prestazione non è stata effettivamente resa.
Le argomentazioni della Suprema Corte
Ai fini del raggiungimento del requisito - ora, peraltro, non più necessario - delle 30 giornate di lavoro effettivo (negli ultimi 12 mesi) per accedere alla NASpI, valgono anche alcuni giorni in cui non c'è attività lavorativa. Nella specie, la Suprema Corte ha enunciato i seguenti principi di diritto:
Le argomentazioni della Suprema Corte
Ai fini del raggiungimento del requisito - ora, peraltro, non più necessario - delle 30 giornate di lavoro effettivo (negli ultimi 12 mesi) per accedere alla NASpI, valgono anche alcuni giorni in cui non c'è attività lavorativa. Nella specie, la Suprema Corte ha enunciato i seguenti principi di diritto:
- il requisito «risulta integrato - oltre che da giornate di ferie e/o riposto retribuito - da ogni giornata che dia luogo al diritto del lavoratore alla retribuzione e alla relativa contribuzione»;
- «ai fini del computo dei “dodici mesi che precedono l'inizio del periodo di disoccupazione” si escludono (sono neutralizzati) i periodi di sospensione del rapporto di lavoro per cause tutelate dalla legge, impeditive delle reciproche prestazioni».
I principi appena declamati poggiano sulla considerazione che le ferie, come i riposi, rappresentano momenti connaturali al rapporto di lavoro. Durante la loro fruizione vi è piena vitalità - e, quindi, effettività - del rapporto stesso. Per la Corte, il "lavoro effettivo" è, dunque, sempre comprensivo di quelle "pause" periodiche della prestazione lavorativa che, finalizzate al recupero delle energie psico-fisiche del lavoratore, sono equiparabili alla effettiva e concreta esecuzione delle mansioni.