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Il marito registra le telefonate della moglie e dei figli? Rischia fino a quattro anni di prigione

Famiglia - -
Il marito registra le telefonate della moglie e dei figli? Rischia fino a quattro anni di prigione
Quanti genitori, per curiosità (o per preoccupazioni varie) avranno certo avuto la tentazione di alzare la cornetta del telefono centrale, per ascoltare la telefonata del figlio che si trova al telefono nella propria cameretta.

Attenzione però, perché questo comportamento, secondo la Corte di Cassazione, potrebbe addirittura integrare una fattispecie di reato e, in particolare, il reato di cui all’art. [n617cp]] del codice penale, il quale punisce con la reclusione da sei mesi a quattro anni chi venga a conoscenza, in modo fraudolento, di una comunicazione, di una conversazione o di una telefonata altrui.

Nel caso esaminato dalla Corte di Cassazione, con la sentenza n. 41192 del 3 ottobre 2014, un marito veniva condannato sia in primo che in secondo grado, ex art. 617 c.p., per aver registrato le conversazioni telefoniche intervenute tra l’ex moglie e i figli minori.
Giunti al terzo grado di giudizio, il marito si difendeva affermando che registrare le telefonate dell’ex moglie con i figli non rientrerebbe nella fattispecie prevista dall’art. 617 c.p., in quanto “i figli minori dell'imputato non possono considerarsi "altre persone" nel senso accolto dalla norma incriminatrice, trattandosi di soggetti che non potrebbero sottrarsi alla potestà genitoriale e ai doveri di vigilanza che il suo esercizio comporta opponendo la riservatezza delle proprie comunicazioni”.

Oltrettutto, il marito osserva come egli non avrebbe nemmeno “preso cognizione del contenuto delle conversazioni, essendosi limitato a registrarle e a consegnare le registrazioni agli assistenti sociali. Infine la condotta imputatagli difetterebbe altresì del necessario carattere fraudolento, avendo egli preavvertito la moglie della sua intenzione di registrare le telefonate della medesima con i figli”.

La Corte di Cassazione, tuttavia, non ritiene di dover aderire alle argomentazioni svolte dal marito.
In particolare, la Corte, dopo aver osservato come “l'art. 617 c.p. contestato all'imputato tuteli la libertà e la riservatezza delle comunicazioni telefoniche o telegrafiche contro la possibilità di indiscrezioni, interruzioni o impedimenti da parte di terzi”, precisa come “il diritto alla riservatezza della comunicazione o della conversazione implica la possibilità di escludere altri dalla conoscenza del contenuto della medesima e coerentemente la norma incriminatrice menzionata punisce in tal senso anche la condotta di colui che invece ne prenda cognizione senza il consenso dei titolari”.

Secondo la Corte, quindi, il reato di cui all’art. 617 c.p. può dirsi integrato quando “la comunicazione o la conversazione intervenga tra persone diverse dall'agente [ovvero colui che registra]”, come del resto era avvenuto nel caso di specie, “dove oggetto della illecita presa di cognizione sono le conversazioni telefoniche intervenute tra i figli dell'imputato e la loro madre”.

Inoltre, nel ragionamento svolto dalla Cassazione, è del tutto irrilevante che i figli fossero dei minorenni e quindi “soggetti non autonomi”, dal momento che essi sono comunque “soggetti "altri" rispetto al padre e tanto basta per ritenere integrata la condizione di tipicità del fatto”.

Allo stesso modo è irrilevante che il marito avesse in qualche modo “avvisato” la moglie di voler intercettare le sue telefonate con i figli, in quanto ciò non esclude, in ogni caso, il carattere fraudolento della condotta, in quanto “il carattere della fraudolenza qualifica il mezzo utilizzato per prendere cognizione della comunicazione (e non l'elemento soggettivo del reato come erroneamente ritenuto dal ricorrente), il quale deve essere pertanto idoneo ad eludere la possibilità di percezione del fatto illecito da parte di coloro tra i quali la stessa intercorre”.

Di conseguenza, la condotta del marito doveva pacificamente ritenersi “fraudolenta” nel senso indicato dall’art. 617 c.p., dal momento che “la mera comunicazione dell'intenzione futura di registrare le telefonate a coloro che dovranno effettuarle non equivale a quella con cui questi ultimi vengono resi partecipi nell'attualità della conversazione dell'interferenza, la quale sola eventualmente potrebbe far venir meno la connotazione fraudolenta della medesima”.

Per tutto quanto sopra, palesemente infondate appaiono le difese svolte dal marito, la cui condanna viene pertanto confermata dalla Corte di Cassazione.


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