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Legittimo il sequestro del pc dell’avvocato se strumentale all’accertamento dell’illecito

Legittimo il sequestro del pc dell’avvocato se strumentale all’accertamento dell’illecito
Possono essere sequestrati il pc e i documenti informatici dell’avvocato se strumentali all’accertamento del fatto di reato.
La Sesta Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 12094/2020, si è pronunciata in ordine alla possibilità o meno di sottoporre a sequestro la documentazione informatica e i dispositivi informatici di un avvocato, sospettato di aver commesso un illecito penale.

La questione nasceva dalla vicenda di cui si era reso protagonista un avvocato, il quale si era visto confermare, dal Tribunale, il provvedimento di perquisizione e sequestro di documentazione, anche di tipo informatico, emesso nei suoi confronti, in qualità di indagato.

Il professionista, di fronte a tale decisione, ricorreva dinanzi alla Corte di Cassazione, lamentando una totale mancanza di motivazione del provvedimento impugnato, in ordine al rapporto di immediatezza tra i reati contestatigli e le cose sottoposte a sequestro. Secondo il ricorrente, infatti, si doveva ritenere illegittima l’indiscriminata acquisizione dell’intero contenuto dei propri dispositivi informatici, avvenuta in assenza di specifiche ragioni, considerato che gli stessi dispositivi avrebbero potuto essere sottoposti ad una perquisizione mirata, al cui esito si sarebbe potuto procedere al sequestro dei soli documenti rilevanti.

Il ricorrente lamentava, poi, come i propri dispositivi informatici fossero stati sottoposti a sequestro senza che il relativo provvedimento avesse indicato le ragioni di deroga al principio di proporzionalità, a fronte della possibilità di accedere ad informazioni non pertinenti né rilevanti, rispetto agli illeciti contestatigli. Secondo il legale, infatti, il provvedimento di sequestro avrebbe dovuto essere connotato da una motivazione più articolata e stringente, in relazione, soprattutto, al fondato motivo di procedere ad una ricerca su sistemi informatici, nonché alle modalità di selezione dei dati, fermo restando che nel decreto non si faceva alcuna menzione delle modalità di selezione e della ricerca di parole chiave.

La Suprema Corte ha, tuttavia, ritenuto il ricorso inammissibile.

Gli Ermellini, riprendendo un consolidato orientamento della stessa giurisprudenza di legittimità, hanno evidenziato che “è suscettibile di sequestro non solo ciò che costituisce corpo del reato, ma anche ciò che sia ad esso pertinente, in quanto strumentale al suo accertamento e necessario alla dimostrazione del reato e delle sue modalità di preparazione ed esecuzione, alla conservazione delle tracce, all'identificazione del colpevole, all'accertamento del movente ed alla determinazione dell'ante factum e del post factum comunque ricollegabili al reato, pur se esterni all'iter criminis, purché funzionali all'accertamento del fatto ed all'individuazione del suo autore(Cass. Pen., n. 2622/2010). Come ritenuto, peraltro, dalle Sezioni Unite, “al di là della relazione di immediatezza che connota il vero e proprio corpo di reato, e dunque ciò con cui o su cui il reato è stato commesso o ciò che ne costituisce prodotto, profitto o prezzo, deve comunque stabilirsi un collegamento tra la res e il tipo di indagine, in quanto la stessa sia logicamente correlata a quel reato di cui è stato indicato il fumus” (Cass. Pen., SS.UU., n. 36072/2018).

Sono, altresì, parse infondate le doglianze con cui il ricorrente lamentava l’indiscriminato sequestro dell’intera documentazione informatica in suo possesso. I giudici di legittimità hanno, infatti, evidenziato come, nell’immediatezza, si sia, in realtà, proceduto all’estrazione di copie forensi del contenuto di alcuni supporti e dispositivi informatici, il quale era stato previamente selezionato sulla base di specifiche parole chiave, implicanti correlazioni al tipo di rapporti sottoposti a verifica, con conseguente liberazione dei dispositivi e del restante materiale da ogni tipo di vincolo.
Tale circostanza, secondo gli Ermellini, dimostrerebbe come, contrariamente a quanto ritenuto dal ricorrente, non vi sia stata alcuna indiscriminata e totalizzante apprensione, essendosi, piuttosto, proceduto alla delimitazione della sola documentazione informatica inerente all’indagine in corso.

Quanto, infine, al materiale sequestro dei dispositivi informatici del professionista, tra cui il suo computer, la Cassazione ha evidenziato come, in realtà, gli stessi non siano stati sottoposti ad un effettivo sequestro, in quanto, per la maggior parte di essi, si è proceduto ad una mirata selezione di copia forense.

Secondo la Corte di legittimità, infatti, il vincolo sotteso all’estrazione di copia forense dell’intero contenuto, seppur di per sé qualificabile come sequestro (cfr. Cass. Pen., n. 24617/2015), nel caso di specie non ha mai assunto un carattere sproporzionato ed ingiustificato, considerato che, come evidenziato dai giudici di merito, tutte le operazioni sono avvenute nel totale rispetto del principio di proporzionalità e adeguatezza.


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