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Legge 104, i permessi spettano anche ai lavoratori parasubordinati, condannata la Asl al risarcimento: nuova sentenza

Legge 104, i permessi spettano anche ai lavoratori parasubordinati, condannata la Asl al risarcimento: nuova sentenza
La Cassazione riconosce i permessi Legge 104 anche ai lavoratori parasubordinati, aprendo la strada a nuovi diritti per i disabili e condannando la ASL di Torino a risarcire uno psicologo escluso per dieci anni
Una recente pronuncia della Corte di Cassazione (sent. n. 10012/2025) apre la strada a un importante precedente giuridico in materia di tutele lavorative per le persone con disabilità. Con una sentenza depositata mercoledì, gli Ermellini hanno riconosciuto il diritto ai permessi 104 anche ai lavoratori parasubordinati, obbligando la Asl Città di Torino a versare 44.000 euro a titolo di risarcimento a uno psicologo affetto da grave disabilità.

Dieci anni senza tutele: la vicenda del professionista escluso
Il professionista, inquadrato come specialista ambulatoriale con incarico settimanale da 22 ore, aveva visto negarsi il riconoscimento pieno dei benefici previsti dalla Legge 104 per un arco temporale di dieci anni, dal 2010 al 2020. In quel periodo, nonostante fosse titolare del requisito della disabilità grave, l’accesso ai permessi gli era stato sistematicamente negato, con la motivazione che non fosse formalmente un dipendente.

Il primo grado: riconosciuto il diritto ai permessi
La questione era dunque approdata nei tribunali ordinari. In primo grado, il giudice aveva stabilito il diritto del lavoratore a due giornate mensili di permesso, censurando la disparità di trattamento tra lavoratori dipendenti e convenzionati, con particolare riferimento ai contratti collettivi applicati nel settore sanitario pubblico. Tali contratti – almeno fino al 2020 – prevedevano la possibilità di usufruire dei permessi solo per assistere familiari con disabilità, escludendo i casi in cui la persona disabile fosse il lavoratore stesso.

Appello respinto: la parità di trattamento prevale sul contenimento dei costi
La Asl torinese, nel ricorso in appello, aveva giustificato la limitazione dei permessi invocando ragioni di contenimento dei costi: per i lavoratori convenzionati, infatti, è l’ente sanitario a farsi carico del pagamento delle giornate di permesso, al contrario dei dipendenti per i quali subentra l’Inps. Tuttavia, la Corte d’Appello aveva respinto anche questa linea difensiva, richiamando il principio di parità di trattamento stabilito dalla Direttiva 2000/78/CE: “Il principio di non discriminazione sancito dalla Direttiva è applicabile a tutti i lavoratori dipendenti, parasubordinati ed autonomi, in quanto persone”; irrilevante è la “qualificazione formale di un rapporto di lavoro” o “l’uno o l’altro tipo di contratto”.

La Cassazione sancisce l’estensione dei permessi 104
Con il definitivo pronunciamento della Cassazione, questo orientamento è stato cristallizzato: la Suprema Corte ha riconosciuto che i permessi ex Legge 104 devono tutelare aspetti fondamentali della dignità della persona e della sua qualità di vita, indipendentemente dalla tipologia contrattuale o dal monte ore settimanale.

Danni alla salute e alla carriera: il riconoscimento del risarcimento
Durante il processo, lo psicologo aveva documentato effetti negativi sulla propria salute e sulla carriera professionale: un peggioramento della condizione clinica, la diagnosi di stanchezza cronica e la rinuncia a partecipare a concorsi pubblici sono stati elementi ritenuti determinanti per la quantificazione del danno.
L’avvocata Angelica Savoini, legale che ha seguito il caso, sottolinea la portata rivoluzionaria della sentenza, tanto che - già dopo la decisione di primo grado - numerosi ambulatoriali nel territorio torinese avevano iniziato a chiedere l’attivazione dei permessi 104. Ora, grazie alla sentenza della Cassazione, anche altre aziende sanitarie italiane potrebbero essere chiamate a rivedere le proprie politiche interne in materia.


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