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Legge 104, più permessi 104 retribuiti per chi assiste un figlio disabile e congedo fino a 3 anni: ecco tutti i benefici

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Legge 104, più permessi 104 retribuiti per chi assiste un figlio disabile e congedo fino a 3 anni: ecco tutti i benefici
Tutti i benefici riconosciuti dalla Legge 104 alle madri lavoratrici per consentire e facilitare l’assistenza ai figli disabili gravi
La Legge n. 104/1992 riconosce varie agevolazioni per le persone disabili e i familiari che le assistono. Una particolare attenzione meritano i benefici previsti, sul piano lavorativo, a favore delle madri che prestano assistenza ad un figlio con handicap.

Tra le varie misure previste dalla normativa (commi 2 e 3 dell’art. 33 della legge 104), le mamme lavoratrici con un figlio disabile grave ai sensi del comma 3 dell’art. 3 della legge 104 possono godere di permessi retribuiti.

Nel caso di figlio con disabilità grave minore di tre anni, la madre (anche adottiva o affidataria) può scegliere di usufruire di una tra queste agevolazioni:
  • un prolungamento del c.d. congedo parentale;
  • tre giorni di permesso mensile, anche frazionabile in ore;
  • permessi orari retribuiti in base all’orario di lavoro (due ore o un’ora al giorno a seconda che l’orario lavorativo sia superiore o inferiore a sei ore giornaliere).

La madre biologica di figlio disabile grave di età tra i tre e i dodici anni (e la madre adottiva o affidataria di disabile grave con tre anni di età ed entro dodici anni dall’ingresso in famiglia del minore) può beneficiare, alternativamente, di queste misure:
  • tre giorni di permesso mensile, anche frazionabile in ore;
  • un prolungamento del congedo parentale.

La madre biologica di disabile grave oltre i dodici anni (e la madre adottiva o affidataria di un soggetto con disabilità grave, oltre i dodici anni dall’ingresso in famiglia) può godere di tre giorni di permesso mensile, anche frazionabile in ore.

Peraltro, in relazione al congedo parentale, la madre può usufruire del prolungamento del termine del periodo di normale congedo parentale, a prescindere dal fatto che sia stato precedentemente utilizzato o esaurito. Però, i giorni goduti a titolo di congedo parentale ordinario e di prolungamento non possono superare i tre anni, da godere entro i dodici anni del bambino.

La madre lavoratrice, che assiste un figlio con disabilità grave, può anche beneficiare, anche frazionandolo a giorni, del c.d. congedo straordinario: ossia, un periodo di assenza dal lavoro retribuito.

Durante la vita lavorativa, la lavoratrice può richiedere fino ad un periodo massimo di due anni di congedo straordinario. In questo periodo, è riconosciuta un’indennità che corrisponde alla retribuzione ricevuta nell’ultimo mese di lavoro precedente al congedo, entro un limite massimo di reddito rivalutato annualmente.

Ancora, quando gode del congedo straordinario per un periodo continuativo non superiore a sei mesi, la madre ha diritto anche alla fruizione di giornate di permesso. Però si tratta di permessi non retribuiti.

Inoltre, in base alla Legge 104 (commi 5 e 6 dell’art. 33), la mamma lavoratrice di un figlio con handicap grave ha diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio e non può essere trasferita senza il proprio consenso ad altra sede.

I benefici non finiscono qui. Secondo la normativa (Norme in materia di orario di lavoro), i lavoratori con a carico un soggetto disabile hanno diritto ad essere esonerati dai turni notturni. In questa categoria possono rientrare anche le madri lavoratrici: esse non possono essere obbligate a lavorare di notte o a svolgere turni equiparati al lavoro di notte (cioè, i turni di reperibilità o di pronta disponibilità).

Poi, la legge prevede che, se il datore stipula accordi per lo svolgimento del lavoro in smart working, egli deve dare priorità alle richieste del genitore di figlio disabile grave (e ciò indipendentemente dall’età del figlio).

Una precisazione è d’obbligo. Si tratta di misure che, come abbiamo visto, non sono riconosciute esclusivamente alle madri lavoratrici. Infatti, in alcune ipotesi, la legge fa riferimento ai genitori lavoratori di un figlio con disabilità. In altri casi, la legge si riferisce, più genericamente, al familiare lavoratore che assiste un disabile.


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