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Lavoratori, in smart working il datore di lavoro non è tenuto a sapere dove ti trovi e non può geolocalizzarti: novità

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Lavoratori, in smart working il datore di lavoro non è tenuto a sapere dove ti trovi e non può geolocalizzarti: novità
Una sanzione di 50mila euro è stata comminata ad un'azienda che attuava la pratica di geolocalizzare i propri dipendenti. Nel caso specifico l’azienda rilevava la posizione geografica di circa cento dipendenti durante l’attività lavorativa svolta da remoto. Vediamo insieme quali sono le garanzie previste a tutela dei lavoratori in tali circostanze
Il Garante per la Privacy ha inflitto una sanzione d'importo pari a 50mila euro ad un datore di lavoro che geolocalizzava i dipendenti che lavoravano da remoto.

Al riguardo si ricorda che la legge 300 del 1970, lo Statuto dei lavoratori, all’art. 4 - rubricato “Impianti audiovisivi e altri strumenti di controllo” - stabilisce che gli impianti audiovisivi e gli altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori possono essere impiegati esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale e possono essere installati solo previo accordo collettivo.

Il Jobs act - con il D. Lgs. 151/2015 - consente il controllo mirato sugli smartphone e pc aziendali, ma precisa che “i dati e le informazioni ottenuti tramite gli strumenti di controllo a distanza sono utilizzabili ai fini del rapporto di lavoro solo a condizione che sia stata data al lavoratore adeguata informazione delle modalità d’uso e nel rispetto della tutela della privacy".
Le surriferite disposizioni sono poste a tutela di beni quali la dignità e la riservatezza del lavoratore, a fronte dell’esigenza di mantenere la vigilanza sul lavoro confinata “in una dimensione umana, e cioè non esasperata dall’uso di tecnologie che possono rendere la vigilanza stessa continua e anelastica, eliminando ogni zona di riservatezza e di autonomia nello svolgimento del lavoro” (Cass. n.13226/2018).

A sua volta, l’Ispettorato Nazionale del Lavoro ha emanato la nota n. 2572 del 14 aprile 2023, con la quale fornisce indicazioni in merito al rilascio dei provvedimenti autorizzativi per l’installazione, nei luoghi di lavoro, di impianti audiovisivi e altri strumenti di controllo a distanza dei lavoratori.
In particolare, nel provvedimento si ribadisce che ­l’installazione di strumenti aziendali, diversi dagli strumenti di lavoro, da cui possa derivare un controllo a distanza dei lavoratori, deve essere necessariamente preceduta dall’accordo sindacale e, solo qualora non si riesca a raggiungere un accordo, è possibile formulare un’istanza autorizzativa all’Ispettorato.
L’istanza all’Ispettorato dovrà contenere, quindi, la documentazione comprovante il mancato accordo. In nessun caso il consenso individuale del lavoratore, ancorché informato, può supplire all’accordo o al provvedimento autorizzativo.

Nella ricostruzione di tale quadro s'inseriscono, poi, le comunicazioni diramate dallo stesso Garante per la Privacy. Quest'ultimo, infatti, in più occasioni, anche di recente, ha ribadito che "le diverse esigenze di controllo dell’osservanza dei doveri di diligenza del lavoratore in smart working non possono essere perseguite, a distanza, con strumenti tecnologici che, riducendo lo spazio di libertà e dignità della persona in modo meccanico e anelastico, comportano un monitoraggio diretto dell’attività del dipendente non consentito dallo Statuto dei lavoratori e dal quadro costituzionale" (newsletter 8/5/2025, n. 534).

Nel caso di specie l’azienda monitorava i propri dipendenti per verificare l’esatta corrispondenza tra la posizione geografica in cui si trovavano e l’indirizzo dichiarato nell’accordo individuale di smart working, in base a specifiche procedure di controllo mirato.

In particolare, in base a tali procedure, il personale, scelto a campione, veniva contattato telefonicamente dall’Ufficio controlli con la richiesta di attivare la geolocalizzazione del pc o dello smartphone, effettuando una timbratura con un’apposita applicazione, e di dichiarare subito dopo, tramite un’e-mail, il luogo in cui - in quel preciso momento - si trovava fisicamente. A tale richiesta, seguivano poi le verifiche e gli eventuali procedimenti disciplinari dell’azienda. Tutto ciò accadeva, come è emerso dall'istruttoria, in assenza di un’adeguata base giuridica e di un’idonea informativa, oltre alle conseguenti interferenze nella vita privata dei dipendenti. Di qui la condanna dell'azienda a pagare la sanzione pecuniaria di 50mila euro.


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