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Divieto di attività rumorose in condominio. Diritto al risarcimento del danno

Divieto di attività rumorose in condominio. Diritto al risarcimento del danno
Può accadere di abitare in un condominio e di vedersi aprire, al piano di sotto, un bar, con conseguenti schiamazzi e immissioni rumorose che possono diventare davvero intollerabili.

Esiste, in questo caso, possibilità di tutela?

Va osservato che, in tema di immissioni rumorose, trova applicazione la disposizione di cui all’art. [n844cc]] c.c., in base al quale “il proprietario di un fondo non può impedire le immissioni di fumo o di calore, le esalazioni, i rumori, gli scuotimenti e simili propagazioni derivanti dal fondo del vicino, se non superano la normale tollerabilità, avuto anche riguardo alla condizione dei luoghi.
Nell'applicare questa norma l'autorità giudiziaria deve contemperare le esigenze della produzione con le ragioni della proprietà. Può tener conto della priorità di un determinato uso”.

Dunque, nel caso di immissioni di rumore, anche nell’ambito di un condominio, le stesse devono essere tollerate quando non superino la soglia della “normale tollerabilità”, il quale, come facilmente intuibile rappresenta un parametro piuttosto elastico, che dovrà essere valutato caso per caso dal giudice.

La Corte di Cassazione si è pronunciata su questa questione, con la sentenza n. 22892 dell’8 ottobre 2013, fornendo alcune interessanti precisazioni.

Nel caso esaminato dalla Corte, una condomina aveva agito in giudizio un altro condomino e il Condominio, impugnando la delibera dell’assemblea che aveva consentito l’apertura di un bar in uno dei locali condominiali. La condomina chiedeva il risarcimento del danno subito a causa della diminuzione del valore dell’immobile, determinato proprio dalle immissioni di rumore provenienti dal bar in questione.

In particolare, la condomina, a sostegno delle proprie argomentazioni, rilevava come il regolamento condominiale vietasse di destinare i locali condominiali ad attività che risultassero incompatibili con “il decoro e la tranquillità” dell’edificio.

Mentre in primo grado la domanda della condomina veniva accolta, la Corte d’appello, chiamata a decidere in secondo grado, riteneva di dover riformare la decisione del Tribunale, non ritenendo che l’attività del bar si ponesse in contrasto con quanto stabilito dal regolamento condominiale.
Inoltre, secondo la Corte, la delibera che aveva introdotto la sopraccitata norma del regolamento, non era stata accettata per iscritto dai condomini, con la conseguenza che la disposizione stessa non poteva considerarsi vincolante per i condomini.

La condomina proponeva, quindi, ricorso per Cassazione, che trovava accoglimento.

In particolare, secondo la Corte, la delibera dell’assemblea condominiale che aveva inserito nel regolamento il divieto, “era stata presa all’unanimità, per cui doveva ritenersi vincolante anche nei confronti del condomino che non l’aveva formalmente accettata, decretando quindi che la delibera assembleare che determinava in capo ai singoli condomini l’insorgenza di un obbligo di protezione nei confronti degli altri non necessitava di forme speciali”.
Di conseguenza, la Corte ritiene che “secondo la corretta interpretazione della delibera assembleare in questione, con la stessa tutti i condomini si erano presi l’impegno reciproco, non tanto di vietare l’utilizzo dei locali ad attività incompatibili con la destinazione della quiete pubblica, quanto piuttosto di perseguire tale ultima finalità (obbligo di protezione).”

In altri termini, in base al ragionamento della Corte, poiché la delibera assembleare che aveva introdotto il divieto nel regolamento condominiale era stata adottata all’unaninità, la stessa doveva ritenersi vincolante per tutti i condomini, compresi quelli che non avevano provveduto ad accettarla formalmente (vale a dire mediante atto scritto).
Attraverso tale delibera, quindi, era stato introdotto un vero e proprio “obbligo di protezione” in capo a tutti i condomini nei confronti degli altri, i quali si erano obbligato a preservare il “decoro e la tranquillità” dell’edificio condominiale.

Di conseguenza, la Corte ritiene di dover accogliere il ricorso presentato dalla condomina, dichiarando la fondatezza della domanda risarcitoria presentata dalla stessa, dal momento che l’immobile aveva effettivamente subito un deprezzamento a seguito dell’apertura del bar, la cui attività comportava delle immissioni rumorose superiori alla soglia della “normale tollerabilità”.



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