Il TFR - sembra utile rammentare - costituisce un elemento della retribuzione, la cui erogazione è differita al momento della cessazione del rapporto di lavoro.
Secondo il regime normativo attualmente vigente, il lavoratore dipendente, entro sei mesi dall'assunzione, può decidere di:
Secondo il regime normativo attualmente vigente, il lavoratore dipendente, entro sei mesi dall'assunzione, può decidere di:
- destinare le quote di TFR ancora da maturare ad una forma pensionistica complementare;
- lasciare il TFR presso il datore di lavoro;
- non decidere nulla. In questo caso il datore di lavoro trasferisce il TFR maturando alla forma pensionistica collettiva prevista dagli accordi o contratti collettivi, salvo accordi aziendali diversi. Nel caso di presenza di più forme pensionistiche, il TFR è trasferito, salvo diverso accordo aziendale, al fondo pensione al quale ha aderito il maggior numero di dipendenti.
Adesso, al centro del dibattito c’è l’articolo 44 del disegno di legge di bilancio 2026, che - dal 1° gennaio 2027 - riduce da 12 a 9 mesi il termine per il pagamento del TFR e del TFS dei dipendenti pubblici nei casi di cessazione dal servizio per raggiunti limiti di età o di servizio, o per il collocamento a riposo legato all’anzianità massima prevista dalle diverse amministrazioni.
La misura arriva in risposta alla sentenza n. 130 del 2023 della Corte Costituzionale, che chiedeva un intervento volto ad abbreviare i tempi di liquidazione delle indennità di fine rapporto e delle altre somme ad esse equiparate.
La riduzione dei tempi, però, non modifica le modalità di pagamento: le liquidazioni continueranno a essere corrisposte in un’unica soluzione per importi fino a 50.000 euro, in due rate per somme fino a 100.000 euro e in tre rate per importi superiori.
L’anticipo dei pagamenti determina, però, la perdita dell’agevolazione fiscale introdotta dal decreto-legge n. 4/2019, che prevedeva una riduzione dell’imposta sul TFR fino a 50.000 euro, con aliquote decrescenti al crescere del ritardo nel pagamento:
- 1,5 punti percentuali dopo 12 mesi dalla cessazione;
- 3 punti dopo 24 mesi;
- 4,5 punti dopo 36 mesi;
- 6 punti dopo 48 mesi;
- 7,5 punti dopo 60 mesi.
Poiché i nuovi tempi non superano più i 12 mesi, il beneficio fiscale viene azzerato automaticamente.
Secondo la CGIL, ciò rappresenta una beffa ai danni dei lavoratori pubblici. Il mancato sconto fiscale comporterà un taglio fino a 750 euro, variabile in base al valore della liquidazione. La misura interesserà 30.122 dipendenti pubblici che andranno in pensione di vecchiaia, come indicato nella Relazione tecnica alla legge di Bilancio 2026, e genererà per lo Stato un maggior gettito stimato in 22,6 milioni di euro.