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Criptovalute: profili di responsabilità penale

Criptovalute: profili di responsabilità penale
Se risulta provata la finalità di investimento in capo al possessore di criptovalute, può ritenersi integrato il reato di abusivismo finanziario.
Tra le varie condotte che possono integrare il reato di abusivismo finanziario, punito con la reclusione da uno a otto anni, l’art. 166 co. 1 lett c) T.U.F. contempla l’offerta fuori sede o la promozione, da parte di soggetto non specificamente autorizzato, di prodotti finanziari, strumenti finanziari oppure servizi o attività di investimento.

Circa l’ambito di applicabilità della norma citata, la Corte di Cassazione, ha recentemente precisato che vi possono rientrare anche le operazioni in criptovalute.
Con la sentenza n. 44337 del 30 novembre 2021, la Suprema Corte ha infatti evidenziato che le criptovalute – e, nella specie, i bitcoin – possono senz’altro avere una causa concreta di prodotto finanziario quando il loro utilizzo è finalizzato all’investimento, sicchè devono ritenersi applicabili le norme del TUF.

Nella motivazione del provvedimento, i Supremi Giudici hanno infatti richiamato
  • l’art. 1 del D. Lgs. n. 231 del 2007, che definisce la criptovalute come “la rappresentazione digitale di valore, non emessa nè garantita da una banca centrale o da un'autorità pubblica, non necessariamente collegata a una valuta avente corso legale, utilizzata come mezzo di scambio per l'acquisto di beni e servizi o per finalità di investimento e trasferita, archiviata e negoziata elettronicamente";
  • il considerando n. 10 della Dir. antiriciclaggio del 2018 per cui “sebbene le valute virtuali possano essere spesso utilizzate come mezzo di pagamento, potrebbero essere usate anche per altri scopi e avere impiego più ampio, ad esempio come mezzo di scambio, di investimento, come prodotti di riserva di valore o essere utilizzate in casinò online”.
Ribadito dunque che la finalità di investimento è contemplata dallo stesso legislatore, la Corte ha richiamato, dandovi continuità, un proprio precedente del 2020, nel quale si era precisato che ove la vendita di bitcoin venga reclamizzata come una vera e propria proposta di investimento, l’attività deve sicuramente ritenersi soggetta alle regole TUF (cfr. Cass. C.d. De Rosa, n. 26807 del 17 settembre 2020). Il reato di abusivismo finanziario, pertanto, deve ritenersi astrattamente configurabile anche in relazione alle operazioni in criptovalute.

Il caso giunto all’attenzione della Corte, in particolare, riguardava un soggetto indagato dei reati di riciclaggio e abusivismo finanziario per avere pubblicizzato in internet la vendita di bitcoin associandola all’“oro digitale”. Il sito internet attraverso il quale era stata pubblicizzata la presunta attività illecita era dunque stato sequestrato in quanto corpo del reato e il decreto di convalida del sequestro era stato confermato dal Tribunale in funzione del giudice del riesame.
Avverso quest’ordinanza del Tribunale aveva dunque proposto ricorso per Cassazione l’indagato, che si doleva – per quanto qui di rilievo – dell’assenza di fumus boni juris del reato di abusivismo finanziario in quanto la vendita di criptovalute, se non pubblicizzata espressamente come investimento finanziario, non deve essere assoggettata alla disciplina del TUF.
Nel ritenere tale ricorso inammissibile, gli Ermellini hanno dunque operato le importanti precisazioni di cui si è dato notizia.


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