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Conto corrente, ecco quanto tempo ha l'Agenzia delle Entrate per controllare i movimenti e quando arriva la prescrizione

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Conto corrente, ecco quanto tempo ha l'Agenzia delle Entrate per controllare i movimenti e quando arriva la prescrizione
L’Agenzia delle Entrate può controllare i movimenti sui conti correnti entro 5 anni dalla dichiarazione dei redditi, estendibili a 7 anni in caso di omessa dichiarazione
Una delle maggiori preoccupazioni dei contribuenti riguarda la possibilità, da parte dell’Agenzia delle Entrate, di analizzare i movimenti sul proprio conto corrente bancario. Sebbene il Fisco disponga di strumenti efficaci per contrastare l’evasione fiscale (tra cui, appunto, il controllo dei conti correnti), è comunque soggetto ai limiti imposti dalla legge e, in particolare, al rispetto dei termini di prescrizione che regolano gli accertamenti.

Controlli sul conto corrente: i vincoli temporali
Pur potendo esaminare le operazioni bancarie per verificare eventuali incongruenze fiscali, l’Agenzia delle Entrate non può risalire a movimenti troppo lontani nel tempo. La ragione principale è di natura pratica: dopo molti anni, infatti, il contribuente potrebbe non essere in grado di fornire documenti o spiegazioni sufficienti a giustificare determinate somme o transazioni. Per questo motivo, le indagini bancarie sono soggette a limiti temporali precisi, superati i quali il rischio di sanzioni o accertamenti svanisce.

La paura del controllo fiscale: un sentimento comune
La paura di un controllo fiscale colpisce anche i contribuenti più diligenti, specialmente quando la lente di ingrandimento del Fisco si concentra sui conti correnti. Molto spesso, infatti, la complessità delle norme fiscali impedisce di adottare tutte le precauzioni necessarie per prevenire problemi fiscali. Il nodo cruciale è sempre quello di riuscire a dimostrare, con prove documentali solide, la legittimità delle somme presenti sul conto.

Un esempio frequente riguarda i risparmi accumulati “in casa” sotto forma di contanti: quando poi questi soldi vengono depositati in banca, senza documentazione che ne attesti la provenienza, si rischia di dover giustificare ogni movimento in sede di accertamento. Senza prove, si rischiano imposte e sanzioni, anche su somme che in realtà sono già state tassate in passato o derivano da risparmi leciti.

Il fattore tempo: un alleato prezioso contro il rischio fiscale
La buona notizia, per i contribuenti, è che il tempo gioca a loro favore. L’Amministrazione finanziaria, infatti, ha un limite ben definito entro cui può effettuare accertamenti sui conti correnti: di norma, il termine massimo è di 5 anni, calcolati a partire dal 1° gennaio dell’anno successivo alla presentazione della dichiarazione dei redditi.

Pertanto, se un contribuente versa sul conto corrente una certa somma nel 2025, il periodo in cui il Fisco può richiedere spiegazioni si estende fino al 31 dicembre 2031 (ossia 5 anni dopo il 1° gennaio 2027, anno in cui si presenta la dichiarazione relativa al 2025). Oltre questa data, il contribuente non è più obbligato a giustificare l’origine di quella somma.

Casi di omessa dichiarazione: tempi più lunghi
Se invece il contribuente non presenta la dichiarazione dei redditi per un determinato anno, il periodo di accertamento si allunga fino a 7 anni, aumentando così la finestra temporale in cui il Fisco può effettuare controlli.
In conclusione, le scadenze entro cui l’Agenzia delle Entrate può effettuare verifiche sul conto corrente sono:
  • 5 anni dalla presentazione della dichiarazione dei redditi (termine ordinario);
  • 7 anni in caso di mancata presentazione della dichiarazione.


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