La questione affrontata dal Tribunale di Castrovillari con sentenza n. 1994 del 5 dicembre 2025 riguarda una situazione sempre più comune nei condomini italiani: chi deve pagare per la cura dei giardini di proprietà esclusiva? La vicenda nasce dall'impugnazione di una delibera assembleare da parte di una proprietaria, che aveva acquistato un'unità immobiliare in un complesso condominiale nel novembre 2019. L'assemblea - riunitasi nell'agosto dello stesso anno - aveva deciso di ripartire tra tutti i condòmini le spese per lavori di giardinaggio, includendo anche interventi su aree private. La contestazione era duplice: da un lato si sosteneva che fosse illegittimo far pagare a tutti le spese per giardini altrui, dall'altro si lamentava una presunta sproporzione tra i costi destinati alle aree private rispetto a quelli per il verde comune. Il condominio si è difeso contestando integralmente le accuse, dando così il via a un procedimento giudiziario che ha portato a una pronuncia destinata a fare chiarezza su un tema delicato e spesso fonte di conflitti condominiali.
Il principio del decoro architettonico: quando la proprietà esclusiva conta per tutti
Il
Tribunale calabrese ha ribaltato completamente le pretese dell'attrice, spiegando con precisione i confini giuridici della questione. Il giudice ha innanzitutto chiarito che
la partecipazione alle spese condominiali non dipende necessariamente dalla proprietà comune del bene, ma può derivare dall'utilità che esso produce per tutte le unità immobiliari dell'edificio. Questo principio, consolidato dalla giurisprudenza, trova applicazione quando i giardini privati svolgono una funzione rilevante per il
decoro architettonico dell'intero fabbricato.
La sentenza ha richiamato un orientamento già espresso dalla
Cassazione civile nelle
sentenze n. 22573 del 16 ottobre 2020, n. 3666 del 18 aprile 1994 e dal
Tribunale di Roma con
sentenza n. 30798 del 20 settembre 2018, secondo cui le piante di alto fusto e i giardini possono, al tempo stesso, essere di proprietà esclusiva e rappresentare componenti essenziali del decoro del condominio. In sostanza,
se il tuo giardino contribuisce all'estetica e alla bellezza complessiva dell'edificio, la sua manutenzione diventa interesse comune e i costi possono legittimamente essere ripartiti secondo i millesimi di proprietà tra tutti i condòmini, come previsto dagli artt.
1123 e seguenti del Codice Civile.
La distinzione tra nullità e annullabilità: non tutte le delibere sbagliate sono uguali
Un aspetto importante della pronuncia riguarda la validità delle deliberazioni assembleari. Il Tribunale ha, infatti, precisato che
esistono diversi gradi di illegittimità: sono nulle soltanto le delibere che mancano degli elementi costitutivi essenziali o che hanno un contenuto illecito, cioè contrario a norme imperative, all'
ordine pubblico o al
buon costume. Tutte le altre violazioni di legge o del regolamento condominiale rendono la delibera semplicemente annullabile, e l'azione deve essere esercitata secondo le modalità e i termini stabiliti dall'
art. 1137 del c.c..
Nel caso specifico, la proprietaria aveva diritto a impugnare la delibera nonostante avesse acquistato l'immobile dopo la data della deliberazione stessa, seguendo il principio affermato dalla Cassazione civile con sentenza n. 2362 del 2007, secondo cui per la legittimazione ad agire conta la situazione esistente al momento della proposizione della domanda. Tuttavia, il Tribunale ha ritenuto che l'assemblea non avesse violato alcuna norma imperativa né travalicato le proprie attribuzioni deliberando la ripartizione delle spese per i giardini privati. La delibera non aveva modificato i criteri legali di ripartizione né violato il regolamento condominiale, risultando quindi pienamente legittima e valida.
L'onere della prova: chi contesta deve dimostrare
La sentenza del Tribunale di Castrovillari ha posto in evidenza un principio procedurale:
chi contesta una delibera ha l'onere di provare le proprie affermazioni. Nel caso esaminato, la proprietaria aveva lamentato una sproporzione tra le spese destinate alla manutenzione dei giardini privati e quelle riservate al verde comune, ma non aveva fornito alcuna prova concreta di tale squilibrio. Il giudice ha sottolineato che, in assenza di elementi dimostrativi sufficienti, la doglianza non poteva essere accolta. Sulla base della documentazione prodotta in giudizio, è emerso che i giardini oggetto degli interventi svolgevano effettivamente una funzione rilevante per il decoro architettonico dell'intero edificio, giustificando così la ripartizione generalizzata delle spese secondo le
tabelle millesimali.
La sentenza ha quindi respinto integralmente la domanda dell'attrice, condannandola al pagamento delle spese processuali in favore del condominio, liquidate secondo i parametri minimi previsti dal Decreto Ministeriale 55 del 2014. Questa pronuncia conferma che l'assemblea condominiale ha il potere di deliberare spese anche per beni di proprietà esclusiva, purché sussista un nesso funzionale con l'interesse comune dell'edificio. Al contempo, resta ferma la possibilità per i singoli condòmini di contestare sia l'effettiva incidenza sul decoro architettonico sia eventuali squilibri nella quantificazione delle somme, ma solo se tali contestazioni sono adeguatamente supportate da prove concrete e documentate.