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Commette violenza privata chi parcheggia in modo tale da rendere difficoltoso il transito delle altre autovetture?

Commette violenza privata chi parcheggia in modo tale da rendere difficoltoso il transito delle altre autovetture?
Chi parcheggia in modo tale da rendere solamente difficoltoso, per la persona offesa, eseguire la manovra di transito, non costituisce violenza privata se non ha determinato un impedimento assoluto alla libertà di movimento.
La Corte di Cassazione penale, con la sentenza n. 1912 del 17 gennaio 2018, ha fornito alcune interessanti precisazioni in ordine alla configurabilità del reato di “violenza privata” (art. 610 c.p.)

Il caso sottoposto all’esame della Cassazione ha avuto come protagonista un soggetto condannato per “violenza privata”, sia in primo che in secondo grado.

Nello specifico, il soggetto in questione era stato accusato di tale reato per aver posizionato la propria auto in modo tale da impedire il transito dell’auto della persona offesa.

Ritenendo la decisione ingiusta, l’imputato aveva deciso di rivolgersi alla Corte di Cassazione, nella speranza di ottenere l’annullamento della sentenza sfavorevole.

Nello specifico, l’imputato evidenziava come la Corte d’appello, nel confermare la sentenza di condanna di primo grado, non avesse dato corretta applicazione all’art. 610 c.p., dal momento che la Corte stessa aveva precisato che l’azione dell’imputato aveva “semplicemente determinato una riduzione della larghezza del passaggio utile, così enucleando una condotta inidonea ad integrare il reato di violenza privata”.

Evidenziava il ricorrente, peraltro, che era stato egli stesso a richiedere l’intervento delle forze dell’ordine, “così evidenziando la propria convinzione di avere agito in perfetta legalità”.

La Corte di Cassazione riteneva, in effetti, di dover aderire alle considerazioni svolte dall’imputato, accogliendo il relativo ricorso, in quanto fondato.

Osservava la Cassazione, infatti, che la Corte d’appello aveva effettuato una valutazione dei fatti di causa diversa da quella operata dal giudice di primo grado, ritenendo che il transito dell’auto della persona offesa non fosse stato “totalmente impedito” ma solo “reso difficoltoso data l’angustia dello spazio disponibile”.

Ebbene, la Cassazione evidenziava, in proposito, che, ai fini dell’integrazione del reato di “violenza privata”, “è necessario che la violenza o la minaccia costitutive della fattispecie incriminatrice comportino la perdita o, comunque, la significativa riduzione della libertà di movimento o della capacità di autodeterminazione del soggetto passivo”.

Secondo la Cassazione, invece, sono “penalmente irrilevanti (…) i comportamenti che, pur costituendo violazioni di regole deontologiche, etiche o sociali”, si rivelino inidonei a limitare la libertà di movimento, o ad influenzare significativamente il processo di formazione della volontà della persona offesa.

A detta della Cassazione, dunque, “la mera difficoltà, in capo alla parte offesa, ad eseguire la manovra, pur causata da una condotta volontaria e certamente censurabile da parte del ricorrente, non costituisce violenza privata se non ha determinato un impedimento assoluto alla libertà di movimento”.

Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione accoglieva il ricorso proposto dall’imputato, annullando la sentenza impugnata e rinviando la causa alla Corte d’appello, affinchè la medesima decidesse nuovamente sulla questione, in base ai principi sopra enunciati.


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