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Accusare un condomino di essere un cattivo pagatore e litigioso non è reato di diffamazione

Accusare un condomino di essere un cattivo pagatore e litigioso non è reato di diffamazione
Il diritto di critica prevale sul diritto alla dignità personale e consente di utilizzare espressioni forti e anche suggestive, al fine di rendere efficace il discorso e richiamare l'attenzione di chi ascolta.
E’ del 22 giugno 2017, un’interessante sentenza della Corte di Cassazione penale in tema di diffamazione e diritto di critica.

Nel caso esaminato dalla Cassazione, il Tribunale di Bari, in riforma della sentenza resa dal Giudice di Pace della stessa città, aveva assolto un imputato dal reato di “diffamazione” (art. 595 c.p.), del quale era stato accusato per aver inviato una lettera, allegata al verbale di un’assemblea di condominio, nella quale aveva definito una condomina come “notoriamente litigiosa e mal pagatrice”.

Secondo il Tribunale, infatti, la condotta in questione integrava il semplice esercizio del “diritto di critica”, “anche alla luce della sostanziale veridicità dell’accusa di morosità e delle numerose controversie legali intentate” dalla condomina nei confronti dell’imputato e del condominio.

Ritenendo la decisione ingiusta, la condomina (che si era costituita parte civile nel procedimento penale instaurato nei confronti del condomino, chiedendo il risarcimento del danno subito a seguito della presunta condotta diffamatoria), aveva deciso di rivolgersi alla Corte di Cassazione, nella speranza di ottenere l’annullamento della sentenza sfavorevole.

Secondo la condomina, infatti, il Tribunale aveva errato nel ritenere che il diritto di critica prevalesse sul diritto alla dignità personale.

Inoltre, secondo la condomina, “ utilizzare l’appellativo di ‘mal pagatore' ” rappresentava certamente un’offesa a lei e alla sua professionalità, in quanto tale espressione la faceva apparire come “non affidabile e di poco conto”.

La Corte di Cassazione, tuttavia, non riteneva di poter dar ragione alla condomina, rigettando il relativo ricorso, in quanto infondato.

Osservava la Cassazione, infatti, che il Tribunale era giunto alla conclusione di assolvere l’imputato a seguito di un attento esame della documentazione prodotta in corso di causa, dalla quale era emerso a seguito di diverse riunioni condominiali, il condominio aveva deciso di agire in giudizio nei confronti della ricorrente, in quanto la stessa non aveva pagato alcune somme dovute.

Di conseguenza, secondo la Cassazione, il Tribunale aveva, del tutto correttamente, ritenuto che le affermazioni del condomino accusato di diffamazione avessero un “sostanziale fondamento di verità”, in quanto, nella lettera oggetto di contestazione, non comparivano “gratuite valutazioni sulla persona o sulla professionalità” della condomina, ma si valutava in maniera negativa la sua generale condotta nei rapporti condominiali, “rimproverandole, in definitiva, un atteggiamento improntato a marcata ostilità” nei confronti del condomino imputato, “oltre che di non pronta disponibilità all’adempimento dei propri doveri di condomina”.

Evidenziava la Cassazione, inoltre, che non poteva essere messo in discussione il fatto che il “diritto di manifestazione del pensiero (sub specie di diritto di critica)consente di utilizzareespressioni forti ed anche suggestive, al fine di rendere efficace il discorso e richiamare l’attenzione di chi ascolta”.

Precisava la Corte, in particolare, che, il diritto di critica può dirsi legittimamente esercitato laddove sussistano i requisiti dell’interesse sociale della notizia, della continenza del linguaggio (le espressioni usate non devono essere oggettivamente denigratorie) e della verità del fatto narrato.

Ebbene, nel caso di specie, secondo la Cassazione, il Tribunale aveva correttamente escluso che le espressioni utilizzate nella lettera oggetto di contestazione, “fossero dirette alla denigrazione della persona offesa”, sia perché la condomina non era mai stata chiamata in causa come avvocato, “ma sempre solo come condomina”, sia perché i riferimenti alla litigiosità avevano sempre riguardato la condotta della condomina stessa nell’ambito dei rapporti condominiali.

Ciò considerato, la Cassazione rigettava il ricorso proposto dalla condomina, confermando integralmente la sentenza di secondo grado e condannando la ricorrente anche al pagamento delle spese processuali.


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