A partire dal 2026 il sistema di controllo delle caldaie domestiche potrebbe subire un vero e proprio cambio di paradigma. Secondo le anticipazioni emerse in questi giorni, il Ministero dell’Ambiente ha predisposto uno schema di regolamento che ridefinisce incisivamente le modalità di verifica degli impianti di climatizzazione invernale.
Il cambiamento ventilato è incisivo: al posto delle ispezioni fisiche, gli enti di controllo analizzeranno i rapporti di efficienza energetica e i dati caricati nei sistemi informativi regionali, verificando la conformità degli impianti senza accedere direttamente alle abitazioni. Analizziamo di seguito le novità più nel dettaglio.
Il nodo della riforma, come si anticipava, è incentrato sull’eliminazione delle ispezioni dirette per la quasi totalità delle caldaie residenziali: in luogo delle ispezioni saranno previsti controlli documentali effettuati da remoto. Una scelta che punta a snellire le procedure e ridurre i costi amministrativi, ma che apre interrogativi importanti sul piano della sicurezza, dell’efficienza energetica e della protezione ambientale.
Ma quali impianti saranno coinvolti? Dalla minore presenza dei controlli sul territorio deriveranno nuovi rischi?
La riforma prevede l’esclusione dalle ispezioni in loco di tutti gli impianti termici con potenza nominale inferiore a 70 kW. Si tratta di una soglia che include la quasi totalità delle caldaie murali e a basamento installate nelle abitazioni private, con un impatto potenziale su circa 20 milioni di generatori oggi operativi in Italia.
Con l’entrata in vigore del nuovo quadro normativo, per questi impianti non sarà più previsto il controllo periodico sul posto da parte dei tecnici incaricati dagli enti competenti. Verrà, quindi, meno una forma di verifica diretta che finora permetteva di valutare lo stato di conservazione degli apparecchi, l’efficienza della combustione e il corretto funzionamento dei dispositivi di sicurezza.
L’obiettivo dichiarato è la semplificazione del sistema e la riduzione degli oneri burocratici. Tuttavia, l’estensione della soglia a quasi tutto il comparto residenziale solleva dubbi sulla reale capacità del nuovo modello di prevenire guasti, inefficienze e situazioni di potenziale pericolo, soprattutto negli impianti più datati.
In assenza di sopralluoghi, il controllo si baserà principalmente sulla documentazione prodotta dai manutentori e sulle informazioni inserite nei catasti regionali. Questo spostamento di responsabilità modifica in modo significativo l’equilibrio tra vigilanza pubblica e affidamento alle autodichiarazioni.
Se, da un lato, il nuovo approccio consente una gestione più celere e meno costosa del sistema ispettivo, dall’altro, tuttavia, limita la possibilità di individuare criticità che spesso emergono solo attraverso verifiche strumentali sul campo: fattori quali l’usura degli scambiatori di calore o micro-perdite di gas o, ancora, malfunzionamenti dei dispositivi di sicurezza non sempre, invero, risultano evidenti dalla sola documentazione.
Il nuovo assetto affida quindi un ruolo chiave all’affidabilità dei manutentori e alla qualità dei dati raccolti, oltre che all’efficienza dei catasti regionali, chiamati a individuare le situazioni potenzialmente più rischiose.
Lo schema di decreto introduce anche una cadenza standard nazionale per i controlli di efficienza energetica, fissata in linea generale ogni quattro anni. L’intento è quello di rendere più omogenee le tempistiche su tutto il territorio nazionale.
Allo stesso tempo, alle Regioni viene riconosciuta la possibilità di prevedere controlli più frequenti qualora vi siano motivazioni tecniche o scientifiche. Una scelta che tutela l’autonomia locale, ma che potrebbe generare nuove differenze territoriali nei livelli di vigilanza sugli impianti termici.
L’avvio della riforma è previsto per il 2026 e sarà accompagnato da una fase transitoria necessaria ad adeguare le strutture di controllo. Componente strategica sarà l’individuazione di criteri oggettivi per selezionare gli impianti da sottoporre, comunque, a ispezione fisica. In assenza di controlli sistematici sul campo, diventerà essenziale adottare modelli di analisi del rischio basati su parametri come l’età dell’impianto, la tipologia del generatore, la regolarità della manutenzione e le anomalie riscontrate nei dati trasmessi.
Il cambiamento ventilato è incisivo: al posto delle ispezioni fisiche, gli enti di controllo analizzeranno i rapporti di efficienza energetica e i dati caricati nei sistemi informativi regionali, verificando la conformità degli impianti senza accedere direttamente alle abitazioni. Analizziamo di seguito le novità più nel dettaglio.
Il nodo della riforma, come si anticipava, è incentrato sull’eliminazione delle ispezioni dirette per la quasi totalità delle caldaie residenziali: in luogo delle ispezioni saranno previsti controlli documentali effettuati da remoto. Una scelta che punta a snellire le procedure e ridurre i costi amministrativi, ma che apre interrogativi importanti sul piano della sicurezza, dell’efficienza energetica e della protezione ambientale.
Ma quali impianti saranno coinvolti? Dalla minore presenza dei controlli sul territorio deriveranno nuovi rischi?
La riforma prevede l’esclusione dalle ispezioni in loco di tutti gli impianti termici con potenza nominale inferiore a 70 kW. Si tratta di una soglia che include la quasi totalità delle caldaie murali e a basamento installate nelle abitazioni private, con un impatto potenziale su circa 20 milioni di generatori oggi operativi in Italia.
Con l’entrata in vigore del nuovo quadro normativo, per questi impianti non sarà più previsto il controllo periodico sul posto da parte dei tecnici incaricati dagli enti competenti. Verrà, quindi, meno una forma di verifica diretta che finora permetteva di valutare lo stato di conservazione degli apparecchi, l’efficienza della combustione e il corretto funzionamento dei dispositivi di sicurezza.
L’obiettivo dichiarato è la semplificazione del sistema e la riduzione degli oneri burocratici. Tuttavia, l’estensione della soglia a quasi tutto il comparto residenziale solleva dubbi sulla reale capacità del nuovo modello di prevenire guasti, inefficienze e situazioni di potenziale pericolo, soprattutto negli impianti più datati.
In assenza di sopralluoghi, il controllo si baserà principalmente sulla documentazione prodotta dai manutentori e sulle informazioni inserite nei catasti regionali. Questo spostamento di responsabilità modifica in modo significativo l’equilibrio tra vigilanza pubblica e affidamento alle autodichiarazioni.
Se, da un lato, il nuovo approccio consente una gestione più celere e meno costosa del sistema ispettivo, dall’altro, tuttavia, limita la possibilità di individuare criticità che spesso emergono solo attraverso verifiche strumentali sul campo: fattori quali l’usura degli scambiatori di calore o micro-perdite di gas o, ancora, malfunzionamenti dei dispositivi di sicurezza non sempre, invero, risultano evidenti dalla sola documentazione.
Il nuovo assetto affida quindi un ruolo chiave all’affidabilità dei manutentori e alla qualità dei dati raccolti, oltre che all’efficienza dei catasti regionali, chiamati a individuare le situazioni potenzialmente più rischiose.
Lo schema di decreto introduce anche una cadenza standard nazionale per i controlli di efficienza energetica, fissata in linea generale ogni quattro anni. L’intento è quello di rendere più omogenee le tempistiche su tutto il territorio nazionale.
Allo stesso tempo, alle Regioni viene riconosciuta la possibilità di prevedere controlli più frequenti qualora vi siano motivazioni tecniche o scientifiche. Una scelta che tutela l’autonomia locale, ma che potrebbe generare nuove differenze territoriali nei livelli di vigilanza sugli impianti termici.
L’avvio della riforma è previsto per il 2026 e sarà accompagnato da una fase transitoria necessaria ad adeguare le strutture di controllo. Componente strategica sarà l’individuazione di criteri oggettivi per selezionare gli impianti da sottoporre, comunque, a ispezione fisica. In assenza di controlli sistematici sul campo, diventerà essenziale adottare modelli di analisi del rischio basati su parametri come l’età dell’impianto, la tipologia del generatore, la regolarità della manutenzione e le anomalie riscontrate nei dati trasmessi.