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Assegno divorzile e pensione di reversibilità

Famiglia - -
Assegno divorzile e pensione di reversibilità
Non viene riconosciuta la pensione di reversibilità nel caso in cui l'assegno divorzile sia stato corrisposto in un'unica soluzione.
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 9054 del 5 maggio 2016, ha fornito alcune interessanti precisazioni in tema di assegno divorzile corrisposto in un’unica soluzione (art. 5, legge n. 898 del 1970)

Nel caso esaminato dalla Cassazione, la Corte d’Appello aveva rigettato l’impugnazione proposta contro la sentenza di primo grado che condannava l’INPS al pagamento, in favore dell’attrice, della pensione di reversibilità (sulla pensione già in godimento dell’ex marito dal quale era divorziata).

Secondo la Corte, infatti, la costituzione in sede di divorzio di un diritto di abitazione sull'appartamento di proprietà dell’ex marito e di un diritto di comodato sui mobili esistenti, con contestuale rinunzia all'assegno di mantenimento già previsto in sede di separazione, “aveva funzione alternativa all'assegno divorzile e, pertanto, sussisteva il presupposto previsto dalla L. n. 898 del 1970, art. 9, comma 2, come modificato dalla L. n. 74 del 1987, art. 13, per il riconoscimento del diritto alla pensione di reversibilità”.

Contro tale sentenza, l’INPS decideva di proporre ricorso in Cassazione, evidenziando come la Corte d’Appello avesse erroneamente affermato “che il diritto di abitazione della casa coniugale e di comodato dei beni mobili ivi esistenti riconosciuto alla C. in sede di divorzio costituiva un assegno divorzile”.

La Corte, inoltre, avrebbe errato nel ritenere che “la rinuncia fatta in sede di divorzio all'assegno di mantenimento già stabilito in favore della C. con il provvedimento di separazione personale riguardasse la sola componente pecuniaria dell'assegno, che per il resto rimaneva integrato dal diritto di abitazione e dal comodato”.

Infatti, secondo il ricorrente, lo scopo degli artt. 9 e 4 della legge n. 898 del 1970 e dell’art. 5 della legge n. 263 del 2005, è quello “di assicurare al coniuge superstite un assegno periodico in continuità con l'assegno divorzile, laddove la costituzione di un diritto di abitazione ovvero l'erogazione di una somma una tantum, proprio perché non hanno i caratteri della periodicità, non possono essere ritenuti equivalenti all'assegno di divorzio, in mancanza del quale non può sorgere il diritto alla pensione di reversibilità”.

La Cassazione, in effetti, riteneva di dover aderire alle argomentazioni svolte dall’INPS.

Secondo la Corte, infatti, il diritto dell’ex coniuge alla pensione di reversibilità presupponeva “il mancato passaggio a nuove nozze e la titolarità dell'assegno di divorzio. Ulteriore condizione è che il rapporto (contributivo o di impiego) da cui trae origine il trattamento pensionistico sia anteriore alla sentenza di divorzio”.

In proposito, la medesima Corte di Cassazione, con la sentenza n. 23300 del 18 novembre 2010, aveva già precisato che “il diritto del coniuge divorziato alla pensione di reversibilità, o ad una quota di essa in caso di concorso con altro coniuge superstite, presuppone che il richiedente al momento della morte dell'ex coniuge sia titolare di assegno di divorzio giudizialmente riconosciuto ai sensi dell'art. 5 della legge predetta, non essendo sufficiente che egli versi nelle condizioni per ottenerlo e neppure che in via di fatto o anche per effetto di private convenzioni intercorse tra le parti abbia ricevuto regolari erogazioni economiche dal "de cuius" quando questi era in vita

Nel caso di specie, occorreva, secondo la Corte, “accertare se il presupposto della titolarità di un assegno di divorzio, ai fini del riconoscimento del diritto alla pensione di reversibilità, possa dirsi integrato dalla corresponsione di una somma di danaro una tantum o di altra utilità diversa dalla erogazione periodica di una somma di danaro, o ancora dal trasferimento o dalla costituzione di un diritto, come l'usufrutto o l'abitazione”.

Secondo la Cassazione, tuttavia, tale diritto “compete soltanto nel caso in cui, in sede di regolamentazione dei rapporti economici al momento del divorzio, le parti abbiano convenuto di non regolarli mediante corresponsione di un capitale una tantum”, in quanto in tal modo, viene garantita “anche per il futuro, la provvista, in favore del beneficiario del trasferimento del capitale, dei mezzi adeguati al suo sostentamento”.

Di conseguenza, andava affermato il principio di diritto secondo cui, in caso di divorzio, se gli ex coniugi hanno convenuto di definire i loro rapporti economici in un’unica soluzione, attribuendo al coniuge che abbia diritto alla corresponsione dell'assegno periodico di mantenimento una determinata somma di denaro o altre utilità, deve escludersi che il coniuge possa, poi, avanzare ulteriori pretese di natura economica e, in particolare, che possa essere considerato titolare, al momento del decesso dell’ex coniuge, dell’assegno di divorzio accedendo alla pensione di reversibilità.


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