Quando si parla di prestazioni economiche riconosciute alle persone con disabilità e strumenti di inserimento lavorativo, a volte è necessario operare un chiarimento di ordine giuridico.
Questo perché il sistema italiano non prevede un’unica “pensione di invalidità”, ma una pluralità di benefici, differenti per presupposti sanitari, requisiti reddituali e finalità.
Nel nostro ordinamento, le prestazioni economiche legate alla disabilità civile sono strettamente collegate alla percentuale di disabilità riconosciuta dalle commissioni medico-legali competenti. Al di sotto di determinate soglie non è previsto alcun beneficio economico diretto, mentre al superamento di specifici limiti percentuali la legge riconosce diversi tipi di sussidi. È, quindi, essenziale distinguere tra le varie misure, evitando di parlare in modo generico di “pensione di invalidità”, espressione che spesso genera confusione.
Per le persone con disabilità con una percentuale pari o superiore al 74%, ma inferiore al 100%, l’ordinamento prevede l’assegno mensile di assistenza, subordinato però al rispetto di determinati limiti di reddito personale e alla condizione di non svolgere attività lavorativa. Si tratta di una prestazione assistenziale, non contributiva, che ha lo scopo di garantire un sostegno minimo a chi presenta una riduzione significativa della capacità lavorativa. Diversa è la pensione di inabilità civile, riconosciuta alle persone con disabilità totale, cioè con una percentuale del 100 per cento, anch’essa soggetta a requisiti reddituali e finalizzata a tutelare chi è considerato completamente inabile al lavoro.
Accanto a queste prestazioni economiche esistono benefici che non dipendono direttamente dalla percentuale, ma in generale dalla condizione di disabilità o di mancata autosufficienza, come l’indennità di accompagnamento, che prescinde dal reddito e viene riconosciuta quando la persona necessita di assistenza continua o non è in grado di deambulare autonomamente. Questo quadro dimostra come la percentuale di disabilità incida in modo determinante sul tipo di tutela riconosciuta, ma non esaurisca l’intero sistema di protezione.
Il riconoscimento dell’invalidità può essere temporaneo e soggetto a revisione dopo un dato termine. In tal caso, cosa succede se, a seguito di revisione sanitaria, la percentuale di disabilità viene ridotta al di sotto della soglia necessaria per continuare a percepire una prestazione economica assistenziale? Il venir meno dell’assegno o della pensione non comporta automaticamente l’assenza di ogni tutela, ma determina un diverso inquadramento della persona nel sistema, con il possibile accesso agli strumenti di politica attiva del lavoro previsti per le persone con disabilità.
È in questo contesto che assume rilievo il collocamento mirato, disciplinato dalla legge n. 68 del 1999. Il collocamento mirato non è una misura assistenziale, bensì un insieme di strumenti giuridici e tecnici finalizzati a favorire l’inserimento e l’integrazione lavorativa delle persone con disabilità, tenendo conto delle loro capacità residue, delle competenze professionali e delle condizioni personali. L’iscrizione nelle liste del collocamento mirato è possibile, in linea generale, a partire da una percentuale di disabilità pari almeno al 45%, anche in assenza del diritto a un sussidio economico.
La logica sottesa alla normativa è quella di superare un modello esclusivamente assistenziale e promuovere la partecipazione attiva alla vita lavorativa. Il collocamento mirato prevede una valutazione personalizzata della persona con disabilità, l’individuazione di mansioni compatibili e, se necessario, l’adattamento del posto di lavoro. Ai datori di lavoro, pubblici e privati, sono imposti specifici obblighi di assunzione, proporzionati alle dimensioni dell’organico, e sono previsti incentivi economici per favorire l’inserimento stabile.
Non si può parlare di una generalizzata “abolizione” delle prestazioni per le persone con disabilità, ma piuttosto di un sistema articolato, in cui il riconoscimento o la perdita di un beneficio dipende dalla percentuale di disabilità e dalla situazione concreta della singola persona. In questo scenario, il collocamento mirato rappresenta uno strumento centrale di tale sistema.