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L’abitazione di un immobile in assenza di valido contratto di compravendita impedisce l’usucapione

L’abitazione di un immobile in assenza di valido contratto di compravendita impedisce l’usucapione
Se l’acquirente abita l’immobile per oltre vent’anni in virtù di un contratto di compravendita affetto da nullità, si instaura un tacito contratto di comodato che impedisce l’usucapione.
La Corte di Cassazione, con sentenza n. 21726 del 2019, si è occupata del caso di un’impresa edile la quale aveva consegnato un appartamento ad un acquirente, in difetto tuttavia di un valido contratto di compravendita, che non era stato concluso né mediante atto pubblico né attraverso una scrittura privata.
Diversi anni dopo la concessione in godimento dell’immobile, l’impresa aveva preteso la restituzione dell’appartamento poiché, a suo dire, era stato occupato senza titolo.
Il tribunale di merito, sia in primo grado che in Appello, aveva respinto l’istanza dell’impresa edile, dichiarando intervenuta l’usucapione dell’appartamento da parte dell’acquirente.
La Cassazione, tuttavia, ragionando diversamente, ha invece affermato che l’usucapione non poteva ritenersi realizzata, non costituendo presupposto per il maturarsi dell’usucapione il fatto che l’acquirente abbia abitato nella casa per oltre vent’anni. A nulla rileverebbe, poi, che il compratore abbia durante quegli anni provveduto al pagamento delle utenze e delle spese dell’immobile in questione.
Nel caso di specie, affermano i giudici, il titolo in virtù del quale l’acquirente ha abitato l’immobile non è certo il contratto di compravendita, da considerarsi radicalmente nullo per la mancanza della forma scritta ad substantiam, ai sensi dell’art. art. 1350 del c.c..
Non si è creata, di conseguenza, in capo all’acquirente, una valida situazione di “possesso”, l’unica idonea a legittimare un acquisto per intervenuta usucapione ventennale.
Viceversa, la situazione giuridica in cui si trovava l’acquirente era quella della mera “detenzione”, non sufficiente ad integrare il presupposto dell’usucapione, ma idonea, invece, a configurare un’ipotesi di comodato tacito.
Concretamente, infatti, è proprio questo il contratto che era stato stipulato tra le parti: un comodato tacito, grazie al quale il compratore aveva continuato ad abitare l’immobile pur in assenza di un valido titolo di compravendita.
Per mutare la situazione, trasformandola da detenzione in possesso, sarebbe stato necessario che si verificasse una “interversione nel possesso”, figura giuridica che consente di mutare il titolo per causa proveniente da un terzo o in forza di opposizione fatta dall’interessato contro il possessore originario. Nel caso sottoposto all’attenzione della Cassazione, tale interversione non si è verificata. Di conseguenza, non si poteva che concludere per la qualificazione della fattispecie come figura di comodato tacito.
In virtù del contratto di comodato, come noto, è sempre possibile per il comodante chiedere la restituzione del bene. In particolare, nel caso di comodato senza determinazione di durata, il comodatario è tenuto a restituire il bene non appena il comodante lo richiede.


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