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Articolo 62 Codice di procedura civile

(R.D. 28 ottobre 1940, n. 1443)

[Aggiornato al 02/03/2024]

Attività del consulente

Dispositivo dell'art. 62 Codice di procedura civile

Il consulente compie le indagini che gli sono commesse dal giudice (1) e fornisce, in udienza e in camera di consiglio, i chiarimenti che il giudice gli richiede a norma degli articoli 194 e seguenti, e degli articoli 441 e 463 [disp. att. 90, 91, 92] (2) (3).

Note

(1) La consulenza tecnica può essere di due tipi, deducente o percipiente. La prima si ha quando il giudice affida al consulente il semplice incarico di valutare fatti già accertati o dati preesistenti, in tal caso la sua attività non può produrre prova. Nel secondo caso invece, al consulente tecnico d’ufficio è conferito l’incarico dì accertare fatti non altrimenti accertabili se non con l’impiego di tecniche o conoscenze particolari. Solo in quest'ultimo caso la c.t.u. diventa una fonte diretta di prova ed è utilizzabile al pari di ogni altra prova ritualmente acquisita al processo.

(2) La norma si riferisce ad i chiarimenti che devono essere forniti esclusivamente sui fatti specificamente indicati dalle parti e, quindi, dal giudice, formulati in quesiti sottoposti all'attenzione del c.t.u.. In appello, oggetto di tali quesiti può anche essere una precedente consulenza e questo costituisce l'unico modo, per il giudice di secondo grado, di contestare le conclusioni del consulente nominato nel grado precedente.
Per ciò che concerne il potere del giudice, questo può contestare le conclusioni del c.t.u., dandone piena spiegazione nella motivazione della sentenza.
Diversamente, se concorda con esse, in motivazione può anche limitarsi a farvi espresso rinvio.
(3) Gli articoli 441 e 463 c.p.c. devono intendersi sostituiti ad opera della legge 11 agosto 1973 n.533 nelle controversi in materia di lavoro, con gli artt. 424 e 445.

Spiegazione dell'art. 62 Codice di procedura civile

L’art. 62 c.p.c. può considerarsi come una norma programmatica, in quanto anticipa le previsioni che poi si ritroveranno all’art. 194 del c.p.c..
Intanto va detto, come già sostenuto nella norma che precede, che la funzione della consulenza tecnica è sostanzialmente quella di offrire al giudice un ausilio nella risoluzione di questioni che presuppongono nozioni di ordine esclusivamente tecnico e non giuridico; il consulente deve integrare le conoscenze del giudice stesso, fornendogli gli elementi tecnici necessari per valutare le prove che già sono state acquisite.
La consulenza, invece, diviene fonte oggettiva di prova qualora venga disposta per valutare fatti già accertati, ma anche per accertare quei fatti che sono rilevabili solo con l’ausilio di un perito.

Nell’espletamento del suo incarico il consulente ha il potere di espletare indagini, per cercare di attingere aliunde dati e notizie, qualora questi non siano rilevabili dagli atti processuali e concernano fatti e situazioni che formano oggetto del suo accertamento, o ancora quando ciò sia necessario per espletare meglio il compito che gli è stato affidato.
Di tali indagini, che possono anche concorrere alla formazione del convincimento del giudice, è opportuno che ne vengano indicate le fonti, in modo che le parti abbiano possibilità di effettuarne il dovuto controllo.
Un esempio di tale attività lo si può riscontrare nella sempre più diffusa consulenza tecnica c.d. psicologica, ossia volta all’esame sia della personalità di un soggetto (esempio, il figlio minore) sia del tipo di rapporto interpersonale che può intercorrere tra i componenti di un gruppo familiare.

Un tema molto discusso sia in dottrina che in giurisprudenza è quello relativo alla sussistenza di un onere di motivazione per il giudice che, nel pronunciare la sentenza, intenda aderire o meno alle conclusioni del consulente tecnico.
Così, con particolare riferimento al caso in cui il giudice, nel suo provvedimento conclusivo, aderisca alle conclusioni del consulente, si ritiene che non sia obbligato ad enunciare, a sostegno della sua decisione, alcuna motivazione espressa, che riproduca il percorso tecnico-valutativo seguito dal suo ausiliario nella relazione, giustificando i motivi di adesione alla consulenza.
In caso di dissenso, invece, si afferma, in modo pressoché unanime, che il giudice deve adeguatamente motivare la propria valutazione critica, ancorandola alle risultanze processuali.

Per quanto concerne il rapporto tra la parte ed il consulente, si afferma che la parte può svolgere nuove ragioni di dissenso e contestazione avverso le conclusioni del CTU anche in sede di comparsa conclusionale, trattandosi di argomenti relativi a fatti già acquisiti al processo, che non ampliano l’ambito oggettivo della controversia.

Espletato il suo incarico, il consulente matura il diritto ad un compenso, che, come viene detto nella spiegazione della norma che precede, va determinato avendo riguardo alla completezza e qualità dell’attività espletata, in relazione al concreto tenore dei quesiti proposti e delle risposte fornite.
Anche gli ausiliari di cui il consulente si avvale hanno diritto ad un compenso, il quale viene normalmente ricompreso in quello liquidato al CTU (a tal fine si reputa opportuno che il giudice specifichi nel suo decreto di liquidazione sia l’attività strumentale svolta dagli ausiliari sia i criteri adottati per liquidare il compenso ad essi spettante).
Il decreto che liquida le competenze del CTU costituisce titolo provvisoriamente esecutivo e assume definitiva validità ed efficacia esecutiva se non viene opposto nei termini.
L’eventuale giudizio di opposizione al decreto di liquidazione dei compensi non ha natura di impugnazione, da devolvere ad un organo giudiziario sovraordinato, ma è un semplice procedimento contenzioso, volto a far acquisire definitività al provvedimento opposto.

Il termine per la proposizione dell’opposizione decorre dalla data della comunicazione di cancelleria dell’avvenuto deposito del decreto di liquidazione dei compensi; ai fini del rispetto di tale termine è sufficiente il deposito del ricorso in cancelleria, in quanto la notifica del ricorso può anche avvenire successivamente, purchè si perfezioni in tempo utile per l’udienza fissata con il decreto presidenziale.
Contraddittori necessari del giudizio di opposizione al decreto di liquidazione sono sia il consulente sia tutti i soggetti a carico dei quali è posto l’obbligo di corrispondere il compenso, il che comporta che il decreto di comparizione degli interessati, in camera di consiglio innanzi al collegio, deve essere notificato anche a questi ultimi.
Il giudice dell’opposizione ha il potere dovere di verificare la correttezza della liquidazione in base ai criteri legali, potendosi anche discostare dalle prospettazioni dell’istante, con il solo obbligo di non superare la somma richiesta, e ciò nel rispetto del c.d. principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato di cui all’art. 112 del c.p.c..

Il decreto con il quale si decide sul giudizio di opposizione incide in modo definitivo su diritti soggettivi e, pertanto, può assimilarsi ad una sentenza, e sarà in quanto tale ricorribile in Cassazione ex art. 111 Cost..
Nel solo caso in cui il giudice non abbia provveduto nella sentenza che decide la causa (e nel corso della quale è stata compiuta l’attività di consulenza) ad alcuna liquidazione in favore dell’esperto, si ritiene che il consulente possa fare ricorso alla procedura monitoria, al fine di vedersi riconosciuto il compenso per l’attività svolta.

Massime relative all'art. 62 Codice di procedura civile

Cass. civ. n. 11917/2021

Qualora il giudice del merito aderisca al parere del consulente tecnico d'ufficio, non è tenuto ad esporne in modo specifico le ragioni poiché l'accettazione del parere, delineando il percorso logico della decisione, ne costituisce adeguata motivazione, non suscettibile di censure in sede di legittimità, ben potendo il richiamo, anche "per relationem" dell'elaborato, implicare una compiuta positiva valutazione del percorso argomentativo e dei principi e metodi scientifici seguiti dal consulente; diversa è l'ipotesi in cui alle risultanze della consulenza tecnica d'ufficio siano state avanzate critiche specifiche e circostanziate, sia dai consulenti di parte che dai difensori: in tal caso il giudice del merito, per non incorrere nel vizio ex art. 360 n. 5 c.p.c., è tenuto a spiegare in maniera puntuale e dettagliata le ragioni della propria adesione all'una o all'altra conclusione. (Rigetta, COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST. PESCARA, 23/07/2013).

Cass. civ. n. 26893/2017

Il consulente tecnico d'ufficio può acquisire documenti pubblicamente consultabili o provenienti da terzi o dalle parti nei limiti in cui siano necessari sul piano tecnico ad avere riscontro della correttezza delle affermazioni e produzioni documentali delle parti stesse, o quando emerga l'indispensabilità dell'accertamento di una situazione di comune interesse, indicandone la fonte di acquisizione e sottoponendoli al vaglio del contraddittorio ma non può ricercare "aliunde" ciò che costituisce materia rimessa all'onere di allegazione e prova delle parti stesse. (Nella specie la S.C. ha ritenuto rientrante nel potere d'indagine del consulente tecnico d'ufficio l'acquisizione di una circolare della casa produttrice di una macchina escavatrice, dovendone l'ausiliare verificare il funzionamento).

Cass. civ. n. 23133/2015

Il consulente tecnico d'ufficio che abbia inutilmente chiesto il dovuto in base al decreto di liquidazione provvisoria del compenso può esigerne il pagamento solidale dalle parti a prescindere dalla diversa ripartizione della spesa contenuta nella sentenza che ha definito il giudizio, in quanto - salvi i rapporti interni tra le parti - l'ausiliare opera nell'interesse della giustizia in virtù di un mandato neutrale.

Cass. civ. n. 4362/2015

La pronuncia sull'opposizione al decreto di liquidazione dei compensi agli ausiliari, ex art. 170 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (nella formulazione, applicabile "ratione temporis", antecedente alle modifiche introdotte dall'art. 15 del d.lgs. 1 settembre 2011, n. 150), spetta alla competenza funzionale del presidente dell'ufficio giudiziario in composizione monocratica, con riferimento non solo all'ufficio ma anche alla persona del titolare di questo, sicché la decisione assunta dal tribunale in composizione collegiale è nulla per vizio di costituzione del giudice ai sensi dell'art. 158 cod. proc. civ., in quanto esplicazione di funzioni decisorie da parte di magistrati ai quali le stesse non sono attribuite dalla legge. (Cassa con rinvio, Trib. Trieste, 12/12/2008).

Cass. civ. n. 27515/2014

Il decreto di liquidazione dei compensi al ctu ha natura giudiziale, suscettibile di acquisire valore di cosa giudicata se non tempestivamente impugnato, sicché la sua interpretazione, in sede di opposizione ad esecuzione, deve conformarsi ai criteri interpretativi del giudicato esterno, e si risolve in un giudizio di fatto censurabile in sede di legittimità solo per violazione dei criteri giuridici che regolano l'estensione e i limiti del giudicato, ovvero se il procedimento interpretativo adottato dal giudice dell'opposizione non sia immune da vizi logici od errori di diritto. (Dichiara inammissibile, Giud. Pace Manduria, 10/09/2008).

Cass. civ. n. 7294/2013

Nel giudizio di opposizione al decreto di liquidazione del compenso a favore del consulente tecnico d'ufficio, il giudice deve verificare se l'opera svolta dall'ausiliare sia rispondente ai quesiti posti dal giudice che ha conferito l'incarico, tenuto conto, ai sensi dell'art. 51 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, della difficoltà, completezza e pregio della relazione peritale, che costituiscono i parametri per la determinazione del compenso. (Cassa con rinvio, Trib. Latina, 13/05/2008).

Cass. civ. n. 19161/2009

Il procedimento di opposizione, ex art. 170 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, al decreto di liquidazione dei compensi ai custodi e agli ausiliari del giudice (oltre che ai decreti di liquidazione degli onorari dovuti ai difensori nominati nell'ambito del patrocinio a spese dello Stato), introduce una controversia di natura civile, indipendentemente dalla circostanza che il decreto di liquidazione sia stato pronunciato in un giudizio penale, e deve quindi essere trattato da magistrati addetti al servizio civile, con la conseguenza che la trattazione del ricorso per cassazione avverso l'ordinanza che lo decide spetta alle sezioni civili della Corte di cassazione. Tuttavia, qualora l'ordinanza che decide l'opposizione sia stata adottata da un giudice addetto al servizio penale, si configura una violazione delle regole di composizione dei collegi e di assegnazione degli affari che non determina né una questione di competenza né una nullità, ma può giustificare esclusivamente conseguenze di natura amministrativa o disciplinare. (Rigetta, Trib. Reggio Emilia, 26/04/2004).

Cass. civ. n. 16471/2009

In tema di consulenza tecnica d'ufficio, il consulente può avvalersi dell'opera di esperti specialisti, al fine di acquisire, mediante gli opportuni e necessari sussidi tecnici, tutti gli elementi di giudizio, senza che sia necessaria una preventiva autorizzazione del giudice, né una nomina formale, purché egli assuma la responsabilità morale e scientifica dell'accertamento e delle conclusioni raggiunte dal collaboratore e fatta salva una valutazione in ordine alla necessità del ricorso a tale esperto "esterno" svolta successivamente dal giudice.

Cass. civ. n. 6155/2009

La consulenza tecnica di ufficio, non essendo qualificabile come mezzo di prova in senso proprio, perché volta ad aiutare il giudice nella valutazione degli elementi acquisiti o nella soluzione di questioni necessitanti specifiche conoscenze, è sottratta alla disponibilità delle parti ed affidata al prudente apprezzamento del giudice di merito. Questi può affidare al consulente non solo l'incarico di valutare i fatti accertati o dati per esistenti (consulente deducente), ma anche quello di accertare i fatti stessi (consulente percipiente), ed in tal caso è necessario e sufficiente che la parte deduca il fatto che pone a fondamento del suo diritto e che il giudice ritenga che l'accertamento richieda specifiche cognizioni tecniche. (Nella fattispecie, relativa ad una causa di risarcimento dei danni provocati ad una canalizzazione Telecom durante i lavori su una barriera di protezione stradale, la S.C. ha ritenuto legittimamente disposta dal giudice una CTU per accertare quale fosse l'ubicazione dei cavi, non essendovi dubbi sul loro interramento).

Cass. civ. n. 282/2009

In tema di indagini compiute dal consulente tecnico d'ufficio ai fini della dichiarazione giudiziale di paternità, ai sensi dell'art. 269 cod. civ., non ogni ipotesi prospettata dalle parti deve essere dal medesimo esaminata per pervenire al giudizio di certezza o di elevatissima probabilità della paternità, ma solo quelle che appaiano suffragate da solidi argomenti scientifici e concreti riscontri in fatto. (Nella specie, tale non è stata considerata dalla S.C. l'affermazione di un isolato genetico proprio di una comunità comunque integrata nel territorio nazionale da diversi secoli, il quale avrebbe potuto astrattamente influire sull'esito dell'accertamento scientifico ematologico-genetico che era pervenuto a conclusioni di pratica certezza).

Il giudice del merito, quando aderisce alle conclusioni del consulente tecnico che nella relazione abbia tenuto conto, replicandovi, dei rilievi dei consulenti di parte, esaurisce l'obbligo della motivazione con l'indicazione delle fonti del suo convincimento; non è quindi necessario che egli si soffermi anche sulle contrarie allegazioni dei consulenti tecnici di parte che, seppur non espressamente confutate, restano implicitamente disattese perché incompatibili con le conclusioni tratte. In tal caso, le critiche di parte, che tendano al riesame degli elementi di giudizio già valutati dal consulente tecnico, si risolvono in mere argomentazioni difensive, che non possono configurare il vizio di motivazione previsto dall'art. 360 n. 5 cod. proc. civ.. (Rigetta, App. Catanzaro, 22/01/2007).

Cass. civ. n. 21412/2006

La consulenza tecnica d'ufficio ha la funzione di fornire all'attività valutativa del giudice l'apporto di cognizioni tecniche che egli non possiede, ma non è certo destinata ad esonerare le parti dalla prova dei fatti dalle stesse dedotti e posti a base delle rispettive richieste, fatti che devono essere dimostrati dalle medesime parti alla stregua dei criteri di ripartizione dell'onere della prova previsti dall'art. 2697 c.c. .

Cass. civ. n. 4660/2006

La consulenza tecnica d'ufficio è un mezzo istruttorio (e non una prova vera e propria) sottratto alla disponibilità delle parti ed affidato al prudente apprezzamento del giudice del merito, rientrando nel suo potere discrezionale la valutazione di disporre la nomina dell'ausiliario giudiziario e la motivazione dell'eventuale diniego può anche essere implicitamente desumibile dal contesto generale delle argomentazioni svolte e dalla valutazione del quadro probatorio unitariamente considerato effettuata dal suddetto giudice. (Nella specie, la S.C., con riferimento ad un giudizio riguardante la responsabilità civile derivante dalla circolazione stradale, ha rilevato l'inammissibilità della relativa censura prospettata dai ricorrenti circa la mancata ammissione della c.t.u., avendo i giudici del merito dimostrato, con adeguata e logica motivazione, la superfluità di un accertamento tecnico circa la «dinamica» del sinistro, ritenendo più che sufficienti gli elementi acquisiti in atti, soprattutto rilevandosi che, nel caso in esame, non si trattava tanto di valutare una questione per la quale era necessario il possesso di particolari cognizioni tecniche, ma di esporre un apprezzamento giuridico sulla responsabilità dei conducenti di due veicoli che erano venuti in collisione tra di loro, alla luce di circostanze obiettivamente emergenti).

Cass. civ. n. 212/2006

Tenuto conto che la consulenza tecnica d'ufficio ha la funzione di offrire al giudice l'ausilio delle specifiche conoscenze tecnico-scientifiche che si rendono necessarie al fine del decidere, tale mezzo istruttorio - presupponendo che siano stati forniti dalle parti interessate concreti elementi a sostegno delle rispettive richieste -non può essere utilizzato per compiere indagini esplorative dirette all'accertamento di circostanze di fatto, la cui dimostrazione rientri, invece, nell'onere probatorio delle parti.

Cass. civ. n. 27002/2005

Il giudice può affidare al consulente tecnico non solo l'incarico di valutare i fatti accertati o dati per esistenti (cosiddetto consulente deducente), ma anche quello di accertare i fatti stessi (cosiddetto consulente percipiente). Nel secondo caso, in cui la consulenza costituisce essa stessa fonte di prova, è necessario e sufficiente che la parte interessata deduca il fatto e che il giudice ritenga che l'accertamento richieda specifiche cognizioni tecniche. (Nella specie, la S.C., nel respingere il relativo motivo di ricorso, ha ritenuto corretta la motivazione della sentenza impugnata con la quale era stata ravvisata l'ammissibilità della consulenza tecnica disposta dal giudice di primo grado in una controversia locatizia in cui si era prospettata la necessità di rilevare le caratteristiche tecniche dell'immobile locato e valutarne la conformità, negata dalla parte ricorrente, a quelle richieste dalla categoria catastale attribuita dall'ufficio tecnico).

Cass. civ. n. 9300/2004

Qualora il giudice di appello, esaminando i risultati di due successive consulenze tecniche di ufficio disposte entrambe di sede di gravame e fra loro contrastanti, aderisca al parere del secondo consulente respingendo quello del primo, la motivazione della sentenza è sufficiente, anche se tale adesione non sia specificamente giustificata, ove il parere cui è prestata adesione fornisca gli elementi che consentano, su un piano positivo, di delineare il percorso logico seguito e, su un piano negativo, di escludere la rilevanza di elementi di segno contrario, siano essi esposti nella seconda relazione o deducibili "aliunde". Una specifica giustificazione è, invece, necessaria nella diversa ipotesi di adesione alle conclusioni della prima di due divergenti consulenze tecniche disposte dallo stesso giudice.

Cass. civ. n. 4993/2004

La consulenza tecnica non è solo strumento di valutazione tecnica, ma anche di accertamento e ricostruzione dei fatti storici prospettati dalle parti, senza peraltro costituire mezzo sostitutivo dell'"onus probandi" gravante su di esse. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che, in un incidente stradale, essendo incontroverso che il trasportato era stato sbalzato fuori dal veicolo, aveva ritenuto accertati dalla consulenza il mancato allaccio della cintura di sicurezza e l'incidenza eziologia di tale omissione sull'evento dannoso).

Cass. civ. n. 3105/2004

In caso di inutile decorso del termine fissato dall'art. 192 c.p.c. per la proposizione della istanza di ricusazione del C.T.U., la valutazione delle ragioni che giustificano un provvedimento di sostituzione dello stesso C.T.U., a norma dell'art. 196 del codice di rito, è rimessa esclusivamente al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se correttamente e logicamente motivata.

Cass. civ. n. 88/2004

In tema di procedimento civile, la consulenza tecnica d'ufficio — che può costituire fonte oggettiva di prova tutte le volte che opera come strumento di accertamento di situazioni di fatto rilevabili esclusivamente attraverso il ricorso a determinate cognizioni tecniche — è un mezzo istruttorio sottratto alla disponibilità delle parti e rimesso al potere discrezionale del giudice, il cui esercizio incontra il duplice limite del divieto di servirsene per sollevare le parti dall'onere probatorio e dell'obbligo di motivare il rigetto della relativa richiesta. Ne consegue che il giudice che non disponga la consulenza richiesta dalla parte è tenuto a fornire adeguata dimostrazione — suscettibile di sindacato in sede di legittimità — di potere risolvere, sulla base di corretti criteri, tutti i problemi tecnici connessi alla valutazione degli elementi rilevanti ai fini della decisione, senza potere, per converso, disattendere l'istanza stessa ritenendo non provati i fatti che questa avrebbe verosimilmente accertato.

Cass. civ. n. 4637/1983

Non comporta nullità della consulenza tecnica l'espletamento della relazione in forma orale anziché scritta, in quanto l'art. 62 c.p.c. prevede espressamente tale relazione in udienza da parte del consulente tecnico in riferimento alle indagini a lui commesse.

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