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Articolo 647 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 27/03/2024]

Onere

Dispositivo dell'art. 647 Codice Civile

Tanto all'istituzione di erede quanto al legato può essere apposto un onere(1) [549, 629, 671, 690 c.c.].

Se il testatore non ha diversamente disposto, l'autorità giudiziaria, qualora ne ravvisi l'opportunità, può imporre all'erede(2) o al legatario(3) gravato dall'onere una cauzione(4) [1179 c.c., 119, 750 c.p.c.].

L'onere impossibile(5) o illecito(6) si considera non apposto [634]; rende tuttavia nulla la disposizione, se ne ha costituito il solo motivo determinante(7) [629, 647, 794 c.c.].

Note

(1) L'onere consiste in una clausola testamentaria che impone all'erede o al legatario di tenere un certo comportamento (dare, fare o non fare) a beneficio di terzi o dell'onerato stesso o del de cuius per il tempo in cui avrà cessato di vivere.
Nel caso in cui l'erede o il legatario rifiutino l'eredità o il legato, l'onere si trasferisce in capo a colui che acquista effettivamente l'eredità.
Esempio di onere è l'obbligazione imposta all'erede di corrispondere un premio di € 1.000,00 al vincitore di una specifica gara sportiva.
L'onere si distingue dalla condizione sia sospensiva che risolutiva: il modo crea un obbligo, la condizione sospende l'efficacia della disposizione o ne fa venir meno gli effetti.
Quanto al criterio distintivo tra onere e legato si è osservato che nel primo il beneficiato è indeterminato ma determinabile, nel secondo è determinato.
(2) L'erede risponde dei debiti e dei pesi ereditari ultra vires, ossia anche con il proprio patrimonio laddove quello ereditario non sia sufficiente, fatta salva la quota di legittima per i legittimari.
(3) Il legatario è tenuto all'adempimento dell'onere nei limiti di quanto ricevuto (si parla di responsabilità intra vires).
(4) La cauzione serve, da un lato, per indurre l'onerato ad adempiere, dall'altro, per garantire il risarcimento degli eventuali danni da inadempimento.
In caso di mancata prestazione della cauzione non si ritiene applicabile la disciplina dettata dall'art. 641 c. 2 del c.c..
(5) Deve trattarsi di un'impossibilità che non dipende dall'onerato, poichè in tal caso si dovrebbe parlare di inadempimento e non di impossibilità.
(6) L'impossibilità o l'illiceità si determina al momento dell'apertura della successione (v. art. 456 del c.c.).
(7) Tale circostanza può risultare dalla scheda testamentaria o essere ricavata interpretando la volontà testamentaria.

Ratio Legis

L'onere consente al testatore di esprimere la propria volontà imponendo all'onerato un'obbligazione dall'inadempimento della quale può derivare la risoluzione della disposizione testamentaria stessa.

Brocardi

Modum non tam verba faciunt, quam voluntas defuncti
Modus

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

315 Di un'altra modificazione devo rendere conto, concernente la norma sull'onere illecito o impossibile (art. 647 del c.c.). Il corrispondente articolo del progetto definitivo stabiliva che l'illiceità o l'impossibilità dell'onere rendesse nulla la disposizione, quando l'efficacia determinante dell'onere sulla disposizione risultasse dallo stesso testamento. Questa limitazione espressa mancava nell'altra norma del progetto sul motivo illecito (art. 168), poiché quivi si stabiliva semplicemente la nullità della disposizione sol che risultasse l'influenza decisiva del motivo illecito sulla volontà testamentaria, senza peraltro specificare le fonti da cui tale efficacia si poteva desumere. Ho creduto necessario seguire per entrambe le ipotesi un criterio uniforme, in quanto la norma sull'onere illecito o impossibile è sostanzialmente un'applicazione dell'altra sul motivo illecito. Quanto al merito della soluzione, mi è sembrato preferibile il criterio meno rigido, di non esigere che l'efficacia causale del motivo risulti esclusivamente dal testamento. S'intende che, dovendo il motivo risultare dal testamento, il contenuto della scheda testamentaria non potrà non costituire la base per la ricostruzione della volontà del testatore, ma non v'è motivo di vietare al giudice di prendere eventualmente in considerazione altri atti o fatti, che servono a chiarire il processo formativo della volontà del disponente. Il medesimo criterio ho seguito per l'onere illecito o impossibile nelle donazioni. Ho inoltre considerato che, in analogia a quanto è disposto dall'art. 639 del c.c. e art. 640 del c.c. per le disposizioni condizionali o a termine, è opportuno imporre all'istituito o al legatario sub modo l'obbligo di prestare cauzione. L'utilità di siffatta estensione è facilmente visibile, specialmente se si pensi al caso in cui l'onere è dilazionato nel tempo e, a quello in cui il testatore ha previsto la risoluzione della disposizione per inadempimento dell'onere. Ho perciò subordinato la facoltà dell'autorità giudiziaria d'imporre cauzione, alla mancanza di una diversa volontà del testatore e alla dimostrazione di ragioni di convenienza o di opportunità.

Massime relative all'art. 647 Codice Civile

Cass. civ. n. 15240/2017

L’attribuzione patrimoniale gratuita (nella specie, sotto forma di legato) di un bene con vincolo perpetuo di destinazione imposto dal disponente con clausola modale, è nulla per violazione dell’art. 1379 c.c., risultando eccessivamente compromesso il diritto di proprietà dell’onerato, i cui poteri dispositivi sul bene - destinato a circolare, a pena di inadempimento, con il medesimo vincolo - risultano sostanzialmente sterilizzati “sine die”.

Cass. civ. n. 10803/2015

La disposizione testamentaria che preveda la corresponsione di una rendita ad un soggetto determinato ha natura di legato e non di onere, o "modus", poiché il legato è un'autonoma e diretta attribuzione patrimoniale a favore del legatario, il quale è un avente causa del "de cuius", mentre il secondo integra una liberalità indiretta a vantaggio di soggetti solo genericamente indicati, che si consegue attraverso un'obbligazione imposta all'onerato, sicchè il beneficiario della liberalità è un avente causa da quest'ultimo e non dal testatore.

Cass. civ. n. 11906/2013

In tema di successioni "mortis causa", allorché l'adempimento dell'onere apposto ad una disposizione testamentaria, consistente nell'obbligo per l'erede di prestare assistenza e cura ad un terzo vita natural durante, sia reso impossibile dal rifiuto di quest'ultimo di usufruire di tali prestazioni, non è configurabile la nullità della disposizione ai sensi dell'art. 647, terzo comma, cod. civ., il quale attiene esclusivamente alle ipotesi di impossibilità originaria di adempimento dell'onere, trovando, invece, l'impossibilità sopravvenuta la propria disciplina nei principi generali relativi alla risoluzione o all'estinzione dell'obbligazione, con conseguente eventuale liberazione dell'onerato a seguito di costituzione in mora del beneficiario.

Cass. civ. n. 4022/2007

L'onere o modus si qualifica come elemento accidentale ed accessorio rispetto al negozio testamentario, istitutivo di erede (o contenente un legato), ma tale natura non esclude che lo stesso onere possa collegarsi ad un'istituzione di erede per legge, nell'ipotesi in cui il testamento non istituisca un erede, dando luogo alla successione legittima. Infatti, l'imposizione dell'onere all'erede legittimo è stabilita dal diritto positivo, all'art. 629 c.c., che, nel prevedere che le disposizioni a favore dell'anima «si considerano come un onere a carico dell'erede o del legatario, e si applica l'art. 648» implica che in mancanza di istituzione testamentaria di erede l'onere possa gravare sull'erede designato per legge, in eguale misura, con applicazione della medesima disposizione dell'art. 648 c.c. sull'adempimento dovuto.

La previsione contenuta nell'art. 647, secondo comma, c.c., che autorizza il giudice del merito della causa pendente (o, altrimenti, il presidente del tribunale del luogo in cui si è aperta la successione) — qualora non vi abbia provveduto direttamente il testatore e ne ravvisi l'opportunità — ad imporre all'erede o al legatario gravato dall'onere una cauzione, pone riferimento all'esercizio di un potere discrezionale al riguardo, che, in quanto tale, se adeguatamente motivato, non è sindacabile in sede di legittimità. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata nella quale era stata congruamente motivata la mancata imposizione della cauzione invocata dal ricorrente sostenendo che il soggetto onerato aveva riconosciuto l'esistenza dell'onere e l'obbligo di soddisfarlo, senza porre in essere alcuna condotta contraria in proposito).

Cass. civ. n. 626/2003

In tema di successioni mortis causa, la disposizione testamentaria con cui sia imposto all'erede di prestare presso di sé assistenza materiale e morale ad un terzo vita natural durante, configura un onere ai sensi dell'art. 647 c.c., assimilabile nel contenuto e nella portata al vitalizio alimentare ex art. 1872 c.c. Ne consegue che esso è indipendente dallo stato economico del beneficiario ed è caratterizzato, anche in applicazione analogica dell'art. 443, secondo comma c.c., dalla sua convertibilità, nell'ipotesi di sopravvenuta impossibilità della convivenza tra erede onerato 'e terzo assistito, in una prestazione di dare (corresponsione di un assegno pecuniario), affinché il modus, non attuabile secondo le modalità stabilite dal testatore, venga adempiuto cosi come è possibile e nella maniera maggiormente coincidente con quella voluta.

Cass. civ. n. 802/1986

L'onere per gli eredi, in caso di vendita di uno specifico bene compreso nella massa ereditaria di trasferire lo stesso a un determinato soggetto indicato dal testatore, non contrasta con i principi dell'ordine pubblico, né con alcuna norma di legge riguardante i poteri di disposizione del testatore, né in ispecie con il divieto pattizio di alienazione a norma dell'art. 1379 c.c., e comporta la costituzione in favore del designato, di un diritto di prelazione azionabile — in caso d'inosservanza — a termini dell'art. 648 c.c.

Cass. civ. n. 6194/1984

Mentre il legato è un'autonoma e diretta attribuzione patrimoniale a favore del legatario il quale è un avente causa del de cuius, l'onere o modus integra una liberalità indiretta che si consegue attraverso un'obbligazione imposta all'onerato, per modo che il beneficiario della liberalità indiretta è un avente causa di quest'ultimo e non del testatore.

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Consulenze legali
relative all'articolo 647 Codice Civile

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C.F. chiede
lunedì 18/10/2021 - Abruzzo
“Nel 2017 alla morte di mia madre io e mia sorella abbiamo ereditato un fabbricato completamente abusivo e realizzato da mio padre a cavallo degli anni '70 e '80 composto da piano terra e primo piano. Si accede al primo piano tramite una scala interna. Io ho ereditato il piano terra, la scala e una camera al primo piano, mia sorella il resto del primo piano. La volontà di mio padre era che una volta preso possesso mia sorella doveva farsi un ingresso autonomo per accedere al suo appartamento dato che la scala è di mia esclusiva proprietà. In un primo momento diceva che si sarebbe provveduto nel caso vendevo il mio appartamento, poi ha affermato che la esiste una servitù, cosa non vera e che in ogni caso, anche volendo, non può fare niente perché la casa è abusiva e non sanabile. Ora il problema è che con questa situazione, e dato che nel periodo estivo (visto che la casa è vicino al mare) lei affitta e c'è un via vai di gente e macchine che mi rendono di fatto impossibile poter usufruire del mio appartamento per mancanza di privacy, mi sento privato del mio ruolo di proprietario. Ho fatto dei tentativi per trovare un accordo con lei senza alcun risultato. Questa situazione mi danneggia molto in tutti i sensi. Ora chiedo a voi cosa potrei fare e se mi potete aiutare a risolvere questa situazione.”
Consulenza legale i 29/10/2021
La premessa fondamentale da tenere a mente per decidere quali azioni intraprendere nel caso di specie è che ci troviamo davanti ad un fabbricato abusivo e, stando a quanto scritto nel quesito, non sanabile in quanto privo di titolo abilitativo e insistente su un’area a rischio idrogeologico.
Ad un abuso di tale gravità consegue necessariamente la sanzione della demolizione (Consiglio di Stato, sez. IV, 14 giugno 2018, n. 3659), senza contare i rischi connessi alla permanenza di persone in un luogo che nemmeno avrebbe dovuto essere destinato all’edificazione (che sconsigliano di perseverare in tale comportamento), le eventuali responsabilità derivanti dal fatto che uno degli appartamenti viene affittato a terzi nel periodo estivo, nonché il fatto che l’immobile sia pressoché incommerciabile.
In proposito, si sottolinea che il Comune, una volta accertata la presenza dell’abuso, ha in ogni tempo la facoltà (ed anzi il dovere) di emanare i necessari atti sanzionatori, indipendentemente dal fatto che l’edificio sia presente da molti anni e che chi l’ha costruito sia nel frattempo deceduto.
Ne deriva che qualsiasi eventuale risultato positivo si dovesse ottenere verrà comunque vanificato nel momento in cui la P.A. eserciterà le proprie prerogative: in breve, sulla sentenza favorevole penderà sempre la “spada di Damocle” dell’ordine di demolizione.

Tenendo in considerazione quanto sopra, anche per le valutazioni sulla convenienza economica di un possibile giudizio, si chiarisce che la giurisprudenza tende a tenere separato il profilo pubblicistico della regolarità edilizia da quello dei rapporti privatistici tra i proprietari, affermando l’ammissibilità dell’usucapione delle servitù anche in presenza di costruzioni abusive (Cassazione civile, sez. II, 11 giugno 2018, n. 15241; Cassazione civile, sez. VI, 19 gennaio 2017, n. 1395).
Tanto chiarito, il rimedio generale a disposizione del proprietario per far dichiarare l'inesistenza di diritti affermati da altri sulla cosa è l’actio negatoria servitutis disciplinata dall’art. 949 c.c., che consente, nel caso vi siano anche turbative o molestie, di chiederne la cessazione oltre al risarcimento del danno.
Nel nostro caso, la sorella sostiene di essere titolare proprio di una servitù e ciò dovrebbe essere sufficiente a fondare la legittimazione attiva per intraprendere l’azione in esame.
In ogni caso, si nota che l’usucapione delle servitù avviene a seguito del possesso continuato per venti anni (art. 1158 c.c.), mentre nella fattispecie l’acquisto della proprietà dell’immobile da parte della sorella è avvenuto soltanto nel 2017.
Non sembra, invece, praticabile la via delle azioni possessorie, che sono procedimenti cautelari volti a far cessare le interferenze indebite nel possesso del bene, in quanto è ormai trascorso il termine di decadenza annuale fissato dall’art. 1168 c.c..

Va poi esaminata la possibilità di ottenere un provvedimento giurisdizionale che obblighi la sorella a realizzare un accesso indipendente al proprio appartamento, che purtroppo non sembra facilmente praticabile.
Se la volontà del padre in tal senso è contenuta nel testamento essa prende il nome di onere, il cui adempimento può essere chiesto in giudizio da chiunque vi abbia interesse (art. 648 c.c.).
Tuttavia, le possibilità di accoglimento di tale domanda sono fortemente pregiudicate dal disposto dell’art. 647 c.c., che stabilisce che l'onere impossibile o illecito si considera come non apposto.
Nel caso di specie, l’obbligazione ha ad oggetto la realizzazione di un’opera sostanzialmente abusiva, non potendo ammettersi la possibilità di ottenere legittimamente un titolo edilizio per un’“addizione” a un immobile abusivo.
Se la volontà del padre è stata esplicitata solo verbalmente, la situazione è ancora più complicata, in quanto è estremamente difficile dimostrare l’esistenza di questa obbligazione a carico della sorella.

Infine, anche la richiesta di farsi corrispondere la metà del valore della scala, come in una sorta di vendita, non ha molte possibilità di essere attuata in concreto, posto che (fermo restando il costante rischio che il Comune rilevi l’abuso e ordini la demolizione totale dell’immobile) in un eventuale atto di compravendita dovrebbero essere indicati a pena di nullità gli estremi del titolo abilitativo, che qui è però assente.


Laura M. chiede
lunedì 18/07/2016 - Liguria
“ho due figli, uno e' deceduto nel 2015 lasciando due figlie maggiorenni.
Io ho 85 anni e, alla mia morte, desidero lasciare quello che ho solo all'altro mio figlio e niente assolutamente alle mie nipoti per tantissime ragioni.
Cosa devo fare ?”
Consulenza legale i 20/07/2016
Va innanzitutto premesso che le nipoti succederebbero per rappresentazione del padre defunto (istituto che fa subentrare i discendenti nel luogo e nel grado del loro ascendente, in tutti i casi in cui questo non possa - ed è questo il caso - o non voglia accettare l'eredità), ai sensi degli artt. 467 e seguenti del codice civile.

Purtroppo nell'ordinamento italiano non esiste la possibilità di "diseredare" un figlio. E' previsto, infatti, che i figli del de cuius siano di diritto legittimari, cioè soggetti aventi comunque (i.e.: anche contro la volontà di colui che fa testamento) diritto ad una quota dell'eredità, che varia poi in base al numero di legittimari esistenti. In particolare, se sono presenti due figli, ad essi spettano i 2/3 dell'eredità (cioè 1/3 a ciascuno).

Il primo consiglio che possiamo dare è di fare comunque testamento, per assicurarsi che la quota "disponibile" dell'eredità (in questo caso 1/3) vada al figlio in vita (che così verrebbe ad avere complessivi 2/3), riservando alle nipoti avute dall'altro figlio solo quanto spetta loro per legge (1/3, che dovranno poi dividersi in due): attenzione, perchè in assenza di testamento, in base regole della successione legittima, l'eredità verrebbe tutta quanta semplicemente divisa al 50%, quindi metà al figlio vivente, e l'altra metà alle due figlie del figlio defunto, metà per ciascuna (art. 566 del c.c.).

Va ricordato infine, anche se non ci sembra questo il caso, che esistono dei casi di esclusione dall'eredità per indegnità, ma le ipotesi sono solo quelle tassativamente elencate dal codice civile all'art. 463 del c.c. e si verificano solo in casi molto gravi. Le cause di indegnità possono essere suddivise in due gruppi: al primo appartengono le condotte elencate sub n. da 1 a 3 bis, cioè colpe gravi commesse verso la persona del de cuius o verso il coniuge, il discendente o l'ascendente di questo, quali l'omicidio o il tentato omicidio (n. 1), l'istigazione al suicidio (n. 2), la calunnia o la falsa testimonianza per reati di una determinata gravità (n. 3) e la decadenza dalla potestà genitoriale (n. 3 bis). Appartengono al secondo gruppo di condotte quelle elencate sub n. da 4 a 6, che consistono in offese alla libertà di testare del de cuius o al testamento dello stesso. Può essere dichiarato indegno chi abbia, con dolo o violenza, indotto il soggetto della cui successione si tratta a fare, revocare, modificare un testamento (n. 4), chi abbia alterato, celato o soppresso un testamento dal quale la successione sarebbe stata regolata (n. 5) e chi abbia creato o fatto consapevolmente uso di un falso testamento (n. 6).

E' peraltro il caso di precisare che ci sono una serie di accorgimenti che è possibile adottare per venire, parzialmente, incontro alle esigenze di chi pone il quesito. Bisognerebbe però sapere esattamente come è composto il patrimonio. Servirebbe, pertanto, avere maggiori, ulteriori elementi.

Non disponendo di tali ulteriori elementi, il consiglio che possiamo dare è di rivolgersi quanto prima ad un professionista (avvocato, notaio) per la redazione di opportuno testamento, per evitare, almeno, che operi la successione legittima, e lasciare così al figlio ancora in vita i 2/3 dell'intero patrimonio.



Umberto V. chiede
mercoledì 06/04/2016 - Liguria
“La de cuius ha lasciato valido testamento nel quale fra l'altro dispone che un suo immobile in aperta campagna da lei usato (oltre che per abitazione estiva) anche per dar rifugio ad alcuni gatti randagi, vada ad una vicina (non legata da vincoli di parentela) che ha ultimamente curato questi animali con l'onere di continuare l'assistenza ai gatti e impedire l'accesso ai cani. A compenso di ciò oltre alla proprietà dell'immobile lascia alla suddetta vicina anche una somma in denaro.

La vicina rinuncia all'eredità e il testamento non dice a chi vada questa parte di eredità in questo caso. Sembra chiaro che proprietà dell'immobile e somma in denaro vadano agli eredi legittimi (4). L'onere di provvedere agli animali va anch'esso agli eredi legittimi, (tutti abitanti lontano) ?”
Consulenza legale i 13/04/2016
Nel caso di specie siamo in presenza di un legato al quale è stato apposto un onere dal testatore.
In parole semplici, il legato è una disposizione testamentaria di contenuto patrimoniale a titolo particolare, ovvero con la quale si beneficiano uno o più soggetti di un determinato diritto (ad esempio: “alla mia morte io, Tizio, lascio a Caio tutta l’attrezzatura contenuta nel mio garage”, oppure “lascio a Sempronio € 5.000,00”) e si distingue in tal modo dalle disposizioni a titolo “universale” (“lascio tutto quello che ho/tutti i miei beni a Mevio”). Il beneficiario del legato si definisce “onorato”, mentre “onerato” è colui che è tenuto all’adempimento del legato (in genere, l’erede).

L’onere, invece, è un “peso” apposto ad una disposizione testamentaria, ovvero – generalmente - un obbligo che il testatore pone a carico di un legatario o di un erede, quale sorta di “limite” al beneficio concesso con l’atto di liberalità testamentario.

Nel caso che ci occupa, la de cuius ha lasciato alla vicina di casa un immobile ed una somma di denaro (un legato), ma ha contemporaneamente gravato la vicina beneficiaria dell’obbligo di cura dei gatti randagi a beneficio dei quali devono essere utilizzati l’immobile ed il denaro in questione.

Secondo le norme in materia di successione, il legato, allo stesso modo dell’eredità, può essere oggetto di rinuncia: di conseguenza, se il legatario che sia contemporaneamente gravato di un onere rinuncia al legato, si pone la questione se l’onere si trasferisca in capo ad altri soggetti (di fatto, gli eredi).

Sotto questo profilo, per quel che riguarda l’oggetto del legato, la risposta è semplice: in caso di rinuncia a quest’ultimo il bene legato o il diritto rientrano automaticamente a far parte della massa ereditaria.

Per quanto riguarda, invece, l’onere, la soluzione si può individuare nelle norme sulle successioni testamentarie che disciplinano il diritto di accrescimento (artt. 674 e seguenti del codice civile).

Il principio dell’”accrescimento” stabilisce che quando più eredi siano stati istituiti in parti uguali (o senza determinazione di quote), se uno di essi non possa o non voglia accettare l’eredità la sua parte si accresce agli altri (va, cioè, ad aumentare le quote degli altri); lo stesso vale per i collegatari (coloro cui è stato legato lo stesso oggetto): quando uno di essi non possa o voglia accettare il legato, la sua parte si accresce agli altri.

In entrambe le ipotesi di accrescimento, gli obblighi cui era tenuto l’erede o il legatario mancante si trasferiscono sugli altri (art. 676 c.c.), salvo che non si tratti di obblighi di carattere personale (ovvero prestazioni che non può effettuare nessun altro soggetto se non quello individuato dal testatore: ad esempio, la commissione di un’opera d’arte ad un determinato artista).
Lo stesso accade – tuttavia - se non ha luogo l’accrescimento: infatti (art. 677 c.c.) la porzione dell’erede o del legatario mancante va a profitto, rispettivamente, degli eredi legittimi e dell’onerato (cioè, come ricordato sopra, del soggetto tenuto all’’adempimento del legato) e questi ultimi subentrano negli obblighi che gravano sull’erede o sul legatario mancante (sempre alla medesima condizione, ovvero che non si tratti di obblighi personali).

In definitiva, e per rispondere al quesito posto, se la legataria ha rinunciato al legato, il diritto che ne costituiva l’oggetto (proprietà dell’immobile e somma di denaro) va nuovamente a beneficio degli onerati (gli eredi legittimi); tuttavia, anche l’onere che le era stato imposto dalla de cuius (ovvero l’obbligo di aver cura dei gatti randagi) si trasferisce ugualmente in capo agli onerati del legato (eredi legittimi).