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Articolo 2596 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 08/04/2023]

Limiti contrattuali della concorrenza

Dispositivo dell'art. 2596 Codice Civile

Il patto che limita la concorrenza deve essere provato per iscritto [1341, 2725](1). Esso è valido se circoscritto ad una determinata zona o ad una determinata attività, e non può eccedere la durata di cinque anni [1379].

Se la durata del patto non è determinata o è stabilita per un periodo superiore a cinque anni, il patto è valido per la durata di un quinquennio [2125, 2557](2).

Note

(1) La forma scritta è prescritta ad probationem.
(2) Al pari dell'art. 2596, anche l'art. 81 del Trattato Istitutivo Ce vieta le intese tra imprese che abbiano come oggetto o effetto quello di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza nel mercato comune.

Ratio Legis

La norma disciplina il patto di non concorrenza, ponendo un limite alla libertà di iniziativa economica. Si concreta una violazione della norma quando l'obbligato intraprenda un'attività economica nell'ambito dello stesso mercato in cui opera l'imprenditore, idonea a rivolgersi alla clientele di quest'ultimo, offrendo servizi, se pur diversi, comunque idonei a soddisfare l'esigenza della domanda.

Spiegazione dell'art. 2596 Codice Civile

L'intento perseguito dalla norma in commento di impedire eccessive restrizioni alla libertà di iniziativa economica tutela, seppure in misura modesta, anche il mercato nelle sue effettive strutture (Corte cost. n. 223/1982).
E nullo, in quanto contrastante con l'ordine pubblico costituzionale, il patto di non concorrenza diretto, non già a limitare l'iniziativa economica privata altrui, ma a precludere in assoluto ad una parte la possibilità di impiegare la propria capacita professionale nel settore economico di riferimento.
La clausola di esclusiva inserita in un contratto di somministrazione, non e soggetta al limite di durata quinquennale previsto dalla norma per gli accordi limitativi della concorrenza, a meno che non possa qualificarsi come un autonomo patto, nel qual caso pero il limite temporale di validità del patto di non concorrenza non si estende alla durata del contratto di somministrazione. Le limitazioni alla concorrenza sono sottoposte al limite temporale quinquennale soltanto quando siano stipulate come pattuizioni a se stanti, autonome e distinte da un rapporto contrattuale corrente tra le parti, mentre il limite non si applica quando tra il patto ed il contratto sussiste un collegamento causale in modo che il primo adempia alla stessa funzione economica del secondo.

Massime relative all'art. 2596 Codice Civile

Cass. civ. n. 24159/2014

È nullo, in quanto contrastante con l'ordine pubblico costituzionale, il patto di non concorrenza diretto, non già a limitare l'iniziativa economica privata altrui, ma a precludere in assoluto ad una parte la possibilità di impiegare la propria capacità professionale nel settore economico di riferimento.

Cass. civ. n. 21729/2013

La clausola di esclusiva inserita in un contratto di somministrazione, in virtù del principio generale di libertà delle forme negoziali, deve avere la medesima forma prevista per il contratto cui accede e non soggiace all'operatività dell'art. 2596 c.c. che impone tale forma, "ad probationem", per il patto che limita la concorrenza.

Cass. civ. n. 7141/2013

Sebbene la legge non imponga al lavoratore parasubordinato un dovere di fedeltà, tuttavia il dovere di correttezza della parte in un rapporto obbligatorio (art. 1175 c.c.) e il dovere di buona fede nell'esecuzione del contratto (art. 1375 c.c.) vietano alla parte di un rapporto collaborativo di servirsene per nuocere all'altra, sì che l'obbligo di astenersi dalla concorrenza nel rapporto di lavoro parasubordinato non è riconducibile direttamente all'art. 2125 c.c. - che disciplina il relativo patto per il lavoratore subordinato alla cessazione del contratto - ma, permeando come elemento connaturale ogni rapporto di collaborazione economica, rientra nella previsione dell'art. 2596 c.c.. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva ritenuto applicabile ad un rapporto di lavoro parasubordinato la disciplina del patto limitativo della concorrenza ex art. 2596 c.c., ricorrendone uno dei presupposti, previsti in via disgiuntiva, costituito dalla delimitazione ad una determinata attività, escludendo così la nullità della pattuizione per l'indiscriminato ambito geografico mondiale del vincolo negoziale).

Cass. civ. n. 813/2011

Il patto di non concorrenza, concluso ai sensi dell'art. 2596 c.c. e destinato a fissare una limitazione all'attività contrattuale verso una serie indeterminata di soggetti, tra cui accidentalmente anche la P.A., non integra di per sé il reato di turbata libertà degli incanti, di cui all'art. 353 c.p. - nella parte in cui esso prevede un'intesa, più o meno clandestina, che ha come finalità esclusiva l'impedimento o la turbativa della gara o l'allontanamento degli offerenti ed il conseguente dolo, cioè la volontà consapevole di determinare uno dei predetti risultati con quei mezzi - né, quindi, appare viziato da nullità virtuale, ai sensi dell'art. 1418 c.c.; non è invero ammissibile, già per la sua previsione come obbligo legale accedente all'alienazione d'azienda (ex art. 2557 c.c.) ovvero al suo affitto (ex art. 2562 c.c.), ipotizzarne "a priori" la sua contrarietà a norme imperative in caso di contingente applicabilità a forme di partecipazione ad incanti pubblici, il che, in caso di impresa attiva esclusivamente o in via prevalente nel settore dei contratti pubblici, imporrebbe, di fatto, la sua disapplicazione.

Cass. civ. n. 988/2004

Esiste violazione del patto di non concorrenza disciplinato dall'art. 2596 c.c. quando l'obbligato intraprenda un'attività economica nell'ambito dello stesso mercato in cui opera l'imprenditore, che sia idonea a rivolgersi alla clientela immediata di questi, offrendo servizi che, pur non identici, siano parimenti idonei a soddisfare l'esigenza sottesa alla domanda che la clientela chiede di soddisfare. (In applicazione di tale principio di diritto, la S.C: ha ritenuto che avesse violato il patto di non concorrenza il soggetto che, già amministratore di una società di ristorazione, aveva assunto analoga carica societaria in una società di commercializzazione di buoni pasto).

Cass. civ. n. 1238/2000

Nel contratto di somministrazione, alla clausola di esclusiva, di cui all'art. 1567 c.c., che non assuma una posizione prevalente nell'economia del contratto stesso, sino a staccarsi casualmente da esso e da far emergere un'autonoma funzione regolatrice della concorrenza, non si applica la disposizione dell'art. 2596 c.c., in tema di durata massima del patto di non concorrenza e, pertanto, va escluso che essa sia valida solo per cinque anni se pattuita per un periodo superiore. D'altra parte, se la clausola di esclusiva svolge una funzione autonoma di limitazione della concorrenza, non v'è evidentemente ragione perché i limiti temporali della sua validità, posti dall'art. 2596 c.c., si riflettano sulla durata del contratto di somministrazione; ove, invece, tale autonomia sia esclusa, alla intervenuta proroga tacita del contratto non può non essere ricollegata, in difetto di una diversa volontà delle parti, la proroga dell'efficacia della clausola di esclusiva per l'intera durata del contratto stesso.

Cass. civ. n. 8251/1995

Il contratto, con il quale due società italiane, operanti nel territorio nazionale quali concessionarie per la vendita di autoveicoli della stessa fabbrica, fissino un reciproco divieto di negoziare con clienti non residenti nelle rispettive zone, non è affetto da invalidità, nella disciplina previgente a quella introdotta in via innovativa dall'art. 2 della L. 10 ottobre 1990, n. 287, sotto il profilo di contrasto con i regolamenti CEE n. 83 e n. 123 del 1985, atteso che questi, dando attuazione all'art. 85 del Trattato, si occupano esclusivamente della disciplina della concorrenza nel mercato comune, cioè nei rapporti fra imprese presenti in Paesi diversi.

Cass. civ. n. 6976/1995

Nel patto di non concorrenza contenuto in un contratto di agenzia, i limiti di luogo, previsti dall'art. 2596 c.c. quali presupposti di validità del patto di non concorrenza in generale, in alternativa con il limite relativo all'attività, possono essere estesi a tutto il territorio nazionale qualora l'attività del preponente sia di rilievo nazionale, mentre la diversa disciplina contenuta nel decreto legislativo 10 settembre 1991. n. 303, di attuazione della direttiva comunitaria n. 653 del 18 dicembre 1986, trova applicazione anche ai contratti in corso alla data della sua entrata in vigore (e cioè conclusi entro il 5 ottobre 1991) ma solo a far tempo dal 1 gennaio 1994, secondo quanto disposto dall'art. 6 dello stesso decreto.

Cass. civ. n. 5024/1994

Il patto tra produttore e rivenditore con il quale è fatto divieto a quest'ultimo di vendere i prodotti ad un prezzo inferiore a quello prefissato (cosiddetto clausola del ricarico minimo o del minimo prezzo di rivendita) non può ricondursi nell'ambito della normativa sulla restrizione convenzionale della concorrenza, operando la normativa di cui all'art. 2596 c.c. di norma tra soggetti che svolgono attività economiche contrapposte sullo stesso piano in senso orizzontale, mentre tra fabbricante e rivenditore può sorgere un rapporto di concorrenza solo in via mediata ed indiretta, poiché i due operatori economici non sono sullo stesso piano.

Cass. civ. n. 6707/1992

La norma di cui al capoverso dell'art. 2596 c.c., secondo cui se la durata del patto di non concorrenza non è determinata o è stabilita per un periodo superiore a cinque anni, il patto è valido per la durata di un quinquennio, fissa soltanto un termine oltre il quale i patti diretti a contenere la libertà di iniziativa economica tra imprenditori concorrenti perdono, per forza imperativa di legge, la loro validità, ma non implica che il vincolo, ove sia previsto in correlazione con uno specifico regime contrattuale che abbia, in virtù dell'originaria pattuizione e per sopraggiunta legittima riduzione, durata inferiore a cinque anni, debba rapportarsi al predetto termine massimo.

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Anonimo chiede
martedì 28/12/2021 - Lombardia
“Buongiorno, sono a sottoporre una questione afferente la sottoscrizione di un patto di non concorrenza, ex art. 2596 c.c.. Sono un medico del lavoro e opero in regime di libera professione per una importante società della grande distribuzione da oramai 10 anni circa, attraverso l'espletamento di tutte le attività di sorveglianza sanitaria attribuite al Medico Competente dalla normativa vigente in materia di sicurezza sul lavoro, che mi impegnano per quasi tutta la settimana lavorativa e che sono la mia più importante e quasi unica fonte reddituale. Tale attività libero professionale non è diretta ma svolta per il tramite di una società di servizi con la quale ho stipulato un contratto di collaborazione e contestualmente una clausola di non concorrenza che recita testualmente: "Per il periodo di vigenza del presente contratto e per i due anni successivi alla cessazione dello stesso per qualsiasi causa o motivo, la dott.ssa XXXX si impegna a non svolgere, direttamente o indirettamente, qualsivoglia attività lavorativa in materia di medicina del lavoro, di sorveglianza sanitaria, di tutela della salute e di sicurezza del lavoro, di formazione nei riguardi delle ditte clienti con le quali la dott.ssa XXXX ha avuto rapporti professionali per conto della società di servizi XXX". Ebbene il cliente in questione, per il quale ho prestato la mia opera, qualche mese fa ha deciso di cambiare fornitore e di assegnare l'incarico a uno nuovo fornitore attraverso un bando di concorso perso dalla società di servizi con la quale ho sottoscritto il citato contratto e patto di non concorrenza (che ho tra l'altro disdetto nei giorni scorsi) e vinto da altra società che, a bando concluso e appunto vinto, mi ha contattata, su espressa volontà del cliente perché molto soddisfatto del mio operato decennale, per chiedermi e offrirmi un nuovo contratto per proseguire la mia attività di Medicina del Lavoro e garantire continuità di servizio. Preciso che la nuova società di servizi sarebbe disposta a sottoscrivere una scrittura privata con la quale si impegna a sostenere eventuali spese legali e/o risarcimento danni derivante dal sottoscritto patto di non concorrenza.

Ciò posto, sono a chiedere se sulla base del citato patto di non concorrenza, sono in condizione di poter continuare la mia attività professionale per il cliente intermediato dalla società assegnataria del nuovo bando di servizi?
Rischio di dover riconoscere alla vecchia società eventuali danni?

Cordiali saluti, grazie.”
Consulenza legale i 12/01/2022
La continuazione dell’attività professionale per il cliente tramite la nuova società assegnataria del nuovo bando di servizi si pone certamente in violazione del patto di non concorrenza a suo tempo sottoscritto con la precedente committente.

Il patto di non concorrenza sottoscritto, peraltro, sembra rispettare tutti i requisiti di validità previsti dall’art. 2596. Infatti, è stato stipulato in forma scritta, non eccede la durata massima di 5 anni ed è circoscritto a determinate attività, ovvero “qualsivoglia attività lavorativa in materia di medicina del lavoro, di sorveglianza sanitaria, di tutela della salute e di sicurezza del lavoro, di formazione”.
In particolare, per quanto riguarda tale ultimo aspetto, non si potrebbe neppure eccepire che il patto limiti eccessivamente l’esplicazione della professionalità del collaboratore, in quanto il divieto è ulteriormente limitato alle ditte clienti della società di servizi.

Non vi sono, pertanto, margini per invocare la nullità dello stesso.

In caso di violazione del patto di non concorrenza, è solitamente prevista una clausola penale e, in ogni caso, è previsto il diritto al risarcimento del danno, che tuttavia si deve provare di avere subito a seguito della violazione.

La società di servizi per la quale si collaborava potrebbe agire in giudizio da un lato chiedendo al giudice il risarcimento dei danni subiti (oltre al pagamento dell’eventuale penale, se prevista), dall’altro potrebbe attivare una procedura cautelare affinchè il giudice ordini di cessare l’attività concorrenziale.



Giulio chiede
martedì 08/03/2011 - Lazio

Salve, vi scrivo a seguito della proposta fattami dal mio futuro datore di lavoro: egli mi sta insegnando un lavoro di tipo manuale (car wrapping - applicazione pellicole su auto) per il quale sarò subordinato a lui (quindi, penso si tratti di una equiparazione al ruolo di operaio). Egli mi ha posto la condizione, per essere assunto, di sottoscrivere un patto in cui mi impegno a non esercitare tale professione per 4 anni una volta cessato il rapporto di lavoro; mi è stato detto di fare riferimento all'art 2125 del cc, in cui ho visto che anche i non dirigenti possono essere sottoposti a tale patto. Ora mi chiedo: nel mio caso il patto risulterebbe nullo:

1-per me che sarò operaio, se viene imposta una durata superiore a 3 anni?

2-se non è riportato il corrispettivo spettante a mio favore?

3-se non è riportato l'oggetto, il luogo o il tempo? E in che casi non sarebbe valido?

Vi ringrazio anticipatamente e vi porgo i miei più cordiali saluti”

Consulenza legale i 08/03/2011

Il patto accessorio di non concorrenza implicante la limitazione dell'attività lavorativa dopo la cessazione del rapporto di lavoro subordinato è regolato dall'art. 2125 del c.c., mentre ai lavoratori autonomi si applica l'art. 2596 del c.c.. Per il caso specifico le condizioni di validità si ricavano dal disposto dell'art. 2125 del c.c.: il patto deve rivestire la forma scritta ad substantiam, cioè a pena di nullità ex art. 1350 del c.c. n. 13, e deve prevedere un corrispettivo predeterminato nel suo ammontare, che sia congruo rispetto al sacrificio richiesto al lavoratore; conseguentemente, viola detta norma la previsione del pagamento di un corrispettivo durante il rapporto di lavoro, in quanto la stessa, da un lato, introduce una variabile legata alla durata del rapporto di lavoro che conferisce al patto un elemento di aleatorietà e, dall'altro, finisce di fatto per attribuire a tale corrispettivo la funzione di premiare la fedeltà del lavoratore anziché quella di compensarlo per il sacrificio derivante dalla stipulazione del patto. Deve inoltre, ritenersi nullo se la sua ampiezza sia tale, in ragione del tipo di attività vietata e della sua estensione territoriale, da comportare una drastica limitazione della libertà della capacità lavorativa e professionale del lavoratore tenuto conto della specifica professionalità da questi acquisita.
Oggetto, tempo e luogo costituiscono, ciascuna, condictio sine qua non per la validità del patto.
Per quanto riguarda il limite temporale, non trattandosi nel caso di specie, di mansioni riconducibili all’attività dirigenziale, la durata massima è di tre anni, sempre ai sensi di quanto disposto dall'art. 2125 c.c..