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Sanzioni amministrative per chi paga in contanti oltre i 3000 euro

Sanzioni amministrative per chi paga in contanti oltre i 3000 euro
Il D.Lgs. 231/2007, così come modificato dal D.Lgs. 90/2017, prevede l’irrogazione di sanzioni amministrative a carico di chi trasferisce e di chi riceve una somma di denaro in contanti di importo uguale o superiore ai 3.000,00 euro.


La Corte di Cassazione, di recente, ha avuto modo di pronunciarsi su alcune interessanti questioni in tema di normativa antiriciclaggio e trasferimento di denaro contante da un soggetto ad un altro oltre i limiti previsti dalla legge.

La normativa di riferimento, infatti, si propone di proteggere la collettività da fenomeni tristemente diffusi, quali l’evasione fiscale e il riciclaggio di denaro “sporco”, ovverosia proveniente da attività illecite.

In diritto tributario si è evidenziato che l’eccessivo uso dei contanti può portare facilmente all'evasione fiscale e agevola le attività compiute, ai fini di riciclaggio, da parte delle organizzazioni criminali.

Di qui l’esigenza che, per importi superiori alla soglia stabilita dalla legge di euro 2.999,99, i trasferimenti di somme di denaro vengano effettuati attraverso strumenti che ne consentano la tracciabilità, come l’assegno, il bonifico e la carta di credito o debito.

Peraltro, se prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. 90/2017 erano previste sanzioni amministrative espresse in misura percentuale, dall'1% al 40% rispetto alla somma di denaro trasferita, oggi le sanzioni sono stabilite in misura fissa nell'ambito di un intervallo tra un minimo di 3.000 e un massimo di 50.000 euro. Qualora, poi, il trasferimento sia in misura superiore a 250.000 euro, la sanzione verrà quintuplicata.

Quanto al soggetto cui si applica la sanzione amministrativa, in assenza di una diversa disposizione da parte del legislatore, si ritiene che essa riguardi automaticamente entrambe le persone coinvolte nell'operazione.

Restano, comunque, esclusi dall'ambito di applicazione della disciplina i versamenti e prelievi effettuati sul proprio conto corrente dal correntista, posto che la norma di riferimento, l'art. [[n 49]] D. Lgs. 231/2007 riguarda il trasferimento di somme da un soggetto ad un altro.

Il divieto posto dalla norma è di carattere assoluto e concerne trasferimenti di somma di denaro a qualsiasi titolo essi siano avvenuti e, quindi, indipendentemente dalla causale.

La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 10147/2018, ha chiarito alcuni aspetti sul tema.

Nel caso esaminato dalla Corte, un soggetto, dopo aver prelevato un importo decisamente considerevole dal proprio conto corrente, consegnava la somma in contanti ad altro e diverso soggetto. Quest’ultimo provvedeva, poi, a versarla sul proprio conto corrente ed emetteva assegni circolari non trasferibili in favore della parte venditrice di un contratto di compravendita concluso tra quest’ultima e il primo.

Veniva proposta opposizione all'ingiunzione del MEF (Ministero dell’Economia e delle Finanze), opposizione rigettata sia dal Tribunale che dalla Corte d’Appello in sede di impugnazione.

Nel [def ref=ricorso per cassazione] il soggetto raggiunto dall'ingiunzione in esame aveva ritenuto che la Corte d’Appello avesse errato nella ricostruzione dei fatti di causa, posto che non risultava provata l’intenzione di effettuare un'operazione avente quale obiettivo il riciclaggio di denaro “sporco”.

Osservava la Corte di Cassazione che la finalità del controllo delle movimentazioni di denaro, quando abbiano ad oggetto ingenti importi, viene perseguita dalla normativa che si propone lo scopo di difendere la collettività da questo tipo di operazioni che presentano una decisa attitudine ad eludere la tracciabilità dei passaggi.

In tal modo, le operazioni in esame si prestano ad una serie potenzialmente molto vasta di finalità illecite, non rilevando che, concretamente, in un determinato caso lo scopo perseguito non sia risultato illecito.

Inoltre, come precisato dalla Corte, la prova della non colpevolezza, dal momento che si tratta di violazioni amministrative, deve essere fornita direttamente dal soggetto incolpato, non potendosi applicare, in tale caso, le regole proprie del diritto penale.

Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione evidenziava che, anche qualora sia provato che non ci sia stato “il doloso fine di far luogo ad un’operazione di riciclaggio”, ciò non significa automaticamente che non sia stata commessa la violazione amministrativa.


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