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Le registrazioni audio e/o video possono essere utilizzate come prova della violenza sessuale?

Le registrazioni audio e/o video possono essere utilizzate come prova della violenza sessuale?
La Corte di Cassazione ha precisato che in un procedimento per violenza sessuale possono essere utilizzate anche le registrazioni video dei rapporti sessuali con le vittime.
La Corte di Cassazione penale, con la recente sentenza n. 5241 del 03 febbraio 2017, si è occupata di un interessante caso in materia di violenza sessuale (art. 609 bis cod. pen.).

Nel caso esaminato dalla Corte, il Tribunale del riesame aveva confermato l’ordinanza con cui il Giudice per le indagini preliminari aveva applicato nei confronti di un imputato (brigadiere dei Carabinieri) la misura cautelare degli arresti domiciliari, in relazione all’accusa per il suddetto reato, nonché per il reato di cui all’art. 319 quater cod. pen. (“induzione indebita a dare o promettere utilità”).

L’indagato, in particolare, era stato condannato agli arresti domiciliari per aver indotto una prostituta ad avere rapporti sessuali e, “abusando della sua inferiorità psichica” per aver indotto un’altra donnaad avere con lui, in due circostanze, rapporti sessuali”.

Ritenendo ingiusta la decisione del Tribunale del riesame, l’imputato proponeva ricorso per Cassazione, evidenziando come il Giudice avesse errato nel ritenere che l’imputato stesso fosse a conoscenza dello stato di minorazione psichica della vittima.

La Corte di Cassazione, tuttavia, non riteneva di poter aderire alle argomentazioni svolte dall’imputato, rigettando il relativo ricorso, in quanto infondato.

La Corte di Cassazione precisava, innanzitutto, che le misure cautelari personali come gli arresti domiciliari possono essere disposte laddove sussistano “gravi indizi di colpevolezza”, da intendersi come tutti quegli elementi a carico dell’imputato che, pur non valendo di per sé a dimostrare, oltre ogni dubbio, la colpevolezza dell’indagato, consentono, tuttavia, “per la loro consistenza, di prevedere che, attraverso la futura acquisizione di ulteriori elementi, saranno idonei a dimostrare tale responsabilità, fondando nel frattempo una qualificata probabilità di colpevolezza”.

Nel caso di specie, secondo la Cassazione, il provvedimento impugnato appariva ben motivato e la tesi prospettata dal ricorrente non trovava supporto negli atti di causa, essendo la medesima fondata solo su “ipotesi teoriche”, nemmeno valutabili in sede di ricorso per Cassazione.

Gli elementi indicati nel provvedimento di conferma degli arresti domiciliari, infatti, erano “gravi, univoci e convergenti nell’indicare il ricorrente autore dei fatti, e di altri fatti anche più gravi ancora in accertamento, descritti nell’imputazione”.

Secondo la Corte, in particolare, l’ordinanza impugnata evidenziava “con motivazione adeguata, non contraddittoria e senza manifeste illogicità che il ricorrente aveva anche filmato integralmente gli incontri sessuali con le donne (oltre a quelle di cui all’imputazione anche per altre donne), e dalla visione del filmato e dal contenuto del colloquio emergevano in maniera inconfutabile (documentati dallo stesso indagato con i video) i gravi indizi dei reati in contestazione”.

Il Tribunale, inoltre, secondo la Cassazione, aveva correttamente qualificato la condotta dell’imputato come “induzione indebita, di cui all’art. 319 quater c.p., da intendersi come “persuasione, suggestione, inganno (sempre che quest’ultimo non si risolva in un’induzione in errore), (…) pressione morale con più tenue valore condizionante della libertà di autodeterminazione del destinatario il quale, disponendo di più ampi margini decisionali, finisce col prestare acquiescenza alla richiesta della prestazione non dovuta, perché motivata dalla prospettiva di conseguire un tornaconto personale”.

Proseguiva la Corte osservando, inoltre, che, per quanto riguarda il reato di violenza sessuale, il Tribunale aveva del tutto correttamente ritenuto “impossibile per un uomo adulto non comprendere che la M. era una donna estremamente debole e suggestionabile", tutt’al più in considerazione del fatto che la vittima e l’indagato si conoscevano da molto tempo.

La Corte di Cassazione concludeva, infine, fornendo alcune precisazioni in merito all’utilizzo “delle registrazioni video e sonore nei casi di violenza sessuale, che possono essere effettuate dall’indagato o dalla vittima.

In proposito, la Cassazione chiariva che tali registrazioni costituiscono “prova documentale valida e particolarmente attendibile”, in quanto le stesse cristallizzano “in via definitiva ed oggettiva un fatto storico”.

La persona che registra, infatti, “è pienamente legittimata a rendere testimonianza, e quindi la documentazione del colloquio esclude qualsiasi contestazione sul contenuto dello stesso”, anche se la registrazione sia avvenuta su consiglio o su incarico della Polizia Giudiziaria.

Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali.


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