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Patrocinio infedele: può essere commesso da chi non è iscritto all’albo?

Patrocinio infedele: può essere commesso da chi non è iscritto all’albo?
La Cassazione chiarisce che il reato di esercizio abusivo della professione è cumulabile con quello di patrocinio infedele.
La Corte di Cassazione, con sentenza n. 24750 del 27 giugno 2022, ha affrontato l’insidiosa questione della astratta cumulabilità o meno dei reati di patrocinio infedele ed esercizio abusivo della professione, optando per la soluzione che consente la contestuale condanna dell’imputato per entrambi i reati in parola.

Per comprendere il significato di questa pronuncia, è necessario però premettere, in sintesi, che:
  • il reato di patrocinio infedele è previsto dall’art. 380 c.p., il quale punisce con la reclusione e con la multa il patrocinatore o il consulente tecnico che, rendendosi infedele ai suoi doveri professionali, arreca nocumento agli interessi della parte da lui difesa, assistita o rappresentata dinanzi all'Autorità giudiziaria: si tratta, in particolare, di un'ipotesi di reato plurioffensivo, in quanto diretta a tutelare sia la deontologia professionale dell'avvocato o del consulente, sia la persona da egli assistita, in quanto lesa dalla condotta infedele;
  • il reato di esercizio abusivo di una professione è invece disciplinato dall’ art. 348 c.p., che prevede la pena della reclusione e della multa per chiunque abusivamente esercita una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato. Nello specifico, questa norma tutela l'interesse pubblico acché determinate attività delicate, socialmente rilevanti, vengano svolte solamente da chi possegga gli accertati requisiti morali e professionali.

Tanto introduttivamente precisato, sorge naturale un quesito: un soggetto che non è abilitato all’esercizio della professione forense oppure non iscritto all’albo degli Avvocati può commettere patrocinio infedele? Oppure il fatto che egli non stia lecitamente esercitando una professione comporta che non esista una violazione di doveri deontologici penalmente rilevante?
I due reati, cioè, sono ontologicamente compatibili?

Ebbene, la Suprema Corte di recente ha affrontato un caso simile e, con la pronuncia citata, si è espressa a favore della compatibilità dei reati.
Il caso di specie, segnatamente, riguardava un soggetto imputato di esercizio abusivo della professione di avvocato e di patrocinio infedele in quanto aveva seguito una causa di separazione pur essendo stato sospeso dall’esercizio della professione, rendendosi peraltro infedele ai suoi doveri professionali a causa del mancato deposito di vari atti processuali in danno della sua assistita: il Tribunale, alla luce di tali fatti, aveva dunque condannato l’imputato per i reati riuniti di cui agli artt. 348 e 380 c.p.
La pronuncia della responsabilità penale, poi, era stata confermata in sede di appello.
Avverso la sentenza di secondo grado, aveva pertanto proposto ricorso il difensore dell’imputato, dolendosi – per quanto qui di rilievo – della contraddittorietà della sentenza in ordine alla ritenuta sussistenza di entrambi i reati contestati.

La Cassazione, dunque, ha rilevato l’inammissibilità del ricorso per genericità dei motivi, meramente reiterativi di censure già vagliate e disattese, evidenziando che ben possono essere integrati entrambi reati qualora le condotte contestate siano più d’una e di diversa natura: nel caso di specie, in particolare, all’esercizio abusivo della professione era stata ricondotta la partecipazione dell’avvocato sospeso all’udienza di precisazione delle conclusione; mentre al patrocinio infedele era stata ricondotta la violazione degli accordi con la cliente nonché del dovere di lealtà e correttezza professionale atteso il mancato deposito di importanti atti processuali.


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