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Matrimonio e violenza sessuale: vale il dissenso non espresso

Matrimonio e violenza sessuale: vale il dissenso non espresso
Si configura la violenza sessuale anche in costanza di matrimonio e anche se il coniuge non esprime esplicitamente il dissenso.
Al fine del corretto inquadramento giuridico della vicenda occorre fare riferimento all'art. art. 609 bis del c.p. che prevede la condanna di chiunque con la violenza o minaccia o mediante abuso di autorità, costringe taluno a compiere o subire atti sessuali. Lo stesso vale per chi induce taluno a compiere o subire atti sessuali abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto, ovvero traendo in inganno la persona offesa per essersi il colpevole sostituito ad altra persona.
In relazione al soggetto convivente, l'idoneità della violenza o della minaccia a coartare la volontà della vittima non va esaminata secondo criteri astratti, ma valorizzando in concreto ogni circostanza oggettiva e soggettiva, in modo che possa emergere ogni eventuale minaccia o intimazione psicologica attuata in situazioni tali da influire negativamente sul processo mentale di libera determinazione della vittima, quale può essere il comportamento legato al ritorno della vittima insieme al consenso al rapporto.

La Cassazione ha statuito che è sufficiente qualsiasi forma di costringimento fisico o psichico idoneo ad incidere sulla libertà altrui di autodeterminarsi sessualmente, non rilevando né il rapporto di coppia coniugale o para-coniugale, né la circostanza che la donna non abbia opposto un esplicito rifiuto ai rapporti sessuali qualora emerga che l'agente abbia la consapevolezza di un rifiuto implicito da parte della donna al compimento di atti sessuali a causa delle violenze o delle minacce. Ai fini della configurabilità del delitto in esame, sono quindi prive di rilevanza le circostanze relative all'assenza di lesioni personali sul corpo della vittima, il comportamento remissivo della stessa, anche dopo i fatti, e le esitazioni nello sporgere denuncia, in quanto tali circostanze sarebbero facilmente spiegabili con lo stato di terrore che pervade la vittima (Cass. pen. sez. III, 21/2/2000, n. 1911). Integra, inoltre, l'elemento oggettivo del delitto in esame non solo la condotta invasiva della sfera della libertà ed integrità sessuale altrui, realizzata in presenza di una manifestazione del dissenso della vittima, ma anche quella posta in essere in assenza del consenso della persona offesa, anche tacitamente, nel caso in cui la stessa non abbia consapevolezza della materialità degli atti compiuti sulla sua persona (Cass. pen. sez. III, 8/5/2017, n. 22127).

In aggiunta integra la violenza sessuale il fatto che colui che prosegua un rapporto sessuale quando il consenso della vittima, anche se inizialmente prestato, venga meno a causa di un ripensamento o della non condivisione delle forme o delle modalità di consumazione del rapporto, dal momento che il consenso della vittima al compimento degli atti sessuali deve perdurare nel corso dell'intero rapporto (ex multis Cass. pen. sez. III, 27/1/2020, n. 3158; Cass. pen. sez. III, 5/4/2019, n. 15010; Cass. pen. sez. III, 7/3/2016, n. 9221; Cass. pen., Sez. III, 6/2/2014, n. 5768). Inoltre, non è necessario che il dissenso della vittima si manifesti per tutto il periodo di esecuzione del delitto, essendo sufficiente che si estrinsechi nel momento iniziale della condotta antigiuridica. Inoltre la violenza richiesta per l'integrazione del reato è anche quella che si manifesta nel compimento insidiosamente rapido dell'azione criminosa, superando la contraria volontà del soggetto passivo.
La vicenda prende avvio dalla condanna inflitta in primo grado dal Tribunale ad un uomo per aver costretto in più occasioni la moglie ad intrattenersi sessualmente con lui, anche se consapevole del dissenso di quest'ultima alla congiunzione carnale. La ex moglie, dopo essere stata picchiata con calci e pugni dal convivente, era fuggita di casa. Dopo pochi minuti, al suo ritorno, era stata nuovamente vittima di percosse e tale situazione l'aveva indotta a consentire ad avere rapporti sessuali contro la sua volontà, al fine di evitare ulteriori conseguenze lesive.
La Corte d'Appello, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di primo grado, riduceva la pena all'imputato, confermando, in ogni caso, la responsabilità per i fatti compiuti. L'imputato depositava ricorso presso la Corte di Cassazione contro la suddetta pronuncia, sostenendo che era stata confermata l'attendibilità della persona offesa senza approfondire tutte le osservazioni avanzate nell'atto d'appello e limitandosi a richiamare quale riscontro esterno la documentazione sanitaria che riguardava un solo episodio risalente, ed inoltre erano state travisate le dichiarazioni rese dalla persona offesa in ordine al reato di cui all'art. art. 609 bis del c.p. e, infine, le motivazioni dei giudici di secondo grado sul punto risultavano congetturali e non aderenti ai fatti.
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 19611 del 18 maggio 2021, ha disatteso la tesi difensiva secondo cui il reato non poteva sussistere anche alla luce della scarsa attendibilità dimostrata dall'ex coniuge e con l'occasione ha ribadito che, ai fini della configurabilità del reato di violenza sessuale, non si richiede che la violenza sia tale da annullare la volontà del soggetto passivo, ma è sufficiente che la volontà risulti coatta. Non si richiede nemmeno che l'uso della violenza o della minaccia sia contestuale al rapporto sessuale per tutto il tempo, dall'inizio fino al congiungimento; è sufficiente che il rapporto sessuale non voluto dalla parte offesa sia consumato anche approfittando dello stato di prostrazione, angoscia o diminuita resistenza in cui la vittima è ridotta. Oltre a ciò, il dissenso della vittima può essere desunto da molteplici fattori, anche a prescindere dalla esistenza di riscontri fisici sul corpo della vittima, essendo sufficiente la costrizione ad un consenso viziato.
Il ricorso è stato dichiarato, dunque, inammissibile. La Cassazione ha sottolineato la corretta la ricostruzione dei fatti dettagliatamente operata dalla Corte d'Appello ed evidenziato che la persona offesa era stata chiara nell'indicare il lasso temporale in cui erano avvenuti i rapporti non consenzienti e che negli ultimi tempi, anche se aveva deciso di dormire in camera dei figli, ciò non aveva impedito il perpetrarsi delle violenze, in quanto soggiogata dal timore della reazione violenta che ne sarebbe seguita se si fosse rifiutata.

La Cassazione ha, in conclusione, affermato che, in tema di reati sessuali, l'idoneità della violenza o della minaccia a coartare la volontà della vittima va esaminata valorizzando in concreto ogni circostanza oggettiva e soggettiva, sicché essa può sussistere anche in relazione ad una intimazione psicologica attuata in situazioni particolari tali da influire negativamente sul processo mentale di libera determinazione della vittima, senza necessità di protrazione nel corso della successiva fase esecutiva. Quindi, ai fini della configurabilità del delitto, non si richiede che la violenza sia tale da annullare la volontà del soggetto passivo, ma è sufficiente che la volontà risulti coartata. Non risulta nemmeno necessario che l'uso della violenza o della minaccia sia contestuale a tutta la durata del rapporto sessuale: è sufficiente che tale rapporto non voluto sia consumato anche profittando dello stato di prostrazione, angoscia o diminuita resistenza in cui la vittima è ridotta. Il dissenso della vittima può essere desunto da una molteplicità di fattori anche a prescindere dalla esistenza di riscontri fisici sul corpo della vittima, essendo sufficiente la costrizione ad un consenso viziato.

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