La spinta in tal senso è arrivata da una decisione della Corte di Cassazione (sentenza n. 15076/2018), che ha aperto la strada riconoscendo ai dipendenti la possibilità di assentarsi, con permesso retribuito, per fronteggiare situazioni di emergenza sanitaria riguardanti cani e gatti. Un orientamento che ha equiparato, almeno in certi casi, l’assistenza a un animale domestico a quella prestata a un familiare malato, interpretando i cosiddetti “gravi motivi personali e familiari” in maniera più ampia e aderente alla realtà sociale.
È bene precisare che il riconoscimento non è automatico, ma servono condizioni precise, come la certificazione veterinaria che attesti l’urgenza della malattia e l’assenza di altre persone in grado di occuparsi dell’animale. In questi casi, il datore di lavoro è tenuto a concedere il permesso, evitando così di esporre il dipendente al rischio di violare l’art. 727 del c.p., che punisce l’abbandono di animali.
Dinanzi a tale apertura da parte della giurisprudenza, il legislatore sembra ora intenzionato ad intervenire con una normativa ad hoc. Alla Camera, infatti, è in discussione una proposta di legge che inserirebbe i permessi per la cura di cani e gatti tra quelli retribuiti e garantiti a livello nazionale. Le previsioni, se approvate, garantirebbero fino a tre giorni di assenza retribuita in caso di decesso del proprio animale e un monte ore annuale (8 ore) per malattia o cure veterinarie urgenti.
L’iniziativa tiene conto di una serie di studi scientifici che hanno dimostrato come la perdita o la malattia di un animale domestico sia fonte di stress, ansia, nonché di un calo significativo della produttività lavorativa, con effetti paragonabili a quelli di un lutto familiare. Riconoscere un permesso per assistere i propri animali da compagnia significherebbe quindi non solo valorizzarli come esseri senzienti, ormai parte integrante del nucleo familiare, ma anche prevenire possibili conseguenze negative sulla salute psicologica dei lavoratori e, indirettamente, sulla sicurezza sul lavoro.
Al momento, la proposta riguarda esclusivamente cani e gatti, poiché sono gli unici animali per i quali è previsto l’obbligo di microchip e registrazione nell’Anagrafe nazionale degli animali da compagnia.
Ad ogni modo, in attesa di una norma specifica, chi sia costretto ad affrontare situazioni di emergenza con il proprio animale domestico può richiamare la pronuncia della Cassazione del 2018, fornendo a sostegno delle proprie richieste un certificato veterinario che attesti la necessità di assistenza immediata e confrontandosi in modo trasparente con il datore di lavoro.