L'Italia si prepara a una trasformazione nel panorama della previdenza complementare.
A partire dal 1° gennaio 2026, tutti i lavoratori che inizieranno un nuovo rapporto di lavoro vedranno il proprio Trattamento di Fine Rapporto (TFR) indirizzato automaticamente verso i fondi pensione, senza bisogno di compilare moduli o fare richieste esplicite. Il meccanismo che entrerà in vigore si chiama
"silenzio assenso" e rappresenta un'inversione totale rispetto all'attuale sistema, dove è il dipendente a dover manifestare attivamente la volontà di aderire alla previdenza complementare.
Questa modifica normativa - fortemente voluta dalla Lega e dal sottosegretario al Lavoro
Claudio Durigon - punta a superare l'inerzia che, fino ad oggi, ha frenato lo sviluppo dei fondi
pensione in Italia.
Il neo assunto avrà comunque la possibilità di opporsi a questo automatismo, ma dovrà farlo esplicitamente e nei tempi previsti, informando il
datore di lavoro della sua volontà di mantenere il TFR secondo le modalità tradizionali.
Come funzionerà il nuovo automatismo
Il meccanismo operativo della riforma è stato inserito in una nuova
tranche di emendamenti riformulati, attualmente all'esame della commissione Bilancio del Senato. Una volta approvato, il sistema prevede che il TFR del lavoratore confluisca direttamente nel fondo pensione "competente", ossia quello previsto dal
contratto collettivo nazionale di lavoro applicato. Non sarà, quindi, necessaria alcuna iniziativa da parte del dipendente:
sarà il datore di lavoro a versare automaticamente le quote di TFR maturate nel fondo di previdenza complementare di riferimento. Il lavoratore che preferisce non aderire a questa modalità dovrà manifestare una "
diversa volontà" entro termini che saranno stabiliti dalla normativa attuativa. Solo comunicando espressamente questa scelta al proprio datore di lavoro, il TFR potrà essere destinato secondo le modalità alternative, come la liquidazione in busta paga o il mantenimento presso l'azienda o l'INPS.
Questo approccio punta a sfruttare quella che gli esperti di economia comportamentale chiamano "architettura delle scelte": rendendo la previdenza complementare l'opzione predefinita, si conta sul fatto che molti lavoratori manterranno questa impostazione anche solo per inerzia o per evitare complicazioni burocratiche.
I nodi finanziari e le resistenze del passato
L'idea del silenzio assenso per il TFR non è una novità assoluta nel dibattito politico italiano. Tentativi simili erano stati avanzati già in precedenti manovre di bilancio, inclusa quella dello scorso anno, ma si erano sempre arenati di fronte a un ostacolo apparentemente insormontabile: la copertura finanziaria. Il problema è che il passaggio del TFR dai canali tradizionali ai fondi pensione sottrae risorse all'INPS, l'Istituto Nazionale di Previdenza Sociale che utilizza questi flussi come liquidità immediata.
Le stime elaborate dai tecnici del Ministero dell'Economia hanno quantificato questo minor afflusso in una cifra che oscilla tra i 500 e i 600 milioni di euro. Si tratta di somme significative, che l'INPS ha finora utilizzato come tesoreria per far fronte ai pagamenti correnti delle pensioni. Il sottosegretario Durigon ha però insistito sulla necessità di andare oltre queste obiezioni contabili, sostenendo che il rafforzamento strutturale della previdenza complementare rappresenta un investimento sul futuro previdenziale del Paese. L'obiettivo dichiarato è quello di creare un secondo pilastro pensionistico robusto e capillare, in grado di integrare le pensioni pubbliche che, secondo le proiezioni demografiche ed economiche, saranno sempre più contenute per le generazioni future.