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Illecita detenzione di sostanze stupefacenti: condannato l'imputato che deteneva 11 dosi medie singole

Illecita detenzione di sostanze stupefacenti: condannato l'imputato che deteneva 11 dosi medie singole
Nel caso di specie la Cassazione non ha ritenuto provato che l'imputato detenesse la droga esclusivamente a fini di uso personale.
La Corte di Cassazione penale, con la sentenza n. 24863 del 18 maggio 2017, si è occupata di un interessante caso in materia di detenzione illecita di sostanze stupefacenti.

Nel caso esaminato dalla Cassazione, la Corte d’appello di Caltanissetta aveva confermato la sentenza con cui il Tribunale di Gela aveva condannato un imputato per l’illecita detenzione di cocaina (art. 73, comma 5, D.P.R. n. 309 del 1990), da cui erano ricavabili 11 dosi medie singole.

L’imputato, in particolare, era stato condannato ad un anno di reclusione e al pagamento di Euro 3.000,00 di multa.

Ritenendo la condanna ingiusta, l’imputato aveva deciso di rivolgersi alla Corte di Cassazione, nella speranza di ottenere l’annullamento della sentenza sfavorevole.

Secondo il ricorrente, infatti, la droga era stata detenuta a fini di uso personale, come dimostrato dal fatto che l’imputato godeva di una “buona capacità finanziaria”, derivante dalla propria attività professionale (gestione di un negozio di detersivi).

Il ricorrente osservava inoltre che, nello stesso periodo in cui si erano verificati i fatti oggetto di contestazione, egli stesso aveva ammesso, davanti alla Prefettura, di aver detenuto delle sostanze stupefacenti per uso personale.

L’imputato lamentava, infine, che la Corte d’appello avesse immotivatamente rigettato la propria richiesta di concessione delle circostanze attenuanti generiche, di cui all’art. 62 bis cod.pen.

La Corte di Cassazione riteneva di poter accogliere solo parzialmente il ricorso proposto dall’imputato.

Secondo la Cassazione, in particolare, la Corte d’appello aveva correttamente ritenuto sussistente il reato di “detenzione illecita di sostanza stupefacente”, di cui all'art. 73, comma 5, D.P.R. n. 309 del 1990, in quanto il quantitativo di sostanza stupefacente rinvenuto nella disponibilità dell’imputato era rilevante e l’imputato, al momento del controllo e alla vista degli agenti di Polizia, aveva disperso la sostanza sui tappetini e sul sedile della propria auto.

Secondo la Cassazione, inoltre, la Corte d’appello aveva, altrettanto correttamente, ritenuto irrilevante sia l’ammissione dello stato di tossicodipendenza, sia l’affermazione di una “buona capacità finanziaria.

Infatti, da un lato, lo stato di tossicodipendenza era stato ammesso in relazione ad un altro controllo, di molto successivo al fatto oggetto di contestazione e, d’altro lato, l’imputato non aveva fornito indicazioni circa i redditi percepiti ed, anzi, egli risultava gravato da numerosi precedenti penali, con la conseguenza che appariva “improbabile” che egli vivesse abitualmente del solo frutto di attività lecite.

La Corte di Cassazione riteneva, tuttavia, che la Corte d’appello non avesse adeguatamente motivato la propria decisione di non concedere all’imputato le “attenuanti generiche, di cui all’art. 62 bis c.p., con la conseguenza che la sentenza impugnata veniva comunque annullata, rinviando la causa alla Corte d’appello stessa, affinchè la medesima potesse valutare se sussistessero o meno i presupposti per la concessione di tali attenuanti.


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