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Il fatto che il padre sia stato in carcere non comporta automaticamente lo stato di abbandono dei figli minori

Famiglia - -
Il fatto che il padre sia stato in carcere non comporta automaticamente lo stato di abbandono dei figli minori
La Corte di Cassazione è recentemente intervenuta con un’interessante pronuncia in tema di adozione.

Va osservato che la legge sull’adozione (legge n. 184 del 1983) prevede espressamente che possono essere dichiarati in stato di adottabilità i minori che si trovino in “stato di abbandono”.

In proposito, la Corte di Cassazione ha avuto modo di precisare come lo “stato di abbandono” debba ritenersi sussistente “qualora la situazione familiare sia tale da compromettere in modo grave ed irreversibile un armonico sviluppo psico-fisico del bambino, considerato non in astratto, ma in concreto, ovvero in relazione al suo vissuto, alle sue caratteristiche fisiche e psicologiche, alla sua età, al suo grado di sviluppo ed alle sue potenzialità. Ne deriva che una mera espressione di volontà dei genitori di accudire il minore, in assenza di concreti riscontri, non è idonea al superamento della situazione di abbandono”(Cass. civ. sentenza 18 dicembre 2013, n. 28230).

Laddove, dunque, il minore sia in una situazione familiare tale che potrebbe compromettere la sua crescita e il suo sviluppo psico-fisico, lo stesso può essere dichiarato adottabile.

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 9339 del 2016, si è trovata ad affrontare la questione relativa all’adottabilità di un minore figlio di un padre appena scarcerato.

Questa particolare condizione del genitore, infatti, può essere tale da far considerare il minore in “stato di abbandono”, con conseguente adottabilità del medesimo?

Nel caso all’esame della Corte, il Tribunale per i Minorenni aveva dichiarato lo stato di adottabilità dei figli minori di un padre che aveva trascorso alcuni anni in carcere e che ora era stato scarcerato.
La Corte d’Appello, in sede di impugnazione, riformava la sentenza del Tribunale, revocando lo stato di adottabilità, osservando come “l’unico impedimento all’esercizio della propria genitorialità era dipeso da ostacoli oggettivi a lui non imputabili e che appena rimesso in libertà si era subito adoperato per ottenere l’affidamento dei figli (nel frattempo collocati provvisoriamente presso una famiglia, atteso il totale disinteresse della madre), ricercando un’abitazione ed un’attività lavorativa”.

Giunti al terzo grado di Giudizio, la Corte rileva come non fosse emersa nessuna circostanza tale da poter mettere in dubbio la capacità genitoriale del padre o tale da “pregiudicare la sana crescita dei minori”, a maggior ragione considerato che il padre, una volta messo in libertà, aveva anche trovato un lavoro che gli permetteva anche di pagare il canone di locazione relativo alla casa di abitazione.
Il padre, inoltre, aveva nel frattempo trovato una nuova compagna, con la quale conviveva, che si era dichiarata disponibile ad accudire i figli del compagno; inoltre disponeva anche del sostegno economico della di lui madre.

Stante tale situazione complessiva, dunque, la Corte ritiene “acclarata l’insussistenza dello stato di abbandono dei minori”, con la conseguenza che andava assolutamente “revocata la declaratoria dello stato di adottabilità dei medesimi”.

Osserva, infatti, la Cassazione, che “l’adozione dei minori costituisce extrema ratio e considerando anche l’offerto sostegno esterno quantomeno dalla nonna paterna”, rende necessario concludere nel senso della “insussistenza dello stato di abbandono”, dovendosi dare “prognosi favorevole circa la corrispondenza al superiore interesse dei bambini del ristabilimento del legame familiare piuttosto che della relativa rescissione”.

Di conseguenza, il solo fatto che il padre di un minore sia stato detenuto in carcere non vale a giustificare la dichiarazione dello stato di adottabilità del medesimo, in quanto non vi è alcun automatismo tra carcerazione del padre e stato di abbandono del figlio, soprattutto nelle ipotesi in cui il soggetto in questione si stia impegnando al fine di rientrare nella società, trovando un lavoro che gli consenta di garantire un’esistenza dignitosa al figlio e a maggior ragione quando il medesimo possa contare sul supporto morale e materiale della propria famiglia, che si renda disponibile ad aiutarlo, anche economicamente.

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