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Contraffazione: il reato può dirsi commesso anche se il prodotto non è stato ancora commercializzato

Contraffazione: il reato può dirsi commesso anche se il prodotto non è stato ancora commercializzato
Secondo la Cassazione, ai fini della configurabilità del reato di contraffazione, è necessario e sufficiente che il marchio o segno distintivo contraffatto sia stato depositato, registrato o brevettato.
E’ del 2 maggio 2016 un’interessante sentenza della Corte di Cassazione penale in tema di contraffazione (sentenza n. 18289 del 2 maggio 2016).

In particolare, se viene contraffatto il modello di un prodotto che non è ancora stato messo in commercio, il reato di contraffazione può dirsi ugualmente realizzato?

La Corte di Cassazione, con la sentenza sopra citata, si è occupata proprio di questa questione, fornendo alcune precisazioni sul punto.

Nel caso esaminato dalla Cassazione, il Tribunale del riesame di Lucca aveva confermato il decreto con cui era stato convalidato il sequestro di sei borse, aventi degli elementi riconducibili al noto marchio “Prada”.

Il decreto di convalida, in particolare, era stato emesso nei confronti di un soggetto, che era stato accusato del reato di cui all’art. 473 cod. pen. (“contraffazione, alterazione o uso di marchi o segni distintivi ovvero di brevetti, modelli e disegni”).

Ritenendo il sequestro ingiusto, il soggetto interessato aveva deciso di rivolgersi alla Corte di Cassazione, nella speranza di ottenere l’annullamento del provvedimento.

Secondo il ricorrente, in particolare, non sussistevano gli elementi costitutivi del reato di contraffazione, in quanto, al momento del sequestro, il modello cui appartenevano le borse sequestrate non era stato ancora messo in commercio, né pubblicizzato, con la conseguenza che la condotta dell’indagato non era stata idonea a generare alcuna confusione circa la reale provenienza del bene e a sviare il consumatore, “il quale ignorava che il modello era stato registrato da un soggetto diverso”.

La Corte di Cassazione, tuttavia, non riteneva di poter dar ragione al ricorrente, rigettando il relativo ricorso, in quanto infondato.

Osservava la Cassazione, infatti, che l’art. 473 c.p. non tutela l’interesse del singolo acquirente, in quanto la norma è posta a tutela della “pubblica fede, intesa come “affidamento dei cittadini nei marchi o segni distintivi che individuano le opere dell’ingegno o i prodotti industriali e ne garantiscono la circolazione”.

Pertanto, ai fini dell’integrazione del reato in questione, non è necessario che il cliente sia indotto in errore sulla genuinità del prodotto, essendo sufficiente e necessarioche il marchio o il segno distintivo, di cui si assume la falsità, sia stato depositato, registrato o brevettato (…) in quanto la falsificazione dell’opera dell’ingegno può aversi soltanto se essa sia stata formalmente riconosciuta come tale”.

Ebbene, nel caso di specie, secondo la Cassazione, sussistevano tutti gli elementi costitutivi del reato di contraffazione, dal momento che il modello delle borse sequestrate era stato registrato, per stessa ammissione del ricorrente stesso, dalla società “Prada”.

Ciò considerato, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso proposto dal ricorrente, condannando il medesimo al pagamento delle spese processuali.


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