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Se il condomino non paga la bolletta l'amministrazione non può operare il distacco del servizio elettrico

Se il condomino non paga la bolletta l'amministrazione non può operare il distacco del servizio elettrico

Se siamo all'interno di un condominio e non paghiamo la bolletta dell'energia elettrica, il condominio potrebbe direttamente "staccarci" la corrente, senza nemmeno rivolgersi al Tribunale e chiedere la pronuncia di una sentenza di condanna nei nostri confronti?

Ebbene, proprio di questa questione si è occupata la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 47276 del 30 novembre 2015, la quale ha chiarito come il distacco dal servizio integrerebbe il reato di "esercizio arbitrario delle proprie ragioni", di cui all'art. 392 codice penale.
In particolare, va osservato che tale disposizione punisce con la multa fino a 516 euro "chiunque, al fine di esercitare un preteso diritto, potendo ricorrere al giudice, si fa arbitrariamente ragione da sè medesimo, mediante violenza sulle cose".

Nel caso esaminato dalla Corte, un condomino aveva agito in giudizio nei confronti del gestore del residence in cui era situato il proprio appartamento, il quale, a seguito del mancato pagamento di alcune bollette, aveva proceduto a staccargli la corrente (molto probabilmente la fornitura di corrente avveniva da un contatore centrale intestato al residence, dal quale si diramavano poi delle sottolinee secondarie interne verso le varie unità immobiliari del residence, gestite direttamente quindi dal residence stesso e non dall'Enel).

Il gestore del residence veniva condannato dal Tribunale e la sentenza era stata confermata dalla Corte d'Appello, in quanto, entrambi i giudici ritenevano che il medesimo si fosse reso colpevole del reato di "esercizio arbitrario delle proprie ragioni", di cui all'art. 392 c.p., in quanto l'imputato aveva disattivato "la derivazione della corrente elettrica verso l'unità abitativa" del condomino, a causa del mancato pagamento di alcune utenze.

Il gestore, quindi, proponeva ricorso per Cassazione, il quale, tuttavia, veniva rigettato, in quanto la Corte non riteneva di poter aderire alle argomentazioni dallo stesso svolte, confermando la sentenza di condanna emanata dalla Corte d'Appello.

In particolare, secondo l'imputato, le pronunce di condanna dei primi due gradi di giudizio sarebbero state ingiuste, in quanto non avrebbero tenuto in adeguata considerazione il fatto che la società amministratrice del residence in questione, di cui lui non era titolare, aveva comunicato al condomino di aver incaricato un tecnico di procedere al distacco. L'imputato, quindi, non poteva considerarsi "gestore del residence" e si sarebbe comportato come "mero esecutore di direttive adottate dalla società in questione".

La Cassazione, tuttavia, non ritiene di poter aderire alle argomentazioni svolte dal ricorrente, confermando la condanna per "esercizio arbitrario delle proprie ragioni".

Nello specifico, secondo la Corte, "la circostanza che l'imputato abbia eseguito decisioni o direttive del titolare del diritto non esclude affatto di per se la punibilità dell'agente, in quanto per costante giurisprudenza il soggetto attivo del delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni può essere anche colui che eserciti un diritto pur non avendone la titolarità,via agendo per conto del l'effettivo titolare (tra le tante, Sez. 6, n. 8434 del 30/4/1985; Sez. 6, n. 14335 del 16/03/2001)".
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In altre parole, a nulla rileva che il soggetto in questione non fosse titolare della società che gestiva il residence, in quanto, ai fini della condanna, è sufficiente che egli abbia agito per conto della società medesima.

Allo stesso modo, doveva ritenersi sussistente il "dolo" del soggetto, consistente nella volontà di esercitare un diritto che si presume esistente, "nel ragionevole convincimento della sua legittimità".
Infatti, precisa la Corte come "il delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, previsto dall'art. 392 c.p.,, richiede, oltre il dolo generico, costituito dalla coscienza e volontà di farsi ragione da sè pur potendo ricorrere al giudice, anche quello specifico, rappresentato dal l'intento di esercitare un preteso diritto nel ragionevole convincimento della sua legittimità".

In sostanza, ciò sta a significare, che il gestore del residence, non può farsi giustizia da sè, interrompendo l'erogazione della corrente, ma deve ricorrere al giudice competente al fine di ottenere uno specifico provvedimento di condanna nei confronti del condomino-debitore.

Pertanto, nel caso di specie, la Cassazione rigetta il ricorso proposto dall'imputato, condannato nei primi due gradi di giudizio, in quanto deve ritenersi fondata la denuncia effettuata dal condomino, che, del tutto correttamente, ha ritenuto illegittimo il distacco della corrente elettrica a causa del mancato pagamento delle bollette: il gestore del residence, infatti, non avrebbe dovuto procedere in tal modo, ma avrebbe dovuto rivolgersi al giudice competente e chiedere un apposito provvedimento nei confronti del condomino inadempiente.

Tutto quanto sopra dovrebbe essere coordinato con la norma di cui all'art. 63 delle disposizioni attuattive del codice civile, che recita testualemente:

"In caso di mora nel pagamento dei contributi che si sia protratta per un semestre, l'amministratore può sospendere il condomino moroso dalla fruizione dei servizi comuni suscettibili di godimento separato"

E' evidente che pare esserci un poca di confusione. Da una parte la norma citata appare chiara nel facoltizzare l'amministratore ad assumere l'niziativa del distacco in caso di mora nel pagamento protrattasi per più di 6 mesi, dall'altra la giurisprudenza ritiene commetta reato chi proceda al distacco senza previa autorizzazione dell'autorità giudiziaria.

Per tali motivi da più parti è stato richiesto un intervento chiarificatore del legislatore, al fine di avere un indirizzo applicativo preciso ed univoco della norma sopraccitata.







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