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Commette diffamazione chi afferma che una persona si è sposata solo per interesse

Commette diffamazione chi afferma che una persona si è sposata solo per interesse
Secondo la Cassazione, anche solo ipotizzare la strumentalizzazione del matrimonio da parte di un soggetto ha una potenzialità lesiva, sia dell'amor proprio del soggetto stesso, sia della sua dignità e considerazione sociale.

Cosa succede se diciamo a qualcuno che una persona si è sposata solo per interesse?
La condotta può costituire reato?

Stando a quanto affermato dalla Corte di Cassazione, con la sentenza n. 31434 del 23 giugno 2017, sembrerebbe proprio di sì.

Nel caso esaminato dalla Cassazione, un imputato era stato condannato per il reato di “diffamazione” (art. 595 cod. pen.), in quanto questi aveva detto a delle parenti di una donna, che quest’ultima si era sposataper acquisire lo status di vedova, quindi per interesse”.

L’imputato, ritenendo la decisione ingiusta, aveva deciso di rivolgersi alla Corte di Cassazione, nella speranza di ottenere l’annullamento della sentenza sfavorevole.

Secondo il ricorrente, in particolare, il Giudice non avrebbe adeguatamente tenuto in considerazione il fatto che la presunta vittima della diffamazione e le sue parenti avrebbero potuto essersi messe d’accordo per calunniare l’imputato.

Il Giudice, inoltre, non avrebbe nemmeno tenuto in considerazione il fatto che l’imputato aveva dimostrato che il giorno del presunto incontro con le parenti della persona offesa, egli si trovava in un’altra città.

Infine, secondo il ricorrente, le espressioni oggetto di contestazione non integravano, comunque, il reato di “diffamazione”, non avendo contenuto offensivo.

La Corte di Cassazione, tuttavia, non riteneva di poter dar ragione all’imputato, rigettando il relativo ricorso, in quanto infondato.

Osservava la Cassazione, in proposito, che, la frase oggetto di contestazione, con la quale l’imputato aveva attribuito alla persona offesa “la volontà di essersi sposata per acquisire la condizione di moglie e poi di vedova, e, quindi, per interesse”, assumeva di per sé un “valore intrinsecamente offensivo della reputazione della donna, intesa come il senso della propria dignità personale nella opinione degli altri ed in sostanza nella considerazione sociale”.

Secondo la Cassazione, infatti, “l'attribuzione alla persona offesa della deliberata volontà di sposare un uomo di cui conosceva la condizione di malato quasi terminale, allo scopo di ereditarne i beni, avendo in precedenza ottenuto lo status di moglie”, dava atto di un comportamento contrario al sentire comune e ai canoni etici della generalità delle persone.

Evidenziava la Cassazione, peraltro, che il matrimonio ha una notevole importanza “dal punto di vista religioso, culturale, sociale e morale per la maggior parte dei cittadini italiani”, con la conseguenza che le parole usate nei confronti della vittima, “incentrate sulla ipotizzata strumentalizzazione da parte sua del matrimonio a scopo di lucro”, avevano avuto “una potenzialità lesiva non solo del suo personale amor proprio ma soprattutto della sua dignità e dalla considerazione da parte della comunità sociale in cui è inserita, che, di regola, disapprova tali comportamenti”.

Ciò considerato, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso proposto dall’imputato, confermando integralmente la sentenza impugnata e condannando il ricorrente anche al pagamento delle spese processuali.

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