Conseguenze che derivano dal perimento totale o parziale dell'edificio
L'ipotesi di perimento dell'edificio appartenente per piani separati a soggetti diversi, per quanto non frequente in giurisprudenza, era stata discussa in dottrina sotto la vigenza del codice vecchio, con l'adozione di
diverse soluzioni. Secondo alcuni si sarebbe dovuto dividere il suolo in tante parti quanti i piani ed attribuirne una porzione al proprietario di ciascun piano, secondo altri si sarebbe dovuto vendere il suolo per intero e distribuire il ricavato fra i proprietari dei vari piani, secondo altri ancora ognuno dei proprietari avrebbe potuto costringere gli altri proprietari a riedificare i piani di spettanza di ciascuno, secondo altri, infine, i proprietari dei piani soprastanti al terreno, avrebbero potato costruire le strutture atte a sostenere il o i piani soprastanti, senza poter costringere a costruire il proprietario del pianterreno o dei piani sottostanti.
Il R.D.L. 15 gennaio 1934 n. 56 aveva previsto una norma espressa a tal proposito, che è stata sostanzialmente riprodotta dal nuovo codice. A base di essa sta il
principio fondamentale che
il suolo è proprietà comune dei proprietari dei vari piani dell'edificio (
art. 1125 del c.c.), contro la tesi, sostenuta per il vecchio codice da alcuni, che il suolo fosse proprietà separata del proprietario del pianterreno dell'edificio.
Ciò premesso, il nuovo codice distingue
due ipotesi: quella che l'edificio sia perito interamente o per una parte che rappresenti i tre quarti del suo valore, che si avvicina al perimento totale, e quella di perimento di una parte minore. Nella prima ipotesi l'edificio non esiste affatto o non esiste come entità apprezzabile: non restano che il suolo od eventuali materiali, per i quali è dato a ciascun condomino il diritto di chiedere la vendita all'asta, salvo che sia stato diversamente convenuto. È questa la soluzione più razionale: l'idea di dividere in natura il suolo fra i proprietari dei vari piani dell'edificio non soddisfaceva nè i singoli interessi, nè un interesse collettivo. Nella seconda ipotesi, invece, si considera prevalente l'interesse collettivo alla ricostruzione delle parti comuni dell'edificio, che consente la ricostruzione anche separata dei vari piani appartenenti ai diversi soggetti. Pertanto, se l'assemblea dei condomini, con la maggioranza di cui all’
art. 1136 del c.c., delibera favorevolmente alla ricostruzione delle parti comuni dell'edificio, ciascuno è tenuto a concorrervi in proporzione dei suoi diritti sulle parti stesse.
Da tale onere il partecipante può liberarsi soltanto dichiarandosi pronto a
cedere agli altri condomini i suoi diritti, anche sulle parti di sua esclusiva proprietà, e cioè trasferendo i suoi diritti di condomino e di proprietario separato sull'edificio. Tale cessione va fatta, in base a stima, in favore di tutti i condomini, salvo che uno o più dei condomini ed il cedente siano di accordo per una cessione limitata a favore di uno.
Se l'edificio era
assicurato, la porzione di indennità correlativa alle parti comuni è destinata alla ricostruzione delle medesime, e su di essa i creditori privilegiati o ipotecari sull'immobile non hanno facoltà di far valere i loro diritti, sempre che essa sia effettivamente utilizzata per la ricostruzione.