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Le offese via chat (sms, whatsapp, email): tra ingiuria e diffamazione

Le offese via chat (sms, whatsapp, email): tra ingiuria e diffamazione
La Corte di Cassazione delinea il discrimen tra la condotta di ingiuria ed il delitto di diffamazione in caso di offese arrecate via web.
La Corte di Cassazione, sezione V penale, con sentenza n. 2246 del 14 dicembre 2022 (depositata in data 19 gennaio 2023) si è pronunciata circa la differenza tra la condotta di ingiuria, oramai depenalizzata ai sensi dell'art. 1, comma 1, lett. c), D.L.vo 15 gennaio 2016 n.7, ed il delitto di diffamazione. In particolare, sulla scia della precedente elaborazione giurisprudenziale, la Corte di Cassazione ha, in tale sede, confermato che elemento caratterizzante il delitto di diffamazione è l'estraneità del terzo destinatario delle offese rispetto alla conversazione in itinere, il quale, non potendo interloquire con gli autori della offesa, non può difendersi: solo in caso di contestualità dell'offesa rispetto alla conversazione tra le parti, dunque, la condotta illecita perfeziona il fatto illecito dell' ingiuria, oramai depenalizzato, e pertanto non più penalmente punibile.

La distinzione tra le due tipologie di condotte è fondamentale, considerando che, ad oggi, solo la condotta di diffamazione merita punizione penale: il legislatore ha, nel 2016, rinunciato a punire il delitto di ingiuria, non qualificando più come penalmente rilevante l'offesa ivi arrecata. In ambo i fatti illeciti, il bene giuridico tutelato è quello dell'integrità della reputazione, la quale subisce un danno considerevole in caso di offese arrecate pubblicamente (art. 2 Cost.; art. 3 Cost.).
Tuttavia, la tutela del bene giuridico in esame si scontra anche con la libertà di manifestazione del pensiero, tutelata nella costituzione all'interno dell' art. 21 Cost.: ognuno può esprimere liberamente il proprio pensiero, purché non sia lesa la dignità di ogni consociato.

Al fine di comprendere pienamente la pronunzia in esame, occorre effettuare una preliminare disamina circa i fatti illeciti della diffamazione e dell'ingiuria, al fine di individuarne gli elementi differenziali.
In particolare, il delitto di diffamazione (art. 595 del c.p.) si perfeziona, ex lege, qualora un soggetto, comunicando con più persone, offende l'altrui reputazione. Al fine di perfezionare la fattispecie de quo, occorrono dunque tre elementi costitutivi: l'offesa all'altrui reputazione; l'assenza del soggetto offeso; la comunicazione a più persone. L'elemento soggettivo richiesto al fine di integrare la fattispecie della diffamazione è il dolo, anche solo nella forma eventuale: occorre, difatti, la volontà del soggetto agente di macchiare, attraverso la propria condotta offensiva, la reputazione altrui in sua assenza.
Stante l'avanzamento delle nuove tecnologie, il delitto di diffamazione si presenta sempre di più nella forma telematica: sono notevolmente aumentati i casi di diffamazione via web, attuati specie attraverso l'utilizzo dei social network.
La condotta de quo può essere scriminata qualora sia posta in essere nell'espletamento dell'esercizio del diritto di cronaca giornalistica (ai sensi dell' art. 51 del c.p.), qualora l'informazione diffamatoria rispetti i requisiti della verità, pertinenza e continenza; secondo una parte della dottrina, a scriminare la condotta diffamatoria è anche l'esercizio del diritto di cronaca, ovvero di satira.

Per quanto riguarda l'ingiuria (art. 494 del c.p.) invece, questa consta nella condotta di offesa al decoro della persona presente: la contestualità dell'offesa rispetto alla conversazione con il soggetto destinatario della stessa, pertanto, genera la condotta de quo in luogo di quella della diffamazione. L'ingiuria, difatti, si caratterizza per la percezione dell'offesa da parte del destinatario. Secondo la giurisprudenza maggioritaria, si manifesta ingiuria qualora il soggetto offeso resta estraneo alla comunicazione intercorsa con più persone, e pertanto è impossibilitato a difendersi dalle accuse mosse nei suoi confronti (Cass. pen., sez. V, 25 febbraio 2020, n. 10905).
Il legislatore, attraverso la legge n. 7 del 2016, ha abrogato la fattispecie di reato di cui all'art. 494 c.p., punendo le condotte di offesa all'altrui reputazione contestuali con la sola sanzione pecuniaria di stampo civilistico.

Alla luce delle premesse di carattere generale supra esposte, è possibile analizzare il contenuto della sentenza in esame.
La Corte di Cassazione, in tal sede, ha confermato l'orientamento giurisprudenziale pregresso, intravedendo il discrimen tra la condotta di ingiuria e quella di diffamazione nell'elemento della estraneità del terzo destinatario delle offese. In particolare, la Cassazione in tal sede si è spinta oltre, affermando anche che il delitto di diffamazione intercorre anche nei casi in cui il terzo destinatario sia presente nella conversazione effettuata, ma non riesca a percepire il contenuto del messaggio contestualmente rispetto agli altri destinatari della conversazione. In particolare, avallando l'orientamento giurisprudenziale precedente, ha affermato che "l'invio di una "e-mail dal contenuto offensivo ad una pluralità di destinatari integri il reato di diffamazione anche nell'eventualità che tra questi vi sia l'offeso, stante la non contestualità del recepimento del messaggio nelle caselle di posta elettronica di destinazione" (da Cass. pen., sez. V, 4 marzo 2021, n. 13252).

Dunque, nel caso di specie si è ritenuto integrato il delitto di diffamazione, e non la fattispecie depenalizzata di ingiuria aggravata dalla presenza di più persone, nel caso di inoltro di messaggi offensivi e diffamanti nei confronti della persona offesa all'interno di una "chat" condivisa, e pertanto visibile anche ad altri soggetti, qualora il destinatario dell'offesa non abbia recepito la stessa nell'immediatezza (Cass. pen., sez. V, 10 giugno 2022, n. 28675).


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