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Articolo 287 Codice di procedura civile

(R.D. 28 ottobre 1940, n. 1443)

[Aggiornato al 28/12/2023]

Casi di correzione

Dispositivo dell'art. 287 Codice di procedura civile

Le sentenze [contro le quali non sia stato proposto appello](1) e le ordinanze non revocabili [177](2) possono essere corrette, su ricorso di parte, dallo stesso giudice che le ha pronunciate, qualora egli sia incorso in omissioni o in errori materiali o di calcolo(3).

Note

(1) La Corte Costituzionale, con sentenza 28 ottobre - 10 novembre 2004, n. 335, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 287 del codice di procedura civile limitatamente alle parole "contro le quali non sia stato proposto appello".
(2) Oltre alle ordinanze irrevocabili disciplinate dall'art. 177 del c.p.c., vi sono anche quelle del giudice dell'esecuzione.
Quanto alla correzione delle sentenza della Corte di cassazione, la disciplina è contenuta all'art. 391 bis del c.p.c..
(3) L'omissione è una dimenticanza da parte del giudice di un elemento formale necessario per legge, come la mancata indicazione, nella sentenza, del nome di una parte (se dal contesto della sentenza risulti chiaramente l'identità).
Anche l'errore materiale è dovuto ad una svista o dimenticanza del giudice, che ad esempio indichi erroneamente la data di deliberazione della sentenza.
L'errore di calcolo, invece, non è altro che una scorretta applicazione di regole matematiche o aritmetiche.
La norma fa riferimento agli errori del giudice, ma si ritiene che la disposizione sia applicabile anche a quelli causati dalla parte o nei quali sia incorso il cancelliere.

Brocardi

Error in iudicando
Error in procedendo

Spiegazione dell'art. 287 Codice di procedura civile

La procedura di correzione di sentenze e ordinanze irrevocabili è quella particolare procedura che consente di eliminare vizi, omissioni, errori, che riguardano il provvedimento considerato non come atto giurisdizionale, ma come documento.
Si afferma, infatti, che il procedimento ex art. 287 è esperibile non per ovviare ad errori che intervengono nella formazione del giudizio, bensì ad errori che intervengono nella redazione del documento e che risultano dalla sua lettura.
L'introduzione del processo civile telematico ha fatto sorgere il dubbio se l'istituto previsto dalla norma in esame sia applicabile anche al documento informatico.
Solo di recente la Suprema Corte ha affermato che può farsi ricorso a tale procedimento quando il giudice, nel redigere la sentenza e in conseguenza di un mero errore di sostituzione del file informatico, abbia commesso uno scambio di provvedimenti nella fase di impaginazione (così Cass. N. 4319/2019).

Sia il procedimento che il provvedimento in esame hanno natura amministrativa, con la funzione di ripristinare la corrispondenza tra quanto la sentenza ha inteso dichiarare e quanto ha formalmente dichiarato; pertanto, stante la natura amministrativa e non impugnatoria di questo procedimento, la notifica dell'istanza di correzione di errore materiale della sentenza non può essere idonea a far decorrere il termine breve di cui all’art. 325 del c.p.c..
In dottrina è stato anche precisato che la decisione sulla correzione non costituisce mai una decisione sostitutiva di quella già contenuta nella sentenza.

Due sono le tipologie di provvedimenti assoggettabili a questa procedura:
  1. le sentenze inappellabili, le sentenze appellabili, ancorché non ancora appellate e, infine, quelle non più appellabili in quanto passate in giudicato. La Corte costituzionale, con sentenza n. 335/2004, ha sancito la parziale illegittimità costituzionale della previsione normativa in commento relativamente alle parole “contro le quali non sia stato proposto appello”.
  2. le ordinanze irrevocabili, quelle, cioè, dichiarate tali dalla legge (ad esempio, ex art. 177 del c.p.c., 3° co.) e quelle in relazione alle quali risultino esauriti i rimedi esperibili (vanno escluse le ordinanze di cui agli artt. 186 bis, 186 ter, mentre, per quanto concerne l'ordinanza di cui all'art. 186 quater del c.p.c., la circostanza che questa non sia revocabile o modificabile da parte del giudice istruttore che l'ha emessa, fa ritenere che anche tale provvedimento sia suscettibile di essere oggetto del procedimento in oggetto).
Sempre con riguardo alle ordinanze, le ordinanze del giudice dell'esecuzione, che non possono essere revocate per aver avuto attuazione, sono suscettibili di correzione nei casi e nelle forme previsti dagli artt. 287 e 288 c.p.c.

Il procedimento in oggetto si ritiene applicabile anche agli errori causati dalla parte, o nei quali sia incorso il cancelliere, e non limitato esclusivamente agli errori in cui è incorso il giudice; si esclude, invece, la sua applicazione al fine di eliminare errori che determinano nullità del provvedimento (così non costituisce caso emendabile la mancata od erronea sottoscrizione della sentenza, da parte del presidente o di uno dei giudici).

Tra i casi di errore materiale emendabili rientrano, a titolo esemplificativo, i seguenti:
a) l'erronea indicazione della data di deliberazione;
b) l'erronea applicazione delle tariffe in materia di spese;
c) la contraddizione tra motivazione e dispositivo, qualora sussista una parziale coerenza tra gli stessi
d) la riproduzione, nell'intestazione della sentenza, del nome di un magistrato diverso da quello riportato nel verbale dell'udienza collegiale
e) la sottoscrizione da parte di giudice estraneo al collegio giudicante
f) l'inesatta indicazione dei dati anagrafici, nella sentenza, di alcuna delle parti.
L'errore nell'indicazione del cognome di una delle parti nella intestazione e nel corpo della sentenza non determina la nullità della decisione, purché si accerti che il contraddittorio si è instaurato e il processo si è svolto nei confronti della parte effettiva.

Gli errori di calcolo, invece, consistono nella scorretta utilizzazione delle regole matematiche, esclusi tutti gli errori di impostazione delle operazioni stesse ovvero l'errore sui presupposti numerici dell'operazione stessa, che possono essere censurati con l'appello o il ricorso per cassazione.

In tema di omissioni va detto che sono esclusi dall'ambito di applicazione della norma in esame sia l'omissione di giudizio sia di un aspetto del giudizio.
Esempi di omissione rilevanti sono i seguenti:
a) mancata indicazione nell'epigrafe della sentenza del nome di una delle parti, purché, dal contesto della sentenza, l'identità della parte emerga senza possibilità di equivoci, ovvero del conferimento della procura;
b) mancata o inesatta indicazione nell'intestazione della sentenza del nome del difensore di alcuna delle parti (purché non sia idonea a produrre nullità della sentenza, rivelando che il contraddittorio non si è regolarmente costituito);
c) mancata trascrizione delle conclusioni di una delle parti, purché tali conclusioni siano state esaminate e non sia mancata la decisione su di esse, posto che, in difetto, si verificherebbe una nullità;
d) omesso inserimento, nel testo o nel dispositivo della sentenza, di dati catastali;
e) mancata indicazione della parte contumace nell'epigrafe della sentenza e mancata dichiarazione di contumacia della stessa.

Secondo il prevalente indirizzo giurisprudenziale, l'omessa pronuncia sulle spese da parte del giudice ex art. 91 del c.p.c. integra un vizio di omessa pronuncia e come tale, in linea di principio, non è emendabile con il procedimento di correzione, ma può essere fatto valere con gli ordinari mezzi di impugnazione, salvo che esso integri un caso di palese "svista" da parte del giudice.
Ricorre il medesimo vizio di omessa pronuncia, non suscettibile di correzione, anche nel caso in cui il giudice non provveda sulla domanda di distrazione proposta ex art. 93 del c.p.c. dal difensore della parte vittoriosa.

In contrario, tuttavia è stato osservato che tale omissione è riconducibile ad una mera disattenzione da parte del giudice, tenuto conto anche del fatto che la concessione della distrazione, ricorrendone le condizioni, non è soggetta ad alcuna forma di valutazione giudiziale, in quanto il giudice è vincolato a quanto asserito dal professionista.

Giudice competente a pronunciare sul procedimento di correzione è lo stesso che ha pronunciato il provvedimento correggibile (per “stesso giudice” si deve intendere lo stesso ufficio giudiziario).
Si tratta di una ipotesi di competenza esclusiva, che non viene preclusa né dal passaggio in giudicato della sentenza né dalla pendenza del termine per impugnare con mezzi diversi dall'appello.

Massime relative all'art. 287 Codice di procedura civile

Cass. civ. n. 39473/2021

In tema di equa riparazione per irragionevole durata del processo, il procedimento di correzione dell'errore materiale, proponibile senza limiti di tempo, rileva ai fini della valutazione del superamento del termine previsto dalla legge, ma non ai fini dell'individuazione del "dies a quo" del termine perentorio di sei mesi per la proposizione del ricorso ex art. 3 della l. n. 89 del 2001, il quale, pure in pendenza di un procedimento di correzione dell'errore materiale, decorre dal momento della definizione del giudizio presupposto. (Rigetta, CORTE D'APPELLO PERUGIA, 27/10/2020).

Cass. civ. n. 35057/2021

Nel rito del lavoro deve attribuirsi la fede privilegiata dell'atto pubblico sia al verbale di udienza che al dispositivo della sentenza letto in udienza, compresa la relativa intestazione, il quale prevale sull'eventuale difforme contenuto della sentenza successivamente depositata; ne consegue che, in caso di contrasto tra il verbale della discussione e il dispositivo letto in udienza della sentenza d'appello circa la composizione del collegio giudicante, tutta la sentenza deve ritenersi affetta da nullità insanabile per la non coincidenza tra il collegio della fase di discussione della causa e quello deliberante, né tale contrasto e la conseguente nullità possono essere eliminati mediante il procedimento di correzione degli errori materiali. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO SALERNO, 25/01/2018).

Cass. civ. n. 13854/2021

In sede di procedura di correzione di errore materiale, la modifica della statuizione sulle spese legali quale conseguenza della correzione della decisione principale cui detta statuizione accede è ammissibile, in quanto coerente con i principi di celerità e ragionevole durata che informano il giusto processo. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto che correttamente il giudice dell'omologa ex art. 445 bis c.p.c. avesse fatto automaticamente seguire alla correzione della data di decorrenza dell'assegno di invalidità in senso sfavorevole all'assistito quella sul "decisum" in tema di spese, le quali, poste a carico dell'Istituto previdenziale nel decreto di omologa, erano poi state, in sede di procedura di correzione, compensate). (Rigetta, TRIBUNALE NAPOLI NORD, 16/11/2018).

Cass. civ. n. 3569/2021

Se la data di deliberazione riportata in calce ad una sentenza collegiale è anteriore alla scadenza dei termini ex art. 190 c.p.c., ma la data di pubblicazione - che segna il momento in cui la decisione viene ad esistenza - è successiva a detta scadenza, si presume, in assenza di contrari elementi, che l'indicata data di deliberazione sia affetta da semplice errore materiale e che, pertanto, il processo deliberativo si sia correttamente svolto mediante l'esame degli scritti difensivi depositati, senza alcun pregiudizio del diritto di difesa delle parti. (Rigetta, CORTE D'APPELLO NAPOLI, 26/01/2018).

Cass. civ. n. 28309/2020

In tema di condanna alle spese processuali e con riferimento agli esborsi sostenuti dalle parti per consulenze, la mancata determinazione nella sentenza del compenso spettante al consulente tecnico d'ufficio integra un mero errore materiale per omissione, suscettibile di correzione da parte del giudice d'appello con riferimento all'importo della liquidazione effettuata in favore del consulente. (Rigetta, CORTE D'APPELLO CATANIA, 08/09/2016).

Cass. civ. n. 25541/2020

Nel caso in cui ad un provvedimento integralmente e ritualmente formato risulti, per un mero disguido materiale, affogliato di seguito alla sua ultima pagina la copia del dispositivo riferibile ad una diversa causa, in calce alla quale sia stata apposta l'attestazione della data del deposito, il vizio in cui la decisione può incorrere è dato dalla coesistenza di due dispositivi; ne consegue che, qualora, per la diversità dei nomi delle parti e dell'oggetto della controversia nell'ulteriore dispositivo riportati, emerga che quest'ultimo dispositivo non atteneva alla causa cui era riferibile la pronuncia, tale vizio non può assurgere a nullità di carattere sostanziale ed è emendabile con la procedura di correzione di cui agli artt. 287 e 288 c.p.c.. (In applicazione del principio, la S.C. ha confermato il decreto del tribunale, di rigetto dell'opposizione avverso la decisione di diniego della protezione internazionale, ritenendo che, nonostante la presenza di un doppio dispositivo nel decreto opposto, non fosse dubbia la riferibilità del primo dispositivo alla parte motiva, in quanto con questa coerente ed indicata specificatamente come lesiva dallo stesso ricorrente). (Rigetta, TRIBUNALE ROMA, 27/08/2019).

Cass. civ. n. 31033/2019

In caso di omessa pronuncia sull'istanza di distrazione delle spese il rimedio esperibile è costituito dal procedimento di correzione degli errori materiali ed il difensore è legittimato a proporre il relativo ricorso se nel corso del giudizio ne aveva formulato specifica richiesta, la quale deve ritenersi validamente proposta anche nel caso in cui manchi l'esplicita dichiarazione in ordine alla avvenuta anticipazione delle spese ed alla mancata riscossione degli onorari, atteso che quest'ultima può ritenersi implicitamente contenuta nella domanda di distrazione.

Cass. civ. n. 14253/2019

In relazione alla domanda - proposta nella fase di gravame - di restituzione delle somme versate in esecuzione della sentenza di primo grado impugnata, il giudice di appello opera quale giudice di primo grado, in quanto detta domanda non poteva essere formulata precedentemente; ne consegue che, se il giudice dell'impugnazione omette di pronunziarsi sul punto, la parte può alternativamente far valere l'omessa pronunzia con ricorso in cassazione o riproporre la domanda restitutoria in separato giudizio, senza che la mancata impugnazione della sentenza determini la formazione del giudicato.

Cass. civ. n. 4319/2019

Il procedimento di correzione degli errori materiali o di calcolo, previsto dagli artt. 287 e 288 c.p.c., è esperibile non solo per ovviare ad un difetto di corrispondenza tra l'ideazione del giudice e la sua materiale rappresentazione grafica, chiaramente rilevabile dal testo del provvedimento e, come tale, rilevabile "ictu oculi", ma anche in funzione integrativa, in ragione della necessità di introdurre nel provvedimento una statuizione obbligatoria consequenziale a contenuto predeterminato, ovvero una statuizione obbligatoria di carattere accessorio, anche se a contenuto discrezionale. Può inoltre farsi ricorso a tale procedimento quando il giudice, nel redigere la sentenza e in conseguenza di un mero errore di sostituzione del "file" informatico, abbia commesso uno scambio di provvedimenti nella fase di impaginazione, facendo seguire, ad un'epigrafe pertinente, uno "svolgimento del processo", dei "motivi della decisione" ed un dispositivo afferenti ad una diversa controversia decisa in data coeva nei confronti delle stesse parti: in tal caso, infatti, l'estensione della correzione non integra il deposito di una decisione affatto distinta, la quale verrebbe interamente sostituita a quella corretta.

Cass. civ. n. 2486/2019

L'errore di calcolo, emendabile ai sensi dell'art. 287 c.p.c., consiste in un'erronea utilizzazione delle regole matematiche sulla base di presupposti numerici, individuazione ed ordine delle operazioni da compiere esattamente determinati e non contestati. Pertanto, non vi rientra la dedotta erronea individuazione del termine di decorrenza dell'impugnazione che abbia condotto alla dichiarazione di inammissibilità di un gravame, poiché tale ipotesi è riconducibile ad un possibile "error in iudicando", non emendabile con il procedimento di correzione ex art. 391 bis c.p.c.. (Nella specie, la S.C. ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto da una parte che aveva richiesto la correzione dell'errore di calcolo asseritamente consistente nell'inesatta individuazione del "dies a quo" per la proposizione del ricorso in cassazione contro una ordinanza emessa ex art. 348 bis c.p.c.).

Cass. civ. n. 22275/2017

L'omessa o inesatta indicazione del nome di una delle parti nell'intestazione della sentenza va considerata un mero errore materiale, emendabile con la procedura di cui agli artt. 287 e 288 c.p.c., quando dal contesto della sentenza risulti con sufficiente chiarezza l'esatta identità di tutte le parti e comporta, viceversa, la nullità della sentenza qualora da essa si deduca che non si è regolarmente costituito il contraddittorio, ai sensi dell'art. 101 c.p.c., e quando sussiste una situazione di incertezza, non eliminabile a mezzo della lettura dell'intero provvedimento, in ordine ai soggetti cui la decisione si riferisce. (Nella specie, in riferimento a procedura promossa dal curatore del fallimento di società di persone, la S.C. ha stabilito che, sebbene la dichiarazione di fallimento avesse riguardato anche il socio in proprio, che non risultava però indicato nell’intestazione della sentenza, non sussisteva alcuna situazione di incertezza, né un’ipotesi di violazione del contraddittorio, perché parte sostanziale del giudizio risultava essere il fallimento, che era stato parte del contratto oggetto di controversia).

Cass. civ. n. 14222/2016

Il provvedimento che abbia natura di sentenza e sia impropriamente denominato "ordinanza" è affetto da errore materiale, ma non è nullo quale sentenza, attesi i principi di prevalenza della sostanza sulla forma e tassatività delle nullità.

Cass. civ. n. 4875/2015

La mancata indicazione, nella intestazione della sentenza, del nome dei magistrati componenti del collegio giudicante, che, secondo le risultanze del dispositivo letto in udienza coerente con il relativo verbale, abbiano pronunciato la decisione, ha natura di mero errore materiale, emendabile ai sensi degli artt. 287 e 288 cod. proc. civ., dovendosi, in difetto di elementi contrari, ritenere coincidenti i magistrati indicati nel predetto verbale con quelli che in concreto hanno partecipato alla deliberazione, atteso che la intestazione è priva di autonoma efficacia probatoria, in quanto meramente riproduttiva dei dati del verbale di udienza.

Cass. civ. n. 17221/2014

La sentenza che contenga una corretta statuizione sulle spese nella parte motiva, conforme al principio della soccombenza, ma non contenga poi alcuna liquidazione di esse nel dispositivo, non è emendabile con la procedura di correzione dell'errore materiale, in quanto, ai fini della concreta determinazione e quantificazione delle spese, si rende necessaria la pronuncia del giudice.

Cass. civ. n. 16959/2014

La procedura di correzione di errore materiale è esperibile per rimediare all'omessa liquidazione delle spese processuali nel dispositivo della sentenza, qualora l'omissione non evidenzi un contrasto tra motivazione e dispositivo, ma solo una dimenticanza dell'estensore.

Cass. civ. n. 18518/2013

La mancata liquidazione in favore dell'avvocato della parte vittoriosa delle somme dovute per spese generali costituisce un errore materiale della sentenza, che può essere corretto con il procedimento di cui agli artt. 287 e seguenti c.p.c., in quanto l'omissione riguarda una statuizione di natura accessoria e a contenuto normativamente obbligato, che richiede al giudice una mera operazione tecnico-esecutiva, da svolgersi sulla base di presupposti e parametri oggettivi.

Cass. civ. n. 8942/2013

La data di deliberazione della sentenza non è, a differenza di quella di sua pubblicazione (che ne segna il momento di acquisto della rilevanza giuridica), un elemento essenziale dell'atto processuale, sicché la relativa mancanza e/o la sua erronea indicazione non comportano alcuna nullità deducibile con l'impugnazione, costituendo, invece, fattispecie di mero errore materiale emendabile ex artt. 287 e 288 cod. proc. civ., ed altrettanto dicasi per l'ipotesi di diversità tra la prima di tali date, riportata in calce alla sentenza, e quella dell'udienza collegiale all'uopo fissata, tanto non essendo, di per sé solo, sufficiente a far ritenere, qualora quest'ultima sia successiva, che detto provvedimento sia stato deliberato prima di tale udienza, cioè a far ritenere superata la presunzione di rituale decisione della causa da parte del collegio.

Cass. civ. n. 19601/2011

Deve qualificarsi come errore materiale suscettibile di correzione, quello che non riguarda la sostanza del giudizio, ma la manifestazione del pensiero all'atto della formazione del provvedimento e si risolve in una fortuita divergenza fra il giudizio e la sua espressione letterale, cagionata da mera svista o disattenzione nella redazione della sentenza e come tale percepibile e rilevabile "ictu oculi". (In applicazione di tale principio, la S.C. ha ritenuto suscettibile di correzione il dispositivo di una sentenza, emessa quando il figlio era ormai maggiorenne, come accertato dal giudice del merito in motivazione, che conteneva l'imposizione di un assegno per il suo mantenimento "fino al raggiungimento della maggior età", statuizione che è stata modificata con riguardo al raggiungimento dell'indipendenza economica).

Cass. civ. n. 16037/2010

In caso di omessa pronuncia sull'istanza di distrazione delle spese proposta dal difensore, il rimedio esperibile, in assenza di un'espressa indicazione legislativa, è costituito dal procedimento di correzione degli errori materiali di cui agli artt. 287 e 288 c.p.c., e non dagli ordinari mezzi di impugnazione, non potendo la richiesta di distrazione qualificarsi come domanda autonoma. La procedura di correzione, oltre ad essere in linea con il disposto dell'art. 93, secondo comma, c.p.c. - che ad essa si richiama per il caso in cui la parte dimostri di aver soddisfatto il credito del difensore per onorari e spese - consente il migliore rispetto del principio costituzionale della ragionevole durata del processo, garantisce con maggiore rapidità lo scopo del difensore distrattario di ottenere un titolo esecutivo ed è un rimedio applicabile, ai sensi dell'art. 391 bis c.p.c., anche nei confronti delle pronunce della Corte di cassazione.

Cass. civ. n. 23198/2009

In tema di nullità della sentenza, l'interlineatura, nella parte dispositiva, del nome di uno dei componenti del collegio, astenutosi e sostituito da altro giudice, non comporta alcuna illegittimità della decisione (riconducibile ad una difettosa costituzione del collegio o a un contrasto tra dispositivo e motivazione) né può qualificarsi come errore materiale, posto che quest'ultimo si sostanzia in una mera svista che non incide sul contenuto concettuale della decisione, ma si concretizza in una divergenza fra l'ideazione e la sua materiale rappresentazione grafica.

Cass. civ. n. 19229/2009

La mancata liquidazione, nella sentenza, degli onorari di avvocato costituisce un errore materiale che può essere corretto con il procedimento di correzione di cui agli artt. 287 e seguenti c.p.c., in quanto l'omissione riscontrata riguarda una statuizione di natura accessoria e a contenuto normativamente obbligato, che richiede al giudice una mera operazione tecnico-esecutiva, da svolgersi sulla base di presupposti e parametri oggettivi. (Nella specie, il giudice aveva liquidato le spese e i diritti di procuratore, omettendo gli onorari, dopo aver affermato in motivazione che le spese dovevano seguire la soccombenza).

Cass. civ. n. 11333/2009

Vanno corretti con la procedura di cui agli artt. 287 e segg. c.p.c., e non sono denunciabili davanti alla Corte di cassazione, il cui compito istituzionale si esaurisce nel controllo di mera legittimità delle decisioni di merito: l'errore materiale, che non incide sul contenuto concettuale e sostanziale della decisione, ma si concreta in un difetto di corrispondenza tra la ideazione e la sua materiale rappresentazione grafica; l'errore di calcolo aritmetico, determinato da erronea applicazione delle regole matematiche ma sulla base di presupposti numerici non contestati ed esatti; gli errori di conteggio, atteso il loro carattere materiale.

Cass. civ. n. 11320/2009

Pur essendo la procedura di correzione degli errori materiali di cui agli artt. 287 e 288 c.p.c. applicabile, benché non richiamata, al processo di esecuzione, l'intervenuta correzione con ordinanza del giudice dell'esecuzione, in materia di espropriazione immobiliare, dell'errore materiale (rilevabile "ictu oculi") relativo al prezzo riportato nella precedente ordinanza di aggiudicazione provvisoria non comporta la riapertura del termine utile per la proposizione di una nuova offerta di aumento ai sensi dell'art. 584 c.p.c., non essendo configurabile nel nostro ordinamento, in mancanza di un'esplicita norma al riguardo, la facoltà, per il giudice, di disporre la riapertura del termine in questione, avente natura perentoria.

Cass. civ. n. 4391/2009

Nel caso in cui ad una sentenza integralmente e ritualmente formata e depositata in cancelleria risulti, per un mero disguido materiale, affogliata di seguito alla sua ultima pagina la copia del dispositivo riferibile ad una diversa causa, in calce alla quale sia stata apposta l'attestazione della data del deposito, il vizio in cui la pronuncia può incorrere è dato dalla coesistenza di due dispositivi; ne consegue che, qualora, per la diversità dei nomi delle parti e dell'oggetto della controversia nell'ulteriore dispositivo riportati, emerga che quest'ultimo dispositivo non atteneva alla causa cui era riferibile la sentenza, tele vizio non può assurgere a nullità di carattere sostanziale ed è emendabile con la procedura di correzione di cui agli artt. 287 e 288 c.p.c..

Cass. civ. n. 17320/2004

La sentenza con la quale il giudice di merito, dopo aver nominato un consulente tecnico d'ufficio per la determinazione di spettanze retributive a seguito di sentenza non definitiva sull'an condivida le conclusioni del consulente tecnico d'ufficio senza rilevare che il medesimo aveva effettuato le operazioni contabili incorrendo in errori, e, tra l'altro, non considerando il periodo di riferimento indicato nella sentenza non definitiva, è affetta da vizio di motivazione e non da errore materiale o di calcolo, ed è pertanto ricorribile in cassazione.

Cass. civ. n. 10376/2004

L'errore materiale contenuto nella sentenza impugnata con il ricorso per cassazione, pur non essendo suscettibile di correzione da parte della Cassazione, può essere rilevato ed accertato dalla Corte medesima al limitato fine di escludere la ricorrenza di un errore di giudizio o di attività, devoluto al suo sindacato.

Cass. civ. n. 5424/2004

Mentre è suscettibile di correzione secondo il procedimento di cui all'art. 287 c.p.c. l'erronea indicazione del giudice contenuta, in difformità delle risultanze del verbale di udienza, – nell'intestazione della sentenza, purché la stessa risulti correttamente sottoscritta dal Presidente e dal relatore (o dal solo Presidente relatore), è affetta da nullità assoluta la sentenza che, riservata in decisione dal Collegio (al quale è devoluta la cognizione dell'appello avverso le sentenze del Pretore), risulti emessa e sottoscritta soltanto dal giudice relatore in funzione di giudice monocratico.

Cass. civ. n. 13006/2003

Il procedimento di correzione di errori materiali disciplinato dagli artt. 287 ss. c.p.c. è funzionale alla eliminazione di errori di redazione del documento cartaceo qualora palesemente emerga l'incongruenza della materiale esteriorizzazione del pensiero rispetto al concetto ad esso sotteso, concretandosi, alfine, in un difetto di corrispondenza tra l'ideazione e la sua materiale rappresentazione grafica, ipotesi diversa da quella in cui si deduca, viceversa, che il giudice ha omesso di pronunziare su una domanda, giacché in tale caso si censura non già la mera manifestazione della volontà del giudicante bensì la sua stessa volontà, quale asseritamente contraria a principi giuridici o logici.

Cass. civ. n. 11972/2003

L'inesatta indicazione del nome di una parte nell'epigrafe della sentenza rientra nella nozione di errore materiale emendabile ai sensi dell'art. 287 c.p.c. tutte le volte in cui tale inesattezza non implichi un'incertezza sulla sua identificazione sostanziale e sulle conseguenti posizioni processuali.

Cass. civ. n. 7748/2003

La procedura di correzione di errore materiale, di cui agli artt. 287 e ss. c.p.c., può essere adottata, ricorrendone i presupposti, anche nei confronti del dispositivo di sentenza pronunciata con il rito del lavoro, atteso che la possibilità di procedere ad esecuzione forzata con la sola copia del dispositivo, ex art. 431, secondo comma, c.p.c., evidenzia l'interesse della parte ad ottenere la correzione dell'errore ancor prima del deposito della sentenza.

Cass. civ. n. 7706/2003

La regola della non assoggettabilità della fattispecie di contrasto fra dispositivo letto in udienza e motivazione della sentenza ad una interpretazione correttiva o alla correzione ex art. 287 c.p.c. non è regola di portata assoluta e generale, subendo una doverosa deroga – anche nel processo del lavoro – ogni qual volta le parti possano riscontrare agevolmente che si sia in presenza di un errore materiale dalla mera lettura del dispositivo, avendo riguardo all'intero suo contenuto e ponendolo in relazione agli atti processuali a conoscenza delle parti stesse.

Cass. civ. n. 11712/2002

L'errore di calcolo del giudice del merito può essere denunciato solo con ricorso per cassazione quando sia riconducibile all'impostazione dell'ordine delle operazioni matematiche necessarie per ottenere un certo risultato, perché in tali ipotesi si lamenta un vero e proprio error in iudicando nella individuazione dei parametri e dei criteri di conteggio sulla cui base sono stati effettuati i calcoli. Qualora, invece, esso consista in un'erronea utilizzazione delle regole matematiche sulla base di presupposti numerici esattamente determinati ed esatta individuazione ed ordine delle operazioni da compiere, è emendabile con l'apposita procedura di correzione regolata dagli artt. 287 ss. c.c. (nella specie, il vizio lamentato era riconducibile ad un'erronea impostazione dell'ordine e del tipo delle operazioni matematiche necessarie per ottenere il risultato finale della devalutazione a ritroso di una somma dal 1994 al 1987: per calcolare, cioè, il valore reale in quest'ultimo anno di una somma di denaro che aveva un determinato valore nominale nel 1994).

Cass. civ. n. 7274/1999

L'omessa liquidazione delle spese processuali non integra una omissione emendabile con la procedura di correzione degli errori materiali, perché la sentenza non è affetta da mera mancanza di documentazione della volontà del giudice, comunque implicitamente desumibile, ma è affetta dalla mancanza di un giudizio sull'attività difensiva svolta dalla parte vittoriosa, con la conseguenza che la relativa omissione, può essere emendata soltanto a seguito di gravame.

Cass. civ. n. 5966/1999

In sede di legittimità non può procedersi alla correzione di errori materiali o di calcolo, contenuti nella sentenza del giudice di merito, dovendo alla stessa provvedere il giudice a quo a norma degli artt. 287 ss. c.p.c.

Cass. civ. n. 5888/1999

Qualora il giudice di primo grado abbia emesso una sentenza contenente un errore materiale in ordine all'identificazione di una delle parti e dopo oltre un anno dalla pubblicazione della sentenza e la proposizione dell'appello lo stesso giudice abbia provveduto alla correzione del suddetto errore, ai fini del giudizio di appello la sentenza – in assenza di specifica impugnazione relativamente alla parte corretta – si considera formalmente emessa ex tunc nei confronti della parte effettiva.

Cass. civ. n. 4754/1999

Nell'ipotesi di insanabile contrasto tra motivazione e dispositivo, non è consentito individuare la statuizione del giudice attraverso una valutazione di prevalenza di una delle contrastanti affermazioni contenute nella sentenza, né è data la possibilità del ricorso all'interpretazione complessiva della decisione – che presuppone una sostanziale coerenza delle diverse parti delle proposizioni della medesima – e neppure di utilizzare il procedimento di correzione di cui agli artt. 287 e 288 c.p.c., ma si configura la nullità di tale provvedimento (artt. 156 e 360 n. 4 c.p.c.) per la sua inidoneità a consentire l'individuazione del concreto comando giudiziale.

Cass. civ. n. 118/1999

La sentenza, nella cui intestazione risulti il nominativo di un magistrato, non tenuto alla sottoscrizione, diverso da quello indicato nel verbale dell'udienza collegiale di discussione, non è nulla ma deve presumersi affetta da errore materiale, come tale emendabile con la procedura di correzione di cui agli artt. 287 - 288 c.p.c., considerato che detta intestazione è priva di autonoma efficacia probatoria, esaurendosi nella riproduzione dei dati del verbale d'udienza, e che, in difetto di elementi contrari, si devono ritenere coincidenti i magistrati indicati in tale verbale come componenti del collegio giudicante con quelli che in concreto hanno partecipato alla deliberazione della sentenza medesima.

Cass. civ. n. 10864/1998

Qualora il giudice di merito nel pronunciare condanna della parte soccombente al pagamento delle spese e degli onorari ometta di provvedere sulla domanda di distrazione proposta dal difensore con procura, non si verte in una ipotesi di errore materiale, ma di omessa pronuncia denunciabile in Cassazione direttamente e personalmente dal difensore interessato.

Cass. civ. n. 5977/1998

Il procedimento per la correzione degli errori materiali disciplinato dagli artt. 287 e seguenti c.p.c. è esperibile per ovviare non ad errori che intervengano nella formazione del giudizio, bensì ad errori che intervengano nel momento della redazione del documento e che risultino immediatamente dalla mera lettura di questo, palesemente emergendo l'incongruenza della materiale esteriorizzazione rispetto al concetto in esso contenuto.

Cass. civ. n. 13122/1997

È illegittima la correzione per errore di calcolo (art. 287 c.p.c.), attraverso la quale, riesaminando la questione, proceda ad una nuova liquidazione della somma riconosciuta, attraverso una diversa interpretazione del criterio di conteggio.

Cass. civ. n. 7748/1995

La procedura di correzione degli errori materiali, prevista dagli artt. 287 e 288 c.p.c., è applicabile anche alla sentenza dichiarativa di fallimento, atteso che le ragioni di economia processuale che hanno indotto il legislatore a prevedere, per l'eliminazione di errori che non incidono nella sostanza del giudizio, una procedura semplificata rispetto a quella delle impugnazioni, sono, nel caso della detta sentenza, ancora più stringenti, tenuto conto delle speciali ragioni d'urgenza e di tempestività cui è informata la disciplina della procedura fallimentare.

Cass. civ. n. 6768/1994

Il procedimento per la correzione degli errori materiali di cui agli artt. 287 e seguenti c.p.c. è esperibile per ovviare ai vizi meramente formali derivanti da una divergenza evidente e facilmente rettificabile tra l'ideazione o l'intendimento del giudice e la sua materiale esteriorizzazione, non incidente sul contenuto sostanziale della decisione. Non è emendabile, pertanto, con il procedimento in esame l'omessa specificazione nella motivazione e nel dispositivo di una sentenza di condanna al pagamento di una somma di denaro del tipo e categoria di indice Istat da assumere in concreto a parametro della disposta rivalutazione della somma capitale, implicando simile individuazione una integrazione del contenuto della decisione, attraverso l'esercizio di poteri cognitivi e di valutazione.

Cass. civ. n. 5094/1994

Il procedimento di correzione degli errori materiali previsto dall'art. 287 c.p.c., è applicabile anche all'ordinanza provvisoria di rilascio emessa dal pretore, ai sensi dell'art. 665 c.p.c., restando impugnabile con l'opposizione all'esecuzione il provvedimento reso a seguito dell'istanza di correzione.

Cass. civ. n. 3227/1993

Qualora il giudice di appello, nel pronunciare la condanna della parte soccombente al pagamento delle spese e degli onorari, ometta di provvedere sulla domanda di distrazione proposta dal difensore con procura della parte vittoriosa, non si ha un errore materiale correggibile con la speciale procedura di cui all'art. 287 c.p.c., ma un vizio di omessa pronuncia denunciabile in Cassazione direttamente e personalmente dal difensore interessato.

Cass. civ. n. 4211/1985

L'errore di calcolo del giudice del merito, che non sia riconducibile all'impostazione dell'ordine delle operazioni matematiche necessarie per ottenere un certo risultato, ma sia meramente materiale, e consista cioè in un'erronea utilizzazione delle regole matematiche sulla base di presupposti numerici esattamente determinati, non è denunciabile con ricorso per cassazione, potendo essere fatto valere solo con l'apposita procedura di correzione contemplata dagli artt. 287 e seguenti, c.p.c.

Cass. civ. n. 6658/1984

La correzione di un errore materiale della sentenza di primo grado, dopo la proposizione del gravame, spetta al giudice di secondo grado, e deve precedere l'esame dell'impugnazione. L'esercizio del relativo potere, peraltro, postula l'istanza di una delle parti, la quale, se proveniente dall'appellato, può anche essere formulata in sede di costituzione.

Cass. civ. n. 5405/1982

Il giudice d'appello può provvedere alla correzione degli errori materiali presenti nella sentenza impugnata su istanza della parte interessata, senza che occorra all'uopo la proposizione di appello incidentale.

Cass. civ. n. 2701/1979

Il giudice dell'impugnazione non può provvedere d'ufficio alla correzione degli errori materiali esistenti nella sentenza di primo grado — gravata di appello — in quanto il procedimento di correzione al pari di ogni altro procedimento, richiede un'istanza del soggetto interessato, la quale, però, non essendo diretta a una vera e propria riforma della sentenza, non deve necessariamente formare oggetto di uno specifico motivo di gravame, anche incidentale, ma può essere proposta al giudice investito dell'impugnazione senza alcun onere di forma.

Cass. civ. n. 1654/1979

Dopo l'esaurimento del giudizio di appello, il potere di correggere l'errore materiale o di integrare, nelle ipotesi previste dall'art. 287 c.p.c., la sentenza di primo grado spetta al giudice che l'ha pronunziata, ove l'omissione o l'errore non sia stato denunziato dalle parti, e la sentenza di appello si sia limitata a confermare la decisione impugnata (nella specie, il giudice di appello aveva confermato la sentenza con cui si era dichiarata la risoluzione del contratto di affitto senza disporsi il rilascio del fondo).

Cass. civ. n. 374/1979

La domanda di correzione dell'errore materiale, non essendo diretta alla riforma della sentenza, non deve necessariamente formare oggetto di uno specifico motivo di gravame, o di appello incidentale, ma può essere proposta al giudice d'appello senz'obbligo di forme. (Nella specie, la corte ha ritenuto valida l'istanza proposta al giudice istruttore in sede di precisazione delle conclusioni per il collegio).

Cass. civ. n. 595/1967

Quando l'omissione in cui sia incorso il giudice riveli un vizio di ragionamento emendabile soltanto mediante una ulteriore indagine, non ricorre l'ipotesi dell'errore previsto dall'art. 287 del codice di procedura civile, il quale è configurabile soltanto nel caso di mera svista che non incida sul contenuto sostanziale della decisione e non attenga comunque ad un vizio del ragionamento, ma concreti piuttosto un difetto di corrispondenza tra ideazione e sua materiale rappresentazione grafica, rilevabile dallo stesso contenuto della pronuncia e tale, di conseguenza, da non esigere una ulteriore indagine di fatto.

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Consulenze legali
relative all'articolo 287 Codice di procedura civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

L. P. A. chiede
lunedì 17/10/2022 - Lombardia
“Buongiorno, in esito a una sentenza divisionale ereditaria, il giudice in parte ci aggiudica dei beni inesistenti, per un suo errore ( dato che più volte durante la causa abbiamo chiaramente dimostrato che non esistono più e chiesto conguaglio in denaro- parlo di un conto corrente chiuso e di un conto corrente da cui abbiamo fornito già prove che la metà del denaro è stata tolta da controparte). Cosa si può fare per correggere SOLO questo errore? Premetto che siamo già seguiti da avvocati, ma dato che voi siete conosciuti per le vostre consulenze, spero di poter aver una risposta al mio quesito: “ cosa fare in caso di aggiudicazione di beni inesistenti?” Grazie”
Consulenza legale i 23/10/2022
La soluzione del problema che si pone non può che essere ricercata nelle norme dettate dal codice di procedura civile.
Sebbene nel quesito si faccia riferimento ad una “errore”, in realtà per l’ordinamento processual civilistico i casi di errore, che possono legittimare una richiesta di correzione della parte che ne ha interesse, sono specificatamente previsti dall’art. 287 c.p.c. e vengono individuati in omissioni, errori materiali ed errori di calcolo.
Sia il procedimento che il provvedimento disciplinato dagli artt. 287 e ss c.p.c. hanno natura amministrativa, con la funzione di ripristinare la corrispondenza tra quanto la sentenza ha inteso dichiarare e quanto ha formalmente dichiarato.

Due sono le tipologie di provvedimenti assoggettabili a questa procedura:
a) le sentenze inappellabili, le sentenze appellabili, ancorché non ancora appellate e, infine, quelle non più appellabili in quanto passate in giudicato.
b) le ordinanze irrevocabili, quelle, cioè, dichiarate tali dalla legge (ad esempio, ex art. 177 del c.p.c., 3° co.) e quelle in relazione alle quali risultino esauriti i rimedi esperibili.

Per quanto concerne ciò che può costituire oggetto di correzione, la norma fa riferimento a:
1. omissione: si considera tale una dimenticanza da parte del giudice di un elemento formale necessario per legge, come la mancata indicazione, nella sentenza, del nome di una parte (se dal contesto della sentenza risulti chiaramente l'identità).
2. errore materiale: è tale quello dovuto ad una svista o dimenticanza del giudice, che ad esempio indichi erroneamente la data di deliberazione della sentenza.
3. errore di calcolo: non è altro che una scorretta applicazione di regole matematiche o aritmetiche.

E’ poi importante precisare che la decisione sulla correzione non costituisce mai una decisione sostitutiva di quella già contenuta nella sentenza.

Ora, da quanto appena detto se ne deve per forza di cose dedurre che il vizio della sentenza lamentato nel caso di specie non può in alcun modo qualificarsi come mero errore e come tale farsi rientrare in alcuna delle ipotesi di correzione previste dal sopra citato art. 287 c.p.c.
Piuttosto, può costituire una valida ragione per proporre appello avverso la sentenza di primo grado, chiedendo la modifica di quella sentenza nella parte in cui include nelle quote assegnate ad uno o più dei coeredi condividenti beni non esistenti nell’asse ereditario (diminuendo, dunque, il reale valore economico della quota).
Non dovrebbe corrersi alcun rischio di incorrere nel divieto di domande ed eccezioni nuove di cui all’art. 345 c.p.c., se è vero, come si precisa nel quesito, che l’inesistenza di alcuni dei beni assegnati era già stata dedotta e dimostrata nel corso del giudizio di primo grado.

Neppure è possibile fare ricorso al rimedio della impugnazione per revocazione disciplinato dall’art. 395 c.p.c., risultando astrattamente ammissibile far rientrare il vizio della sentenza lamentato nell’ipotesi prevista al n. 4 di detta norma (sentenza effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa).
Dispone, infatti, il primo comma del suddetto art. 395 c.p.c. che possono formare oggetto di revocazione soltanto le sentenze pronunciate in grado di appello o in unico grado, mentre il successivo art. 396 c.p.c. estende il medesimo rimedio alle sentenze per le quali è scaduto il termine per l’appello, ma limitatamente ai casi di cui ai nn. 1,2,3 e 6 dell’art. 395 c.p.c. (con esclusione, dunque, dell’ipotesi che qui interessa, ossia il n. 4).
In questo caso, invece, sembra di capire che si è di fronte ad una sentenza di primo grado, in ordine alla quale non viene precisato se è scaduto o meno il termine per proporre appello.

Infine, e per concludere, andrebbe valutata la possibilità di esperire l’azione di rescissione per lesione di cui all’art. 763 c.c., alla quale è possibile fare ricorso anche in caso di divisione giudiziale, ma a due condizioni:
1. occorre una lesione oggettiva ultra quartum, ovvero il condividente che la esercita deve aver ottenuto, proporzionalmente a quanto ricevuto dagli altri condividenti, beni di valore inferiore almeno di un quarto rispetto al valore della propria quota;
2. è applicabile alla divisione giudiziale soltanto se il provvedimento del giudice segua ad un accordo tra i condividenti.
In mancanza anche di uno solo di questi presupposti, non sarà possibile neppure avvalersi di questo rimedio

ALFREDO C. chiede
mercoledì 08/02/2017 - Lazio
“A seguito di una notifica di una cartella di Equitalia abbiamo impugnato il documento sia nel merito che in diritto.
Non abbiamo richiesto la Pubblica Udienza. È uscita la sentenza dandoci torto ma crediamo che la stessa si riferisca ad altri soggetti in quanto dalla lettura si evincono fatti non riferibili a noi. Inoltre, visionando il fascicolo di udienza non ci sono controdeduzioni nè di Equitalia nè dell'Agenzia delle Entrate.
Stiamo predisponendo l'Appello: cosa possono fare Equitalia e l'Agenzia se in prima istanza non si sono costituiti?
Poi come possiamo agire per fatti non riferibili a noi nella sentenza?
Grazie e cordiali saluti.

Consulenza legale i 11/02/2017
Ai sensi dell’art. 2909 c.c. (che si riferisce alla sentenza c.d. passata in giudicato, vale a dire non più impugnabile con i mezzi ordinari), la sentenza dispiega i suoi effetti nei confronti delle parti. Nel caso di specie, parrebbe che la sentenza sia affetta da vizio in quanto non si riferisce a fatti di causa, ma a fatti diversi. In questi casi, è possibile far valere tali motivi in sede di appello, chiedendo la revisione della statuizione di primo grado.
In ogni caso, laddove tale riferimento ad altri fatti possa essere considerato un mero errore materiale, vale a dire una mera svista che non inficia l’iter logico-giuridico seguito dal Giudice, è ben possibile procedere con le forme di correzione. Infatti, tanto l’art. 287 c.p.c. quanto l’art. 86 del codice del processo amministrativo prevedono la correzione degli errori materiali. Per il giudizio ordinario (art. 287 c.p.c.), si prevede testualmente che “Le sentenze contro le quali non sia stato proposto appello … possono essere corrette, su ricorso di parte, dallo stesso giudice che le ha pronunciate, qualora egli sia incorso in omissioni o in errori materiali o di calcolo”. (Una precisione: la Corte Costituzionale – sent. n. 335 del 10/11/2004 – ha esteso la possibilità di correzione anche alle sentenze sottoposte ad appello, con la specificazione che “il procedimento di correzione non può essere utilizzato per emendare vizi che costituiscano motivi di impugnazione”).
Lo stesso dicasi per il processo amministrativo e tributario, per cui l’art. 86 del codice del processo amministrativo afferma testualmente che “ove occorra correggere omissioni o errori materiali, la domanda per la correzione deve essere proposta al giudice che ha emesso il provvedimento, il quale, se vi è il consenso delle parti, dispone con decreto, in camera di consiglio, la correzione. In caso di dissenso delle parti, sulla domanda di correzione pronuncia il collegio con ordinanza in camera di consiglio. La correzione si effettua a margine o in calce al provvedimento originale, con indicazione del decreto o dell'ordinanza che l'ha disposta”. In altre parole, sarebbe sufficiente una semplice istanza al Giudice che ha pronunciato la sentenza (ed autore della “svista”) al fine di correggere tale errore.

Se invece (come pare essere il caso di specie) non si trattasse di una semplice svista, ma di un errore nella ricostruzione (ed attribuzione) dei fatti oggetto di causa, è bene proporre appello.

Non è chiaro se in primo grado sia stata dichiarata la contumacia di Equitalia (si parla di mancata costituzione, senza nulla specificare). Evidentemente, se si è giunti alla sentenza non vi sono stati problemi di notificazione del ricorso e – forse – ne è stata dichiarata la contumacia.
In ogni caso, nulla quaestio: l’appello è comunque proponibile e da notificarsi, esattamente come il ricorso di primo grado. Spetterà poi a Equitalia (o all’Agenzia delle Entrate) valutare una costituzione in appello oppure continuare la contumacia.
Naturalmente, per il caso di costituzione in appello, la controparte incontrerà determinate preclusioni: non potrà – ad esempio – sollevare eccezioni non rilevabili dal giudice, né richiedere prove nuove che non siano state richieste in primo grado. Infatti, non avendo svolto difese durante il primo giudizio, tutto ciò che l’ex contumace potrà fare in appello è contestare la non corretta interpretazione dei fatti da parte del giudice di primo grado.

William chiede
mercoledì 06/11/2013 - Veneto
“Dopo una prima istanza di correzione di errori materiali, essendomi accorto che la richiesta del legale comprende solo i denari riferiti al Decreto Ingiuntivo, tralasciando le somme versate in primo grado di giudizio è ripetibile la richiesta di correzione dell’errore materiale? Cosa posso fare in alternativa?
Per chiarezza, evidenzio che il giudice riporta nelle motivazioni: "Stante l’accertato inadempimento del geom ………, va revocato il decreto ingiuntivo emesso a suo favore e disposta, la restituzione delle somme percepite". Mentre nel dispositivo non riporta questo.
Il legale chiede invece: "Per gli stessi motivi, ossia in quanto, pur affermando la sentenza in motivazione, che a seguito della responsabilità accertata del Geom ……., doveva essere revocato il decreto ingiuntivo emesso a suo beneficio, e disposta la restituzione al Sig R.......... di quanto già pagato per effetto di esso, tali espressioni non sono state poi riportate nel dispositivo, e va quindi corretta la sentenza della Corte d’Appello nella parte in cui, nel dispositivo, si limita a disporre la revoca del decreto ingiuntivo e non anche la condanna del Geom ……. alla restituzione di quanto fino ad ora pagato dal Sig R....... per effetto del provvedimento monitorio”.
Concludendo le somme percepite sono tutte non solo quelle del D.I. quindi anche quelle date inerente la sentenza. Ma ciò non viene chiesto espressamente dal legale.”
Consulenza legale i 12/11/2013
Premesso che non è possibile in questa sede discutere sul significato di espressioni utilizzate all'interno di atti giudiziali, estrapolate dal loro contesto, sulla questione processuale relativa al procedimento di correzione delle sentenze si rileva quanto segue.
Ai sensi dell'art. 287 del c.p.c. le sentenze che, in generale, non possano più essere revocate, possono essere corrette, su ricorso di parte, dallo stesso giudice che le ha pronunciate: ciò quando egli sia incorso in omissioni o in errori materiali o di calcolo.
Supponiamo che la sentenza contenga due errori, ma che con l'istanza di correzione si chieda che venga regolarizzato solo il primo dei due. Come si può far rilevare anche il secondo errore?
L'art. 288 del c.p.c. disciplina il procedimento di correzione e dice che, una volta presentato il ricorso, il giudice adito fissa con decreto (da notificarsi insieme col ricorso alla controparte) l'udienza nella quale le parti debbono comparire davanti a lui.
L'ordinanza con cui si pronuncia il giudice all'esito del procedimento è un provvedimento amministrativo, che ha la funzione di ripristinare la corrispondenza tra quanto la sentenza ha inteso dichiarare e quanto formalmente ha dichiarato: pertanto, con l'istanza di correzione non si dà vita ad un giudizio di cognizione ordinaria, bensì ad un procedimento che si sviluppa (di regola) in una sola udienza.
Il codice non prevede termini di decadenza per la presentazione dell'istanza, salvo naturalmente il termine decennale di prescrizione dell'azione che può essere esperita in base alla sentenza (ad esempio, azione di restituzione delle somme già pagate).
Pertanto, è verosimile ritenere che, attesa l'inesistenza di termini di decadenza per la proposizione dell'istanza, sia possibile integrare la domanda già formulata nel ricorso in occasione dell'udienza fissata dal giudice per il contraddittorio sulla richiesta di correzione.
Nel caso di specie, peraltro, sembra che l'ulteriore profilo di errore individuato sia comunque ricollegato all'errore per cui si procede, ovvero il mancato inserimento nel dispositivo della condanna alla restituzione delle somme indebitamente percepite dal soccombente. Quindi, si reputa ammissibile che all'udienza il ricorrente precisi la propria istanza facendovi rientrare tutti i profili di errore rilevabili.

Venerando C. chiede
mercoledì 02/03/2011 - Puglia

“Nell'accogliere con sentenza un ricorso a cartella esattoriale, il Giudice Di Pace ha sbagliato nell'indicare il numero della cartella. Si puo' fare istanza di correzione anche se siamo ancora nei termini per l'appello?
Ringrazio e saluto.”

Consulenza legale i 02/03/2011

In pendenza del termine per l'impugnativa, l'errore materiale in cui si assume essere incorso il giudice di primo grado, che sia emendabile con la procedura di correzione di cui all'art. 287 del c.p.c. e all'art. 288 del c.p.c. deve essere denunciato come motivo di appello, atteso che il riesame effettuato in questa sede assorbe anche quello volto alla correzione.


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