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Articolo 306 Codice di procedura civile

(R.D. 28 ottobre 1940, n. 1443)

[Aggiornato al 28/12/2023]

Rinuncia agli atti del giudizio

Dispositivo dell'art. 306 Codice di procedura civile

Il processo si estingue per rinuncia agli atti del giudizio quando questa è accettata dalle parti costituite [165, 166 c.p.c.] che potrebbero aver interesse alla prosecuzione (1). L'accettazione non è efficace se contiene riserve o condizioni.

Le dichiarazioni di rinuncia e di accettazione sono fatte dalle parti o da loro procuratori speciali [84 c.p.c.], verbalmente all'udienza o con atti sottoscritti e notificati alle altre parti (2).

Il giudice, se la rinuncia e l'accettazione sono regolari, dichiara l'estinzione del processo (3).

Il rinunciante deve rimborsare le spese alle altre parti, salvo diverso accordo tra loro. La liquidazione delle spese è fatta dal giudice istruttore con ordinanza non impugnabile [177 c.p.c.].

Note

(1) La rinunzia agli atti del giudizio comporta l'estinzione del processo se è accettata da tutte le parti interessate alla sua prosecuzione in quanto l'accoglimento delle loro richieste potrebbe procurare loro un'utilità maggiore da quella che riceverebbero dalla semplice chiusura del processo.
Si ritiene che non siano interessate al giudizio: le parti contumaci; le parti costituite che si siano difese in modo tale da dimostrare di non desiderare una pronuncia nel merito (ad esempio, perché hanno sollevato solo eccezioni processuali).
(2) La rinuncia agli atti va effettuata dalla parte attrice personalmente o tramite procuratore speciale: anche il sostituto processuale può rinunciare al giudizio.
In caso di litisconsorzio necessario, i litisconsorti devono rinunciare tutti, altrimenti l'atto compiuto da un singolo soggetto risulterà irrilevante; in ipotesi di litisconsorzio facoltativo, il processo proseguirà per coloro che non hanno rinunciato, mentre saranno estromessi i soggetti che hanno effettuato la rinuncia.
(3) Il giudice dichiara l'estinzione del giudizio con ordinanza: si pronuncia con sentenza se sorgono contestazioni sulla validità della rinuncia o dell'accettazione.

Ratio Legis

La norma in esame è espressione del principio della libera disponibilità per le parti della tutela giurisdizionale. I soggetti, infatti, possono scegliere se adire o meno l'autorità giudiziaria per la tutela dei propri diritti, e allo stesso modo possono poi decidere di rinunciare ad esso (fanno eccezione i casi in cui sussista un'interesse superindividuale alla prosecuzione del processo, che sono tutelati attraverso l'iniziativa del pubblico ministero).

Brocardi

Re adhuc integra

Spiegazione dell'art. 306 Codice di procedura civile

La disciplina contenuta in questa norma si estende a tutti i gradi di giudizio.
La rinuncia agli atti costituisce un atto di abdicazione al diritto di ottenere una decisione di merito al termine del processo, ed in seguito al suo esercizio il giudice viene privato del potere di emanare la decisione.

I suoi effetti si producono esclusivamente in relazione allo specifico procedimento per il quale viene posta in essere, mentre nessuna conseguenza è in grado di produrre né sull'azione né sul diritto sostanziale (l’art. 310 del c.p.c., infatti, ammette la riproponibilità della causa estinta).

Sotto il profilo formale, consiste in una dichiarazione con la quale l’attore esprime la propria volontà di non voler proseguire il processo, ossia di non volere che il processo giunga ad una decisione di merito sulla domanda introdotta.

Dal punto di vista della sua natura giuridica, si sono sviluppate le seguenti teorie:
  1. teoria del negozio giuridico unilaterale;
  2. teoria del negozio bilaterale a contenuto processuale (o come accordo processuale);
  3. teoria del mero atto giuridico processuale: i suoi effetti si fanno discendere direttamente dalla legge, indipendentemente dalla volontà delle parti.

La legittimazione attiva alla rinuncia compete a chi ha proposto l'azione, e dunque, all'attore ed al convenuto in caso di domanda riconvenzionale.
Essa può essere posta in essere dalla parte personalmente o dal suo rappresentante generale o dal procuratore munito di procura speciale (non rientra, invece, negli ordinari poteri che il mandato conferisce al difensore).

Nel caso in cui ricorra un’ipotesi di litisconsorzio necessario attivo, la rinuncia, per essere efficace, deve provenire da tutti i litisconsorti; al contrario, in caso di litisconsorzio facoltativo, la rinuncia di alcune soltanto delle parti determina l'estinzione parziale (per l’estinzione integrale occorrerebbe la conforme volontà di tutti i litisconsorti).

La fattispecie estintiva si perfeziona soltanto se le parti costituite interessate alla prosecuzione manifestino la loro volontà di accettazione.
Così come per la rinuncia, anche l’accettazione deve essere espressa e provenire dalla parte personalmente o dal procuratore speciale; anche per essa, inoltre, in caso di litisconsorzio necessario, la rinuncia, per poter avere effetti estintivi, deve essere accettata da tutti i convenuti litisconsorti necessari, non essendo ammissibile un'estinzione parziale.
Non è invece richiesto il consenso del convenuto contumace, al quale non deve essere notificata la dichiarazione, essendo sufficiente il suo deposito in cancelleria.

L'interesse alla prosecuzione del giudizio deve essere valutato in concreto, esaminando l'atteggiamento processuale della parte; ciò comporta che l'accettazione del convenuto va richiesta quando la sua condotta processuale sia volta ad ottenere un provvedimento finale con effetti più favorevoli di quelli discendenti dall'estinzione del processo.

Sia la rinuncia che l'accettazione della controparte devono essere rese espressamente, per mezzo di una dichiarazione orale in udienza (che va inserita nel processo verbale e sottoscritta da parte del dichiarante ex art. 126 del c.p.c. comma secondo) o in atti sottoscritti e notificati alle altre parti.
La notificazione a cui fa riferimento il secondo comma può anche essere sostituita dall'accettazione apposta dalle parti alla dichiarazione.

Sotto il profilo contenutistico, non si richiede il rispetto di un particolare contenuto, purché sia inequivocabilmente manifestato l'intento della parte (si ritiene che non sia tale il semplice contegno di disinteresse della controparte alla continuazione del giudizio).
Inoltre, le dichiarazioni di rinuncia, così come le dichiarazioni di accettazione, non ammettono l'apposizione di riserve o condizioni, pena la loro inefficacia.

Per la forma del provvedimento dichiarativo dell'estinzione occorre riferirsi all’art. 308 del c.p.c., mentre per gli effetti all’art. 310 del c.p.c..
Se il provvedimento viene pronunciato con ordinanza, ai sensi del primo comma dell’art. 308 c.p.c., potrà essere impugnato con il reclamo, secondo quanto previsto dalla stessa disposizione; se, invece, viene adottato in forma di sentenza, pronunciata dal collegio o dal giudice monocratico, si dovrà fare ricorso ai normali mezzi di impugnazione.

Le spese del processo estinto per rinuncia sono poste a carico della parte rinunciante, salva la possibilità per le parti di accordarsi diversamente.
Lo stesso quarto comma della norma in esame dichiara espressamente non impugnabile il provvedimento di liquidazione delle spese; pertanto, la parte che intenda dolersene può solo proporre ricorso straordinario per Cassazione ex art. 111 Cost., comma settimo.
Il giudice dovrà pronunciarsi con sentenza tutte le volte in cui sorgano contestazioni circa l'effettivo perfezionamento dell'estinzione.
Figure affini alla rinuncia agli atti, dalle quali la stessa deve essere distinta, sono:

a) la rinuncia all'azione o al diritto sostanziale. Al contrario della rinuncia agli atti processuali, sono atti negoziali con portata sostanziale perché capaci di incidere o sul diritto ad ottenere una pronuncia di merito o direttamente sulla situazione sostanziale in lite.

b) la cessazione della materia del contendere. E’ pronunciata quando si deve dare atto dell'intervento, in pendenza della lite, di particolari fatti che hanno esaurito ogni ragione sostanziale di contesa fra le parti od ogni interesse giuridicamente apprezzabile ad una decisione, pur continuando formalmente ad esistere una situazione di contrasto. La rilevazione della fattispecie è ricondotta nel novero dei poteri ordinari del difensore (non necessitando, quindi, di una procura speciale), e può essere effettuata anche dal giudice d'ufficio. E’ dichiarata con sentenza.

c) la rinuncia alla singola domanda proposta all'interno di un processo cumulato. Il potere di rinuncia alla domanda, salvo che essa incida sostanzialmente sul diritto controverso, è fra i poteri del difensore, non necessita dell'accettazione della controparte né richiede di essere compiuta secondo forme speciali.
Essa deve considerarsi come modificazione in senso riduttivo della domanda, e quindi configurarsi come un potere ricompreso nei poteri riconosciuti al difensore, senza necessità di una procura speciale.

Massime relative all'art. 306 Codice di procedura civile

Cass. civ. n. 23019/2019

Il conseguimento della maggiore età da parte del minore determina automaticamente la cessazione della responsabilità genitoriale, determinando, ancorché avvenga nel corso del procedimento per la dichiarazione di decadenza dalla stessa (nella specie, in pendenza del termine per proporre reclamo avverso il provvedimento medesimo), la cessazione della materia del contendere e la caducazione dei provvedimenti in precedenza pronunciati, posto che ad assumere rilievo è la sola tutela del minore dai comportamenti pregiudizievoli dei genitori, non anche l'interesse del genitore all'accertamento negativo dei fatti allegati a sostegno della domanda.

Cass. civ. n. 19845/2019

La rinuncia all'azione non richiede formule sacramentali, può essere anche tacita e va riconosciuta quando vi sia incompatibilità assoluta tra il comportamento dell'attore e la volontà di proseguire nella domanda proposta Essa presuppone il riconoscimento dell'infondatezza dell'azione, accompagnato dalla dichiarazione di non voler insistere nella medesima. Solo a queste condizioni la rinuncia all'azione determina, indipendentemente dall'accettazione della controparte, l'estinzione dell'azione e la cessazione della materia del contendere. Deve, viceversa, essere dichiarata, anche d'ufficio, cessata la materia del contendere in ogni caso in cui risulti acquisito agli atti del giudizio che non sussiste più contestazione tra le parti sul diritto sostanziale dedotto e che conseguentemente non vi è più la necessità di affermare la volontà della legge nel caso concreto. (Nella specie la S.C. ha ritenuto che la richiesta di declaratoria della cessazione della materia del contendere, sul presupposto di un "factum principis" sopravvenuto, non poteva comunque essere ritenuta equivalente alla rinuncia all'azione, in difetto di un'esplicita dichiarazione di ambo le parti attestante la loro intenzione di soprassedere all'accertamento giudiziale del diritto controverso).

Cass. civ. n. 16061/2019

La rinuncia ad un diritto, se pure non può essere presunta, può tuttavia desumersi da un comportamento concludente, che manifesti, in quanto incompatibile con l'intenzione di avvalersi del diritto, la volontà di rinunciare. La valutazione in concreto di tali comportamenti forma oggetto di un giudizio di merito, insindacabile in sede di legittimità se non per contraddittorietà intrinseca della motivazione o per sua carenza o illogicità.

Cass. civ. n. 4837/2019

La rinuncia all'azione, ovvero all'intera pretesa azionata dall'attore nei confronti del convenuto, costituisce un atto di disposizione del diritto in contesa e richiede, in capo al difensore, un mandato "ad hoc", senza che sia a tal fine sufficiente quello "ad litem", in ciò differenziandosi dalla rinuncia ad una parte dell'originaria domanda, che rientra fra i poteri del difensore quale espressione della facoltà di modificare le domande e le conclusioni precedentemente formulate.

Cass. civ. n. 19568/2017

Nel processo tributario, come nel processo civile, la pronuncia di cessazione della materia del contendere deve essere adottata anche d'ufficio, senza che sia necessario un espresso accordo delle parti, atteso che, indipendentemente dalle conclusioni da queste ultime formulate, spetta al giudice valutare l'effettivo venir meno dell'interesse delle stesse ad una decisione sul merito della vertenza.

Cass. civ. n. 8903/2016

L'intervenuta cessazione della materia del contendere non forma oggetto di un'eccezione in senso stretto, sicché essa può rilevarsi anche d'ufficio, purché emerga dalle risultanze processuali ritualmente acquisite.

Cass. civ. n. 21209/2015

In caso di transazione del giudizio, non sussiste la responsabilità solidale delle parti al pagamento degli onorari degli avvocati, prevista dall'art. 68 del r.d.l. n. 1578 del 1933, solo se la decisione contenga una statuizione del giudice sulla liquidazione delle spese senza che, invece, rilevi la ragione della definizione della causa (per cessazione della materia del contendere o per abbandono), poiché il presupposto per l'applicazione dell'art. 68 cit. è proprio l'esistenza di un accordo che sottragga al giudice anche la pronuncia sulle spese.

Cass. civ. n. 17312/2015

La declaratoria di cessazione della materia del contendere o la valutazione di soccombenza virtuale per la liquidazione delle relative spese di lite non sono idonee ad acquistare autorità di giudicato sul merito delle questioni oggetto della controversia, né possono precluderne la riproposizione in diverso giudizio.

Cass. civ. n. 149/2014

La dichiarazione congiunta di "cessata materia del contendere per intervenuta transazione" è inidonea ad integrare sia la rinuncia agli atti del giudizio, sia la manifestazione di cessazione della materia del contendere, quando provenga da difensori privi della procura speciale conferente il potere di rinunciare agli atti del giudizio e di accettare la rinuncia.

Cass. civ. n. 28146/2013

La rinuncia all'azione, ovvero all'intera pretesa azionata dall'attore nei confronti del convenuto, costituisce un atto di disposizione del diritto in contesa e richiede in capo al difensore, un mandato "ad hoc", senza che sia a tal fine sufficiente il mandato "ad litem", in ciò differenziandosi dalla rinuncia ad una parte dell'originaria domanda, che rientra fra i poteri del difensore, in quanto espressione della facoltà di modificare le domande e le conclusioni precedentemente formulate.

Cass. civ. n. 25781/2013

In caso di rinuncia agli atti del giudizio, il rimborso delle spese processuali sostenute dal terzo chiamato in garanzia dal convenuto deve essere posto a carico dell'attore rinunciante, ove la chiamata in causa si sia resa necessaria in relazione alle tesi sostenute dall'attore stesso, a nulla rilevando che l'attore non abbia proposto nei confronti del terzo alcuna domanda, operando, al riguardo, il principio di causalità della lite, senza che il giudice debba compiere alcuna delibazione sulla soccombenza virtuale, né valutare se la domanda attorea si estendesse o meno al terzo, essendo a tal fine sufficiente soltanto stabilire se l'instaurazione del rapporto processuale fra il chiamante e il chiamato fosse giustificata dal contenuto della domanda proposta dall'attore verso il convenuto.

Cass. civ. n. 21848/2013

La rinuncia a singoli capi della domanda è espressione della facoltà della parte di modificare le domande e le conclusioni precedentemente formulate, sicché, distinguendosi dalla rinunzia agli atti del giudizio, non richiede, come invece quest'ultima, l'osservanza di forme rigorose.

Cass. civ. n. 8353/2013

Il trasferimento dell'azione civile nel processo penale, regolato dall'art. 75 c.p.p., determina una vicenda estintiva del processo civile riconducibile al fenomeno della litispendenza, e non a quello disciplinato dall'art. 306 c.p.c., in quanto previsto al fine di evitare contrasti di giudicati. Ne consegue che detta estinzione è rilevabile anche d'ufficio, ma può essere dichiarata solo se, nel momento in cui il giudice civile provvede in tal senso, persista la situazione di litispendenza e non vi sia stata pronuncia sull'azione civile in sede penale.

Cass. civ. n. 25439/2010

La disposizione dell'ultimo comma dell'art. 306 c.p.c., a norma della quale, se non vi è un diverso accordo, la parte che ha rinunciato agli atti del processo deve rimborsare le spese alle altre parti, è applicabile, in virtù dell'espresso richiamo dell'art. 629 c.p.c., anche nel processo esecutivo. (In applicazione del riportato principio, la S.C. ha cassato senza rinvio il provvedimento col quale il giudice dell'esecuzione, nel dichiarare estinto il processo, aveva liquidato le spese in favore del creditore rinunciante).

Cass. civ. n. 19009/2010

Non può essere pronunciata la cessazione della materia del contendere nell'ipotesi in cui il lavoratore richieda l'accertamento della illegittimità della destinazione ad altre mansioni e del diritto alla conservazione delle precedenti qualora successivamente cessi il rapporto di lavoro per pensionamento, costituendo il suddetto accertamento la premessa logica e giuridica per ulteriori domande risarcitorie, in ordine alle quali l'interesse ad agire permane anche dopo l'estinzione del rapporto di lavoro, incidendo quest'ultimo evento soltanto sull'eventuale domanda di condanna alla reintegrazione nelle mansioni svolte in precedenza ma non sul diritto all'accertamento che tale obbligo sussisteva fino alla cessazione del rapporto.

Cass. civ. n. 16150/2010

La cessazione della materia del contendere presuppone che le parti si diano reciprocamente atto del sopravvenuto mutamento della situazione sostanziale dedotta in giudizio e sottopongano al giudice conclusioni conformi in tal senso. In mancanza di tale accordo, l'allegazione di un fatto sopravvenuto, assunto come idoneo a determinare la cessazione della materia del contendere da una sola parte, deve essere valutata dal giudice, il quale, qualora ritenga che tale fatto abbia determinato il soddisfacimento del diritto azionato, e quindi il difetto di interesse ad agire, lo dichiara, regolando le spese giudiziali alla luce del sostanziale riconoscimento di una soccombenza; qualora, invece, ritenga che il fatto in questione abbia determinato il riconoscimento dell'inesistenza del diritto azionato, pronuncia sul merito dell'azione, dichiarandone l'infondatezza, e statuisce sulle spese secondo le regole generali. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata, che, in relazione all'opposizione proposta dal socio di una società in nome collettivo avverso l'esecuzione intrapresa nei suoi confronti per un debito della società, aveva dichiarato cessata la materia del contendere, alla luce di una transazione intervenuta tra la società ed il creditore procedente, benché quest'ultimo ne contestasse l'efficacia nei confronti del socio).

Cass. civ. n. 26210/2009

L'ordinanza con cui il giudice di merito dichiari estinto il processo per rinuncia agli atti del giudizio e disponga la compensazione delle spese di lite anziché la mera liquidazione delle medesime, non limitandosi a prendere atto della rinuncia e dell'accettazione ma risolvendo la controversia sull'esistenza stessa dei presupposti dell'estinzione, ha valore di sentenza, impugnabile con i mezzi ordinari, poiché trattasi di provvedimento assunto nel contrasto delle parti, il quale fuoriesce dal paradigma di cui all'art. 306 c.p.c., che presuppone la concorde accettazione della rinuncia.

Cass. civ. n. 15631/2009

L'ordinanza con la quale il giudice di merito dichiari estinto il processo per rinuncia agli atti del giudizio, previa esclusione della necessità di un'accettazione delle altre parti, per insussistenza di un loro interesse alla prosecuzione della causa, ha contenuto decisorio quanto alla sussistenza dei presupposti per l'estinzione; ne consegue che essa è impugnabile con l'appello, anche quando l'impugnazione investa soltanto le statuizioni sulle spese, mentre sfugge allo speciale regime di non impugnabilità previsto dall'art. 306, quarto comma, c.p.c. per le ordinanze che si limitano a dichiarare l'estinzione del processo in assenza di contestazioni.

Cass. civ. n. 12887/2009

La pronuncia di "cessazione della materia del contendere" costituisce, in seno al rito contenzioso ordinario, una fattispecie di estinzione del processo, creata dalla prassi giurisprudenziale, contenuta in una sentenza dichiarativa della impossibilità di procedere alla definizione del giudizio per il venir meno dell'interesse delle parti alla naturale conclusione del giudizio stesso, tutte le volte in cui non risulti possibile una declaratoria di rinuncia agli atti o di rinuncia alla pretesa sostanziale. Ad essa, pertanto, consegue, da un canto, la caducazione di tutte le pronunce emanate nei precedenti gradi di giudizio e non passate in cosa giudicata, dall'altro, la sua assoluta inidoneità ad acquistare efficacia di giudicato sostanziale sulla pretesa fatta valere, limitandosi tale efficacia di giudicato al solo aspetto del venir meno dell'interesse alla prosecuzione del giudizio, ove la relativa pronuncia non sia impugnata con i mezzi propri del grado in cui risulta emessa.

Cass. civ. n. 23289/2007

La cessazione della materia del contendere si verifica solo quando nel corso del processo sopravvenga una situazione che elimini una posizione di contrasto tra le parti, producendo la caducazione dell'interesse delle stesse ad agire e a contraddire e, quindi, facendo venir meno la necessità della pronunzia del giudice. Tale situazione non ricorre nell'ipotesi di esecuzione anche spontanea, di un provvedimento del giudice che non abbia definito il giudizio, qualora a tale comportamento non si accompagni il riconoscimento espresso o implicito della fondatezza della domanda ovvero la rinunzia alla prosecuzione del giudizio; né, peraltro, può ritenersi cessata la materia del contendere per sopravvenuta carenza di interesse delle parti se non quando i contendenti si diano reciprocamente atto dell'intervenuto mutamento della situazione e sottopongano al giudice conclusioni conformi.

Cass. civ. n. 21707/2006

Il provvedimento con cui il giudice, nel pronunciare l'estinzione del giudizio, ai sensi dell'art. 306 c.p.c., per rinuncia di una di esse agli atti, liquida le spese del giudizio in caso di mancato accordo delle parti, attesa l'espressa previsione di inoppugnabilità ed il suo carattere decisorio, per la sua attitudine ad incidere su diritti; è ricorribile in cassazione ai sensi dell'art. 111, settimo comma, Cost. Viceversa, il provvedimento con cui il giudice, nel dichiarare l'estinzione, non solo liquida le spese ma provvede su di esse, compensandole o ponendole a carico di una di esse, esorbitando dalla fattispecie prevista dal quarto comma dell'art. 306, non è assoggettabile a detto ricorso ma è impugnabile o con un'apposita actio nullitatis o con l'appello (se emesso in primo grado).

Il terzo e quarto comma dell'art. 306 c.p.c. attribuiscono al giudice la funzione di adottare due distinti provvedimenti, aventi ad oggetto, rispettivamente, la dichiarazione dell'estinzione del giudizio a seguito della rinunzia agli atti formulata da una parte ed accettata dall'altra e la liquidazione delle spese che la prima deve «ex lege» rimborsare alla seconda, salvo diverso accordo tra le parti. Il primo di detti provvedimenti, quando l'organo investito dalla decisione della causa abbia, per l'oggetto del giudizio, struttura monocratica, ha natura sostanziale di sentenza e, come tale, è appellabile anche se emesso in forma di ordinanza; diversamente, conserva la sua natura di ordinanza reclamabile ai sensi dell'art. 308, primo comma, c.p.c., se emanata dal giudice istruttore nelle cause in cui il tribunale giudica in composizione collegiale e, quindi, non può essere altrimenti impugnato se non con quel rimedio espressamente previsto. Il provvedimento di liquidazione delle spese è, invece, dichiarato espressamente inimpugnabile dallo stesso art. 306, quarto comma, secondo periodo, c.p.c., e, quindi, la parte che intenda dolersene può solo proporre ricorso straordinario per cassazione, in virtù dell'art. 111, comma settimo, Cost. .

L'art. 306, quarto comma, secondo periodo, c.p.c. attribuisce al giudice – in conseguenza della dichiarazione di estinzione del giudizio a seguito di rituale rinuncia agli atti dello stesso ed in deroga alla previsione contenuta nell'art. 91, primo comma, del medesimo codice di rito – la sola funzione di «liquidazione» delle spese, non anche quella che è prevista dal primo periodo della stessa disposizione normativa, che contempla la «condanna» al rimborso delle spese, ovvero che individua la parte da considerare soccombente e alla quale farne carico, e neppure gli attribuisce le distinte funzioni previste nel primo e nel secondo comma dell'art. 92 c.p.c., che regolamentano la facoltà, rispettivamente, di ridurre o compensare le spese con valutazione discrezionale dell'utilità delle stesse e del livello della responsabilità del soccombente nel promuovere il giudizio o nel resistervi. In sostanza, l'oggetto della pronunzia sulle spese ex art. 306 c.p.c. è analogo a quello dell'ordinanza di cui all'art. 30 della legge 13 giugno 1942, n. 794, anch'essa dichiarata «ex lege» inimpugnabile e, quindi, solo ricorribile per cassazione ai sensi dell'art. 111, comma settimo, Cost., sempreché con essa il giudice si sia limitato alla «liquidazione» dei diritti e degli onorari pretesi dal professionista ed il giudizio non sia stato, per alcun verso, esteso, in ragione dell'opposizione eventualmente proposta dal cliente, al merito del rapporto.

Cass. civ. n. 28675/2005

Poiché l'art. 306 c.p.c. non si applica al giudizio di cassazione, la rinuncia al ricorso non integra un atto cosiddetto «accettizio» (che richiede, cioè, l'accettazione della controparte per essere produttivo di effetti processuali), né un atto recettizio in senso stretto, dal momento che l'art. 390, ultimo comma, ne consente – in alternativa alla notifica alle parti costituite – la semplice comunicazione agli «avvocati» delle stesse, i quali sono investiti dei compiti di difesa, ma non anche della rappresentanza in giudizio delle controparti. Ne consegue che l'atto di rinuncia comporta di per sé l'estinzione del procedimento, indipendentemente dalla notificazione o comunicazione, che sono prescritte da detta norma al solo fine di sollecitare l'adesione delle controparti medesime alla rinuncia, e di prevenire quindi alla radice la condanna alle spese del rinunciante.

Cass. civ. n. 18255/2004

La rinuncia all'azione, diversamente dalla rinuncia agli atti del giudizio, non richiede l'accettazione della controparte, estingue l'azione, determina la cessazione della materia del contendere e, avendo l'efficacia di un rigetto, nel merito, della domanda, comporta che le spese del processo devono essere poste a carico del rinunciante; peraltro, qualora la rinuncia intervenga nella fase di impugnazione, la liquidazione delle spese processuali nel procedimento di appello deve essere effettuata tenendo conto dell'esito complessivo del giudizio, e non già separando l'esito del giudizio di impugnazione dai risultati totali della lite. (In applicazione del succitato principio di diritto, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata che aveva condannato il rinunciante a pagare le spese del secondo grado, dichiarando invece compensate tra le parti le spese del primo grado).

Cass. civ. n. 11494/2004

La cessazione della materia del contendere che sopravvenga nel corso del processo di impugnazione non esime il giudice dal provvedere sulle spese dell'intero giudizio, anche in difetto di istanza di parte, valutando, al riguardo, se sussistano giusti motivi di totale o parziale compensazione, ovvero addossando dette spese all'una o all'altra parte secondo il criterio della soccombenza virtuale.

Cass. civ. n. 10478/2004

Quando nel corso del giudizio la pretesa in esso dedotta viene spontaneamente soddisfatta dall'obbligato e su tale circostanza non vi è controversia fra le parti, per il giudice investito della domanda, si esso ordinario o speciale, viene meno il dovere di pronunziare sul merito della stessa, essendo cessato per le parti l'interesse a tale pronunzia, e sorge quello di chiudere il giudizio con una pronunzia di rito quale quella dichiarativa della cessazione della materia del contendere. Ne consegue che contro tale pronunzia la parte può dolersi in sede di impugnazione solo contestando l'esistenza del presupposto per emetterla, risultandole invece precluso per difetto di interesse ogni altro motivo di censura.

Cass. civ. n. 6393/2004

È legittima la definizione di un giudizio con una pronuncia di intervenuta cessazione della materia del contendere tutte le volte in cui il giudice si limiti a constatare che non vi è più interesse ad una pronuncia sul merito della domanda; in questo caso egli si pronuncia anche in ordine alla liquidazione delle spese, previa valutazione della sola soccombenza virtuale. (Nella specie, la S.C. ha riformato la sentenza di appello che aveva dichiarato l'intervenuta cessione della materia del contendere in una situazione relativa alla titolarità dei contratti di locazione tra di esse intercorrenti, e aveva liquidato le spese sulla base della soccombenza virtuale anziché – come avrebbe dovuto – in base alla soccombenza effettiva).

Cass. civ. n. 15962/2003

A differenza della rinuncia al ricorso per cassazione, prevista dall'art. 390 c.p.c., la rinuncia ad uno o più motivi di impugnazione la quale resti sorretta da uno o più motivi non rinunciati, può essere effettuata, anche nel corso della discussione orale, dal difensore munito di semplice procura ad litem, attenendo una siffatta rinuncia alla sua valutazione tecnica circa le più opportune modalità di svolgimento dell'impugnazione, non implicante atto di disposizione del diritto in contesa.

Cass. civ. n. 5676/2003

La rinuncia agli atti del giudizio da parte dell'attore in opposizione a decreto ingiuntivo determina l'estinzione del giudizio stesso in assenza di un interesse sostanziale del creditore opposto alla prosecuzione del giudizio, interesse sussistente quando l'opposto si sia costituito ed abbia avanzato richieste di merito e non ravvisabile, al contrario, nel caso di richiesta di condanna dell'opponente per responsabilità aggravata ai sensi dell'art. 96 c.p.c.. Infatti, il relativo giudizio presuppone lo svolgimento del processo, mentre l'effetto della rinuncia agli atti è quello di privare il giudice del potere-dovere di emanare la sentenza di merito o di rendere nulla ex nunc la procedura.

Cass. civ. n. 2647/2003

A differenza della rinunzia agli atti del giudizio (atto processuale, che produce l'effetto tipico di estinguere la fase processuale in cui interviene), la transazione (atto stragiudiziale di definizione della lite) non incide direttamente sul processo, determinandone l'estinzione, bensì sul diritto sostanziale che ne forma oggetto, comportando la cessazione della materia del contendere.

Accertare se un determinato fatto concreta una rinunzia agli atti o al giudizio, ovvero una transazione della lite è compito del giudice di merito, implicando un apprezzamento di fatto, quale esito di un'indagine diretta ad individuare la concreta volontà negoziale della o delle parti, come tale incensurabile in cassazione se sorretto da congrua e logica motivazione.

Cass. civ. n. 1950/2003

La cessazione della materia del contendere può essere dichiarata dal giudice d'ufficio quando sia sopravvenuta una situazione riconosciuta ed ammessa da entrambe le parti che ne abbia eliminato la posizione di contrasto anche circa la rilevanza giuridica delle vicende sopraggiunte, ed abbia perciò fatto venire meno oggettivamente la necessità della pronuncia del giudice su quanto costituiva oggetto di controversia. Ne consegue che siffatta declaratoria non può essere viceversa emessa in presenza di opposizione di una delle parti, che eccepisca l'invalidità (nullità o annullabilità) ovvero (limitatamente all'ipotesi in cui, anziché determinare l'estinzione del rapporto preesistente mediante la sua sostituzione con altro oggettivamente diverso per fonte costitutiva e contenuto – c.d. transazione novativa –, esso fosse volto ad introdurre meri mutamenti dell'assetto sostanziale dei diritti e degli obblighi configurantisi sul piano processuale come fatti modificativi, impeditivi o estintivi del diritto azionato – c.d. transazione semplice –) la risoluzione, per inadempimento, dell'accordo novativo.

Cass. civ. n. 15705/2002

Nell'ipotesi di pagamento avvenuto nel corso del giudizio non si verifica la cessazione della materia del contendere (che presupponendo il venir meno delle ragioni di contrasto fra le parti, fa venir meno la necessità della pronuncia del giudice) allorché l'obbligato non rinunci alla domanda diretta all'accertamento dell'inesistenza del debito.

Cass. civ. n. 9066/2002

L'estinzione del processo conseguente alla rinuncia agli atti del giudizio – ex art. 306 c.p.c. – esige l'accettazione della parte nei cui confronti la rinuncia è fatta; ma essa può essere dichiarata d'ufficio, anche in difetto di accettazione, quando la parte menzionata non abbia interesse alla prosecuzione del processo; quando, cioè, essa non abbia la possibilità di conseguire una utilità maggiore di quella che conseguirebbe all'estinzione del processo. Peraltro, in ogni caso, le spese del giudizio, ai sensi dell'art. 306, quarto comma, cit., devono essere poste a carico del rinunciante, senza che rilevi – a questi fini – la fondatezza o meno dell'opposizione all'estinzione proposta dalla parte nei cui confronti è fatta la rinuncia, essendo sufficiente il dato oggettivo della declaratoria di estinzione del giudizio.

Cass. civ. n. 7212/2002

Chi, dopo aver citato in giudizio per il risarcimento del danno i due responsabili solidali dell'evento lesivo, abbia ottenuto in via transattiva da uno dei convenuti il risarcimento parziale non può più chiedere all'altro il risarcimento nella misura intera, ma solo nella misura ridotta della percentuale corrispondente alla quota transatta. Conseguentemente, la relativa domanda, originariamente formulata in termini di richiesta di condanna dei convenuti al risarcimento pro quota, dopo l'intervenuta transazione deve essere interpretata, in conformità con il suddetto principio, come rinuncia alla solidarietà tra i due debitori per l'intero e limitazione della pretesa alla condanna del soggetto rimasto in giudizio al pagamento della sola parte dell'obbligazione che a lui avrebbe fatto carico nei rapporti interni con l'altro condebitore. (Nella specie, relativa ad una domanda di risarcimento dei danni conseguenti ad un infortunio sul lavoro, la Suprema Corte ha considerato viziata da ultrapetizione la sentenza che, dopo l'intervenuta transazione tra il danneggiato e l'imprenditore committente, aveva condannato l'appaltatore al risarcimento dell'intero danno originariamente richiesto).

Cass. civ. n. 3645/2002

L'intervenuta conciliazione della lite successivamente alla proposizione del ricorso per cassazione, comportando la sostituzione del nuovo assetto pattizio voluto dalle parti del rapporto controverso alla regolamentazione datane dalla sentenza impugnata, che resta così travolta e caducata, fa venir meno l'interesse alla naturale definizione del giudizio e determina la cessazione della materia del contendere con conseguente estinzione del processo, le cui spese, regolamentate in sede di conciliativa, vanno dichiarate, in sede processuale, interamente compensate tra le parti.

Cass. civ. n. 1439/2002

La rinuncia alla domanda o ai suoi singoli capi, qualora si atteggi come espressione della facoltà della parte di modificare ai sensi dell'art. 184 c.p.c. (e 420 c.p.c. per le controversie soggette al cosiddetto rito del lavoro), le domande e le conclusioni precedentemente formulate, rientra fra i poteri del difensore (che in tal guisa esercita la discrezionalità tecnica che gli compete nell'impostazione della lite e che lo abilita a scegliere. In relazione anche agli sviluppi della causa, la condotta processuale da lui ritenuta più rispondente agli interessi del proprio rappresentato), distinguendosi così dalla rinunzia agli atti del giudizio, che può essere fatta solo dalla parte personalmente o da un suo procuratore speciale, nelle forme rigorose previste dall'art. 306 c.p.c., e non produce effetto senza l'accettazione della controparte.

Cass. civ. n. 4505/2001

La rinunzia alla domanda, che può essere anche tacita, come nel caso di riconoscimento della infondatezza dell'azione, accompagnato dalla dichiarazione di non voler insistere nella medesima, determina la cessazione della materia del contendere.

Cass. civ. n. 14936/2000

Il provvedimento con il quale il collegio – nel giudizio di appello – dichiari l'estinzione del processo, ancorché emesso nella forma dell'ordinanza, ha contenuto sostanziale di sentenza, giusta la previsione dell'art. 306, ultimo comma, c.p.c., e, pertanto, non è soggetto a reclamo al collegio, ma a ricorso per cassazione della parte che ha interesse a contrastare tale declaratoria di estinzione. Tale mezzo di impugnazione può anche essere utilizzato – in alternativa alla proposizione di una autonoma azione di accertamento del vizio o di una eccezione ad hoc in sede esecutiva – per far valere il vizio di nullità – inesistenza del provvedimento, derivante dalla sua sottoscrizione da parte del solo presidente del collegio in assenza di elementi che ne facciano ritenere la congiunta qualità di relatore o estensore, purché nel rispetto delle relative regole di ammissibilità, ivi comprese quelle relative alla tempestività del ricorso. (Nel caso di specie – relativo ad un giudizio pendente alla data del 30 aprile 1995 – la S.C. ha dichiarato l'inammissibilità di ricorso proposto fuori termine avverso un'ordinanza dichiarativa dell'estinzione del processo firmata dal solo presidente, non cumulante in sé anche la qualità di relatore o estensore del provvedimento).

Cass. civ. n. 1048/2000

La pronuncia di “cessazione della materia del contendere” costituisce, in seno al rito contenzioso ordinario (privo, al riguardo, di qualsivoglia, espressa previsione normativa, a differenza del rito amministrativo e di quello tributario), una fattispecie di estinzione del processo, creata dalla prassi giurisprudenziale, contenuta in una sentenza dichiarativa della impossibilità di procedere alla definizione del giudizio per il venir meno dell'interesse delle parti alla naturale conclusione del giudizio stesso tutte le volte in cui non risulti possibile una declaratoria di rinuncia agli atti o di rinuncia alla pretesa sostanziale. Alla emanazione di una sentenza di cessazione della materia del contendere, pertanto, consegue, da un canto, la caducazione di tutte le pronunce emanate nei precedenti gradi di giudizio e non passati in cosa giudicata, dall'altro, la sua assoluta inidoneità ad acquistare efficacia di giudicato sostanziale sulla pretesa fatta valere, limitandosi tale efficacia di giudicato al solo aspetto del venir meno dell'interesse alla prosecuzione del giudizio (con l'ulteriore conseguenza che il giudicato può dirsi formato solo su tale circostanza, ove la relativa pronuncia non sia impugnata con i mezzi propri del grado in cui risulta emessa).

Cass. civ. n. 504/2000

Il principio secondo il quale il procedimento giurisdizionale si estingue per cessazione della materia del contendere se la parte che ha fatto ricorso al giudice per la tutela dei propri interessi ne consegua l'integrale soddisfacimento direttamente dalla controparte si applica anche in tema di giudizi instaurati dinanzi al tribunale superiore delle acque tutte le volte in cui, successivamente alla discussione del ricorso, ma prima della pubblicazione della sentenza, l'autorità amministrativa abbia emanato un provvedimento integralmente esaustivo degli interessi del privato ricorrente per la cassazione della sentenza pronunciata dal detto tribunale.

Cass. civ. n. 368/2000

Quando nel corso del giudizio di legittimità intervenga una transazione od altro fatto che determini la cessazione della materia del contendere, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, essendo venuto meno l'interesse alla definizione del giudizio e, quindi, ad una pronuncia sul merito dell'impugnazione.

Cass. civ. n. 5393/2000

Non è possibile la declaratoria di cessazione della materia del contendere ove permanga contrasto tra le parti di un contenzioso in relazione alla liquidazione delle spese – operata dal giudice e fatta oggetto di uno specifico motivo di gravame – ed altresì manchi una qualsiasi dichiarazione delle parti in causa di non voler proseguire il giudizio – con il conseguente perdurare di una situazione di contrasto per quanto attiene alla fondatezza nel merito della pretesa fatta valere dall'attore.

Cass. civ. n. 5390/2000

La rinunzia da parte dell'appellante, nel corso del giudizio di secondo grado, all'eccezione di decadenza della controparte dal diritto in contestazione, riguardando unicamente una questione preliminare di merito, non concretizza, di per sé, una rinunzia all'azione che, come tale, impone una pronuncia di cessazione della materia del contendere.

La cessazione della materia del contendere – cui consegue il sopravvenuto venire meno dell'interesse ad agire e della necessità di una pronuncia del giudice sull'oggetto della controversia, di cui il giudice deve dare atto d'ufficio – presuppone che: a) sopravvengano, nel corso del giudizio, eventi di natura fattuale o atti volontari delle parti idonei a determinare la totale eliminazione di ogni posizione di contrasto; b) vi sia accordo tra le parti sulla portata delle vicende sopraggiunte e sull'essere venuto meno ogni residuo motivo di contrasto; c) vi sia la dichiarazione di non voler proseguire la causa proveniente dalla parte personalmente ovvero dal suo difensore munito di procura ad hoc. (Nella specie la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che non aveva dichiarato l'estinzione del giudizio né riconosciuto la cessazione della materia del contendere in una controversia nella quale l'Inps appellante si era limitato a rinunciare all'eccezione di decadenza della controparte dal diritto in contestazione mentre permaneva tra le parti un contenzioso in relazione alla liquidazione delle spese operata nella sentenza di primo grado e mancava qualsiasi dichiarazione delle parti stesse relativa alla loro intenzione di non voler proseguire il giudizio).

Cass. civ. n. 8387/1999

La rinuncia agli atti del giudizio – ammissibile anche in appello ex artt. 359 e 306 c.p.c. – va tenuta distinta dalla rinuncia all'azione (o rinuncia all'impugnazione se interviene dopo il giudizio di primo grado) la quale è rinunzia di merito ed è immediatamente efficace anche senza l'accettazione della controparte determinando il venir meno del potere-dovere del giudice di pronunziare. Per la rinunzia agli atti del giudizio è necessaria invece l'accettazione della parte nei cui confronti la rinuncia è fatta quando essa abbia interesse alla prosecuzione del processo, interesse che deve concretarsi nella possibilità di conseguire un risultato utile e giuridicamente apprezzabile che presuppone la proposizione da parte sua di richieste il cui integrale accoglimento procurerebbe ad essa una utilità maggiore di quella che conseguirebbe all'estinzione del processo.

Cass. civ. n. 2268/1999

La rinuncia all'azione – a differenza della rinuncia agli atti del giudizio che, per essere operativa, deve essere accettata nei modi prescritti dalla legge (art. 306 c.p.c.) – preclude ogni attività giurisdizionale indipendentemente dall'accettazione dell'altra parte perché, estinguendo l'azione stessa, ha l'efficacia di un rigetto nel merito della domanda e fa, quindi, venire meno l'interesse delle controparti alla prosecuzione del giudizio per ottenere una pronuncia negativa sull'azione proposta dall'attore.

Cass. civ. n. 3217/1998

Il riconoscimento da parte del convenuto del diritto azionato dall'attore non comporta la cessazione della materia del contendere qualora non risulti integralmente soddisfatta la domanda dell'attore comprensiva degli accessori di legge (interessi e rivalutazione monetaria).

Cass. civ. n. 801/1998

La cessazione della materia del contendere, quale evento preclusivo della pronunzia giudiziale, si verifica solo quando nel corso del processo sopravvenga una situazione che elimini completamente la posizione di contrasto fra le parti, facendo venir meno la necessità della decisione, sicché essa non ricorre quando vi sia stato riconoscimento solo parziale del diritto in contesa, come nel caso in cui, durante la pendenza del procedimento giudiziario concernente il trattamento di invalidità civile, tale trattamento venga riconosciuto all'avente titolo con una decorrenza successiva a quella richiesta. In siffatta ipotesi, pertanto, la naturale conclusione del processo, con una pronunzia che riconosca (o neghi) il diritto azionato, anche per il periodo non coperto dall'intervenuto riconoscimento, può essere impedita solo da una rinunzia agli atti del giudizio, o alla stessa domanda, da parte dell'attore secondo una valutazione di opportunità rimessa esclusivamente a quest'ultimo e da esternarsi nelle forme di legge.

Cass. civ. n. 10567/1997

In caso di transazione intervenuta nel corso del giudizio di legittimità, va rilevata la cessazione della materia del contendere, la quale non comporta una decisione nel merito della causa e il relativo accertamento di fatto, ma l'inammissibilità sopravvenuta dell'impugnazione per il venir meno dell'interesse al ricorso. Il procedimento va definito con la formula della dichiarazione dell'improcedibilità del ricorso e non con quella del rigetto del ricorso, poiché quest'ultima non dà il dovuto rilievo al venir meno dell'interesse all'impugnazione e fa supporre un esame della stessa nel merito, che, invece, è precluso dall'evento sopravvenuto, che comporta anche che la sentenza impugnata perda ogni effetto tra le parti; circostanza questa che spiega perché non sia necessaria la cassazione senza rinvio della sentenza impugnata. Nel quadro di questa ricostruzione la produzione dei documenti comprovanti la cessazione della materia del contendere deve ritenersi ammissibile a norma dell'art. 372 c.p.c. in quanto inerenti alla inammissibilità (sopravvenuta) del ricorso.

Cass. civ. n. 7565/1997

La rinuncia agli atti del giudizio non deve necessariamente avere le forme di un atto processuale, ma può essere contenuta in qualsiasi atto sottoscritto dalle parti, anche stragiudiziale, che dimostri sicuramente la loro volontà di porre fine al giudizio.

Cass. civ. n. 622/1997

La cessazione della materia del contendere costituisce il riflesso processuale del venire meno della ragion d'essere della lite, per la sopravvenienza di un fatto che priva le parti di ogni interesse a proseguire il giudizio, ma di per se non da luogo ad una autonoma formula terminativa del processo civile, il quale, pur quando ne siano cessate le ragioni, deve concludersi secondo le forme e gli istituti a tale scopo previsti dal codice di rito, e cioè per cancellazione della causa dal ruolo seguita da estinzione del processo, per estinzione conseguente a rinunzia o inattività delle parti, o con sentenza dichiarativa della cessazione della materia del contendere. La pronunzia della quale presuppone peraltro che le parti si diano atto del sopravvenuto mutamento della situazione sostanziale dedotta in giudizio e sottopongano conformi conclusioni in tal senso al giudice, restando escluso, che questi, senza dar luogo a decisione extrapetita, possa dichiarare cessata la materia del contendere, per avere una delle parti dato atto che successivamente all'introduzione della lite si sono verificati fatti astrattamente idonei a privarla di interesse alla prosecuzione del giudizio, quando nelle rispettive conclusioni ciascuno dei litigati abbia insistito nelle rispettive originarie richieste così dimostrando il proprio interesse alla decisione della controversia. (Nella specie in giudizio possessorio lo spogliato, appellante, pur riconoscendo che la controparte dopo la sentenza di primo grado, a lei favorevole aveva rilasciato l'immobile per cui era lite, nelle conclusioni definitive si era riportato, al pari dell'appellato, agli atti introduttivi ed ai verbali di causa. La S.C., nell'annullare la sentenza di merito che aveva dichiarata cessata la materia del contendere, ha enunciato il principio di cui alla massima).

Cass. civ. n. 10978/1996

Ai fini della declaratoria di estinzione del processo a norma dell'art. 306 c.p.c., l'accettazione della rinuncia agli atti del giudizio è richiesta soltanto quando, nel rapporto processuale già instaurato, vi sia una parte costituita e questa, inoltre, abbia interesse alla prosecuzione; interesse che, essendo correlato alla domanda in concreto proposta dal convenuto, presuppone, evidentemente, la sua effettiva costituzione in giudizio. A tal riguardo si rende del tutto indifferente la circostanza che la rinuncia sia intervenuta prima della scadenza dei termini previsti per la rituale e tempestiva costituzione del convenuto, al momento che la legge dà rilievo al fatto negativo della mancata costituzione, e non già alla contumacia dichiarata ovvero dichiarabile, stante il diritto della parte di costituirsi in ogni momento del procedimento.

Cass. civ. n. 6698/1995

Dopo la proposizione dell'impugnazione non è concepibile l'ipotesi di acquiescenza contemplata dall'art. 329 c.p.c. (che opera come preclusione rispetto ad un'impugnazione non ancora proposta), ma è solo possibile un'espressa rinuncia all'impugnazione stessa, da compiersi nella forma e con le modalità prescritte dalla legge.

Cass. civ. n. 5556/1995

La rinuncia agli atti del giudizio di appello, per quanto non espressamente disciplinata dalla legge, deve tuttavia ritenersi ammissibile in forza del richiamo alle norme regolatrici del giudizio di primo grado contenuto nell'art. 359 c.p.c., dovendosi altresì escludere la sua incompatibilità con il predetto mezzo di gravame. Parimenti ammissibile è la rinuncia all'impugnazione, che si pone in perfetto parallelismo con la rinuncia all'azione nel giudizio di primo grado, e che determina, come la rinuncia agli atti del giudizio di appello, il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado. Tuttavia l'identità degli effetti non comporta la piena corrispondenza dei due istituti poiché, mentre la rinuncia agli atti del giudizio di appello è efficace od in quanto accettata o, in quanto non richieda accettazione, la rinuncia all'impugnazione fa venir meno il potere-dovere del giudice di pronunciare, con efficacia immediata, senza bisogno di accettazione.

Cass. civ. n. 2243/1995

L'atto di transazione della lite dopo la proposizione del ricorso per cassazione, qualora, pur contenendo la rinuncia all'impugnazione, non sia idoneo a determinare l'estinzione del processo ai sensi degli artt. 390 e 391 c.p.c. (perché non sottoscritto anche dal difensore del ricorrente per il giudizio di legittimità), è atto idoneo a comportare l'improcedibilità del ricorso per cessazione della materia del contendere, essendo sopravvenuto il difetto di interesse a proseguire il processo.

Cass. civ. n. 6691/1994

L'identificazione dell'oggetto della rinuncia intervenuta nel corso del giudizio costituisce un apprezzamento di fatto, in quanto è il risultato di un'indagine diretta ad individuare la concreta volontà del rinunciante, e, come tale, è incensurabile in cassazione, se sorretta da adeguata e logica motivazione.

Cass. civ. n. 2078/1993

La dichiarazione con la quale taluna delle parti, in relazione a trattative intercorse con i contraddittori e agli accordi raggiunti con gli stessi in corso di lite, assuma l'impegno di «abbandonare la causa», in mancanza di un formale atto di rinuncia agli atti, e nel persistente dissenso circa la rilevanza e la valenza delle intese concluse, non è suscettibile né di integrare il presupposto di una declaratoria di cessazione della materia del contendere, non comportando il venir meno della necessità della pronuncia del giudice sull'oggetto della controversia, né può assumere il significato di una valida, incondizionata rinuncia agli atti o all'azione, quando la sua operatività sia stata subordinata all'attuazione, in fatto non realizzata, di un più complesso regolamento negoziale dei rapporti in contestazione.

Cass. civ. n. 5506/1992

La rinuncia all'azione, che è efficace anche senza accettazione delle controparti, e che impone declaratoria di cessazione della materia del contendere, è ammissibile, quale espressione del principio dispositivo, in qualunque controversia civile, incluse quelle che coinvolgano interessi generali e richiedano la partecipazione del pubblico ministero, e, pertanto, anche nel giudizio d'impugnazione per difetto di veridicità del riconoscimento della filiazione naturale.

Cass. civ. n. 4792/1991

Con riguardo al giudizio instaurato nei confronti di più debitori solidali, la dichiarazione della cessazione della materia del contendere, per sopravvenuta transazione della lite tra il creditore ed uno dei debitori, richiede dal giudice del merito la necessaria valutazione dell'idoneità della situazione sopravvenuta ad eliminare ogni contrasto sull'intero oggetto della lite, anche in riferimento al condebitore solidale che rimasto estraneo alla transazione intenda profittarne.

Cass. civ. n. 5802/1985

Poiché l'interesse ad agire va inteso come possibilità di conseguire con il giudizio un risultato giuridicamente apprezzabile e non l'astratta soluzione delle questioni poste per i possibili ed eventuali riflessi che l'accertamento giudiziale potrebbe avere in altri giudizi, ove dopo la pronuncia della sentenza di primo grado le parti transigano interamente la lite insorta, l'impugnazione proposta dalla parte già soccombente deve essere dichiarata inammissibile per cessazione della materia del contendere, essendo venuto meno un interesse di quella parte a rimuovere l'accertamento pregiudizievole contenuto nella sentenza impugnata giacché la pronuncia di cessazione della materia del contendere – lungi dal determinarne il passaggio in giudicato – fa venir meno del tutto la pronuncia impugnata.

Cass. civ. n. 1581/1984

La rinuncia agli atti del giudizio è valida ed efficace anche se compiuta mediante atto scritto extraprocessuale, e la parte che ne contesti infondatamente l'operatività, rendendo quindi necessaria la prosecuzione e definizione del processo con sentenza, legittimamente è condannata al rimborso delle spese in favore dell'altra parte, in base al principio della soccombenza ex art. 91 c.p.c.

Cass. civ. n. 6723/1982

La rinuncia, nel corso del giudizio di primo grado, da parte di uno dei contitolari di un rapporto indivisibile (nella specie, coeredi), ancorché non costituito, alla correlativa pretesa fatta valere in giudizio dagli altri titolari, determina la sua carenza di interesse alla proposizione dell'azione intentata, ed escludendo che nei suoi riguardi abbia alcun riflesso l'esito del relativo giudizio, determina la non necessità dell'integrazione del contraddittorio nei suoi confronti.

Cass. civ. n. 3044/1982

L'estinzione del processo, per rinuncia agli atti, ha carattere pregiudiziale rispetto ad ogni altra questione, con la conseguenza che il giudice, chiamato a provvedere in proposito, deve dichiarare tale estinzione sulla base del mero riscontro della ricorrenza di una rinuncia rituale ed efficace (nella specie, in quanto contenuta in documento sottoscritto notificato alla controparte, e non abbisognante di accettazione di questa per difetto di un suo interesse alla prosecuzione del processo), a prescindere da ogni altra indagine, e, quindi, anche dall'esame degli accordi fra le parti precedenti la rinuncia medesima.

Cass. civ. n. 4488/1981

La limitazione della domanda, ad alcuni soltanto dei capi prima formulati, fatta dal procuratore costituito non munito di procura speciale in sede di precisazione delle conclusioni non costituisce valida rinuncia agli atti del giudizio ex art. 306 c.p.c. e quindi non esclude il diritto della controparte di insistere per la pronuncia di rigetto della domanda nel merito, né tale limitazione può configurarsi come valida rinuncia sostanziale alla relativa pretesa, mancando nel procuratore il necessario potere dispositivo, con la conseguenza che la domanda, in ordine alla quale è stata operata la limitazione, può essere riproposta in un successivo giudizio.

Cass. civ. n. 890/1962

La rinuncia agli atti del giudizio consiste nell'espressa dichiarazione dell'attore di voler porre fine al processo, senza giungere alla pronunzia di merito sulla domanda da lui proposta. Essa è espressione del principio dispositivo, non implica alcuna valutazione sulla fondatezza o meno della domanda, non ha alcun effetto sul rapporto sostanziale dedotto in giudizio, né influisce sull'azione o potestà di agire, che rimane integra e potrà ancora essere esercitata per far valere in un nuovo giudizio la stessa pretesa in base alla medesima causa petendi. Essa, poi, per essere operativa, deve essere accettata dalle parti costituite, le quali potrebbero avere interesse alla prosecuzione del giudizio. La rinuncia alla domanda, invece, estinguendo la pretesa di diritto sostanziale, ha l'efficacia di una pronunzia di rigetto nel merito della domanda medesima e non ha bisogno di essere accettata dalle controparti, le quali non hanno interesse alla prosecuzione del giudizio per ottenere una pronunzia negativa sull'azione proposta dall'attore. La identificazione dell'oggetto della rinuncia costituisce un apprezzamento di fatto, in quanto è il risultato di un'indagine diretta ad individuare la concreta volontà negoziale del rinunciante e, come tale, è incensurabile in cassazione se sorretta da adeguata e logica motivazione. L'interesse alla prosecuzione del giudizio, che determina per le parti costituite dalle quali deve essere accettata, per essere operante, la rinuncia agli atti del giudizio, sussiste quando il convenuto abbia chiesto una pronuncia nel merito o abbia, a sua volta, proposto una domanda riconvenzionale.

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Consulenze legali
relative all'articolo 306 Codice di procedura civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

V. G. chiede
lunedì 27/11/2023
“Si chiede in come si possa trovare un “rimedio” quando la norma non lo prevede e il giudice di primo grado (tribunale civile) non considera le eccezioni e le richieste fatte dall’attore ignorandole totalmente anche se la norma lo obbligherebbe a decidere con ordinanza. Specifico: in una causa civile dove per citazione è stata fatta una richiesta, la parte attrice, prima della comparsa del convenuto, ha richiesto con istanza la rinuncia agli atti, ovviamente prima dell’udienza. Il giudice in prima udienza (cartolare) ha dato i termini proseguendo con la causa senza neanche considerare l’istanza, quindi nell’ordinanza il giudice non ha preso una posizione e non l’ha neanche motivata. Essendo l’unico rimedio impugnare l’ordinanza allo stesso giudice, è ovvio che sia inutile. Oltre all’impugnazione della sentenza in secondo grado, vi è un rimedio durante il processo per poter costringere il giudice a svolgere la propria funzione? è ovvio che mi riferisco sia a delle azioni dirette al giudice sia dirette al merito della questione per ottenere una risposta. Si chiede se fosse possibile avere anche delle sentenze in Cassazione o delle sentenze SSUU.”
Consulenza legale i 05/12/2023
L’art. 306 c.p.c. prevede che il giudizio si possa estinguere con la rinuncia agli atti di una parte che sia stata accettata dalle controparti costituite che potrebbero avere un interesse nella prosecuzione del giudizio.
La rinuncia deve essere fatta dalla parte personalmente o dai procuratori speciali attraverso il deposito in giudizio di un atto sottoscritto e notificato alle controparti oppure verbalmente all’udienza.

Quando la parte non è costituita è evidente che l’unico modo per rendere il convenuto informato della volontà di rinunciare agli atti è di notificare l’atto di rinuncia agli atti e poi eventualmente depositarlo nel fascicolo telematico con la prova dell’avvenuta notifica.

La Cassazione ha stabilito che quando la controparte non è costituita non sia necessaria la sua accettazione della rinuncia agli atti ma sia sufficiente la notifica (Cass. civ. n. 6850/2011, Tr. Roma 6.11.2008).
Ciò significa che, indipendentemente dall’accettazione da parte del convenuto e della sua condotta processuale, il Giudice, reso edotto della notifica dell’atto di rinuncia prima della costituzione della controparte, dovrà dichiarare l’estinzione di quel procedimento.

Nel caso di specie non ci sono però evidenze che l’atto sia stato notificato prima alla controparte che infatti si è regolarmente costituita non avendo avuto notizie della avvenuta rinuncia.
Si ritiene, quindi, che la rinuncia effettuata in questo modo non abbia avuto efficacia e che il Giudice non potesse fare altro che fare proseguire il procedimento.
Inoltre, proprio per l’irritualità della rinuncia, non c’è alcun strumento giuridico di impugnazione utilizzabile dalla parte rinunciante per ottenere la dichiarazione di estinzione se non ribadirla rispettando le prescrizioni dell’art. 306 c.p.c.
A questo punto, infatti, essendosi costituita la controparte, la rinuncia per avere effetto deve essere accettata da tutte le parti costituite come previsto dalla legge.

Non si è informati sul fatto se la rinuncia sia stata reiterata da parte del legale dell’attore a verbale alla prima udienza.
Si consiglia, in primo luogo, di verificare che l’avvocato avesse la procura speciale per poter rinunciare agli atti. In caso affermativo avrebbe dovuto ribadirla all’udienza e la controparte avrebbe dovuto accettarla oppure dichiarare espressamente di avere interesse nella prosecuzione del giudizio.
In assenza di procura speciale a tal fine, solo la parte personalmente avrebbe potuto rinunciare agli atti in udienza.

Si consiglia, a questo punto, di notificare l’atto di rinuncia agli atti sottoscritta sia dalla parte personalmente che dal legale e ottenere l’accettazione del convenuto.
Conseguentemente l’atto di rinuncia e l’accettazione della controparte dovranno essere depositati nel fascicolo telematico.
A questo punto, in assenza di diniego da parte del convenuto, il giudice non potrà fare proseguire il processo che sarà inevitabilmente dichiarato estinto.


Giancarlo C. chiede
martedì 02/04/2019 - Sardegna
“In una causa per la separazione dei beni ereditati (con vendita all’asta del bene) se uno degli eredi rinuncia agli atti di causa in modo da uscire dal giudizio, in quali penalità incorre?”
Consulenza legale i 12/04/2019
Quando una parte decide di non partecipare più ad un procedimento in corso possono configurarsi due diverse ipotesi.

La prima è quella che tecnicamente si definisce come “rinuncia agli atti”, istituto disciplinato dal codice di procedura civile all’art. 306. Avviene su specifica iniziativa di chi ha promosso la causa ed ha come conseguenza l’estinzione del procedimento.
Attenzione, tuttavia, che per produrre tale effetto la rinuncia deve essere accettata (e senza riserve o condizioni) dalle altre parti, perché queste ultime potrebbero in effetti anche avere l’interesse contrario a che il procedimento prosegua.

Diverso è, invece, il caso che si verifica quando una parte, già regolarmente costituita in giudizio, non si presenta ad una o più udienze o non si presenta più per tutto il procedimento.
E’ un’ipotesi che non trova alcuna disciplina, è denominata semplicemente “assenza” e non produce alcun effetto sul procedimento, che rimane in piedi come se nulla fosse e prosegue fino alla sua conclusione.
Attenzione a non confondere l’assenza con la contumacia: con quest’ultimo termine si definisce la mancata costituzione in giudizio di una parte che è stata citata (chiamata, cioè, a partecipare) ma che ha deciso di non difendersi. Quando il Giudice prende atto di tale volontà – previo necessario accertamento che la mancanza di costituzione della parte non sia dovuta ad un difetto di regolare notifica del procedimento – emette una formale dichiarazione, appunto, di contumacia.
Il processo prosegue poi senza la parte contumace - alla quale dovranno, però, essere comunque notificati determinati avvenimenti processuali - e si concluderà con una sentenza che, attenzione, sarà cogente e valida anche per il contumace stesso,

Come si diceva poc’anzi, al contrario, nel caso dell’assenza la parte si è regolarmente costituita in giudizio in prima battuta, ma ha deciso poi di non interessarsi più di quanto avviene.
E’ evidente, e con ciò si risponde al quesito, che l’assenza può comportare delle conseguenze anche pesanti a carico della parte che si disinteressa del processo.
Infatti, indipendentemente dalla fase processuale in cui ciò avviene, il disinteresse si traduce nel mancato compimento di atti processuali di natura sostanzialmente difensiva, e ciò va a tutto svantaggio della parte in questione che si trova a perdere importanti – ed addirittura a volte essenziali – possibilità di difesa. Basti solo pensare allo spirare dei termini per poter presentare prove a proprio favore.

Anche nel caso di specie, dunque, il disinteresse per il giudizio, inteso come mancanza di partecipazione al suo svolgimento, non avrebbe conseguenze sul processo stesso ma solo sulle possibilità della parte che tiene questa condotta di assumere iniziative, sollevare eccezioni, ecc.

Si precisa da ultimo, per amor di completezza, che la causa di divisione ereditaria (si presume infatti che si tratti di questa quando si parla di “separazione dei beni ereditati”) è una causa a “litisconsorzio necessario”, ovvero in cui tutte le parti interessate dal procedimento devono necessariamente parteciparvi, pena l'inutilità della sentenza che definisce il giudizio. In buona sostanza, la sentenza che chiude il giudizio di divisione non potrebbe avere effetti concreti su quella o quelle parti che non avessero partecipato alla causa, rendendo così quest’ultima del tutto inutile. Chi rimane fuori dal processo, infatti, non può essere poi obbligato ad ottemperare al contenuto della sentenza del Giudice.

Dunque, in questo tipo di giudizi, anche l’eventuale rinuncia agli atti deve provenire – ed essere accettata – da tutti i litisconsorti necessari (le parti in causa tenute a parteciparvi), non potendo la causa proseguire solo per alcuni di essi e non per gli altri.


Danilo P. chiede
mercoledì 15/02/2017 - Puglia
“Processo esecutivo immobiliare estinto per rinuncia dei creditori.

Il debitore, che ha subito la procedura esecutiva con vendita dei suoi beni, vorrebbe chiedere l'indennizzo ex Legge 89/2001. Vero è che l'art. 2 - comma 2-sexies - Legge 89/2001 - esclude l'indennizzo quando il processo si è concluso per rinuncia ma nel processo esecutivo, visto quello che ha subito il debitore e certo è che non è lui a scandire i tempi processuali, si appllica per analogia il suddetto articolo?

Grazie.”
Consulenza legale i 22/02/2017
E’ del tutto improprio parlare di applicazione per analogia alla fattispecie di rinuncia all’esecuzione da parte dei creditori della disciplina dettata dalla Legge n. 89/2001 per i casi di rinuncia agli atti del giudizio di cui agli articoli 306 e 307 c.p.c. .
Il caso di cui al quesito, infatti, nulla ha a che vedere con quello delineato dalla norma in commento.

L’art. 306 c.p.c. disciplina l’ipotesi in cui la parte che ha promosso il giudizio (e necessariamente solo questa) decida di rinunciare agli atti dello stesso, ovvero manifesti un sopravvenuto disinteresse a continuare il procedimento e la volontà di rinunciare all’attività processuale svolta fino a quel momento ed ai suoi effetti.
Nel caso in esame, il debitore esecutato non è la parte che ha promosso il giudizio (e quindi che rinuncia) ma quella che lo ha subìto, per cui è pienamente legittimata alla domanda per irragionevole durata del processo, poiché la decisione di porre nel nulla il procedimento giudiziario sino a quel momento svolto non è riconducibile alla sua volontà.

Analogamente (ed evidentemente), la fattispecie di cui al 307 c.p.c. è del tutto inconferente rispetto alla questione che ci occupa, poiché riguarda il caso di estinzione del giudizio per inattività delle parti: nel caso in esame il processo esecutivo si è estinto per rinuncia dei creditori e non certo perché le parti non hanno dato il dovuto impulso (peraltro, nel processo esecutivo, l’onere di impulso non può che far capo al creditore procedente, non certo al debitore esecutato).

La finalità della Legge Pinto è chiaramente quella di tutelare chi chiede giustizia quando egli si trovi a doverla ottenere in ritardo (o a non ottenerla proprio) a causa di circostanze ed avvenimenti che prescindono del tutto dalla sua volontà e responsabilità.
E’ logico, quindi, che venga escluso l’indennizzo ogni qualvolta sia proprio chi ha agito in giudizio a rinunciare spontaneamente ai propri diritti e ad ottenere giustizia. Cosa che non è affatto avvenuta nel caso qui descritto, in cui la parte che ha subìto i ritardi processuali (nel quesito però non si spiega in che termini) non si è “pregiudicata da sola” ma anzi ha probabilmente ottenuto un vantaggio dalla rinuncia creditoria.

Aldo T. chiede
mercoledì 24/02/2016 - Emilia-Romagna
“Buongiorno, sono in causa insieme ad altri condomini, da oltre 10 anni, per ottenere il risarcimento di opere malfatte, contro l'impresa edificatrice della palazzina in cui risiedo. Ognuno di noi proprietari ha firmato un mandato personale al nostro avvocato, quindi non agiamo come condominio, ma da privati. Abbiamo tentato di attivare una transazione, ma, per diversi motivi, tra cui le pretese di uno dei condomini ricorrenti che rivendica la maggior parte della cifra della eventuale transazione, non si riesce a trovare un accordo. Finora il giudice ha sempre rinviato l'esame della questione in attesa della possibile transazione, ma ora ha stabilito una data ultimativa, il prossimo 8 marzo. Vorrei sapere se esiste la possibilità per me e mia moglie, stressati e sfiniti da questa interminabile vicenda, come privati ricorrenti, di ritirarci, di uscire dalla causa senza più dare né pretendere nulla e quali sono i passi da mettere in pratica per attuare questa nostra intenzione. Grazie, Cordiali saluti.”
Consulenza legale i 01/03/2016
Il codice di procedura civile all’art. 306 disciplina l’istituto della rinunzia agli atti del giudizio, il quale prevede la facoltà della parte attrice di rinunciare al giudizio senza che ciò comporti rinuncia all’azione. La cosa fa una certa differenza, perché non implica la disposizione del diritto sostanziale sottostante, per cui la domanda può essere successivamente riproposta.

La rinuncia agli atti consiste nell’espressa dichiarazione di volontà, effettuata personalmente dall’attore o a mezzo di procuratore speciale, di voler porre fine al processo; deve essere accettata da tutte le parti costituite che abbiano interesse alla prosecuzione del giudizio e ciò comporta l'estinzione del processo. Si precisa, altresì, che la rinuncia non possa esplicare alcun effetto nel caso in cui contenga condizioni o riserve. Il giudice deve verificare la regolarità dell’atto di rinuncia e della relativa accettazione e può poi dichiarare con ordinanza l’estinzione del processo. La norma in analisi prevede all’ultimo comma che la parte rinunciante debba rimborsare alle altri parti le spese di lite, salvo che le stesse non raggiungano un diverso accordo. Le spese vengono liquidate dal giudice con ordinanza non impugnabile.

In relazione al quesito proposto, i condomini che non hanno più interesse a proseguire la causa possono dunque esercitare la facoltà espressamente riconosciuta all’art. 306 c.p.c. abbandonando la causa, con la contropartita, però, dell’obbligo di rimborso delle spese di lite alle altre parti. Ciò detto vale solo in linea di massima, perché, come detto più sopra, la legge lascia alle parti ampia possibilità di accordarsi diversamente sul punto.

Quando il processo è a più parti, come può esserlo proprio nel caso di più condomini che agiscono in giudizio, occorre indagare se si debba considerare o meno la sussistenza del cosiddetto "litisconsorzio necessario" ai fini dell’esercizio della rinuncia agli atti. Difatti, in caso di litisconsorzio necessario, i litisconsorti devono rinunciare tutti, altrimenti l'atto compiuto da un singolo soggetto risulterà irrilevante; diversamente, in ipotesi di litisconsorzio facoltativo, il processo proseguirà per coloro che non hanno rinunciato, mentre saranno estromessi i soggetti che hanno effettuato la rinuncia.

Sul punto merita di essere menzionata una recente pronuncia delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 25454 del 13 novembre 2013 che ha enunciato il principio che segue: “le azioni a tutela della proprietà e del godimento della cosa comune possono essere promosse anche soltanto da uno dei comproprietari, senza che si renda necessaria l’integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri condomini, quando l’attore non chieda che sia accertata con efficacia di giudicato la posizione degli altri comproprietari e il convenuto in rivendica opponga un diniego volto soltanto a resistere alla domanda, senza svolgere domanda riconvenzionale e, quindi, senza mettere in discussione, con finalità di ampliare il tema del decidere e di ottenere una pronuncia avente efficacia di giudicato, la comproprietà degli altri soggetti”. Anche se si occupa di azioni a difesa della proprietà e del godimento della cosa comune, la pronuncia è assai utile, perché, se il litisconsorzio necessario è da escludersi in tali ipotesi, certamente, a maggior ragione, non può essere considerato sussistente nei casi di inadempimento contrattuale, che è il caso che qui interessa.

Trattandosi di un’azione inerente obbligazioni, il riferimento normativo è nell'art. 1306 c.c., secondo cui “la sentenza pronunziata tra il creditore e uno dei debitori in solido, o tra il debitore e uno dei creditori in solido, non ha effetto contro gli altri debitori o contro gli altri creditori”.

Se, dunque, solo alcuni condomini hanno agito in giudizio senza avere la pretesa che venga accertata anche la situazione degli altri comproprietari, parte di coloro che hanno agito potranno tranquillamente rinunciare agli atti del giudizio, potendo quest’ultimo continuare tra coloro che hanno interesse alla prosecuzione dello stesso.

Paolo S. chiede
lunedì 23/01/2012 - Basilicata
“Qual'è l'effetto della rinuncia sul diritto sostanziale delle parti? Ciò poichè suppongo che con la rinuncia all'azione comunque il diritto scaturente, ad esempio, da una disdetta contrattuale, continua ad esplicare i suoi effetti a prescindere da quella che possa essere la volontà delle parti.
ES:disdetta per fine locazione con racc.a.r., le parti rinunciano all'azione ma intanto la disdetta ha prodotto la fine della locazione per la scadenza contrattualmente fissata.
Saluti da Paolo”
Consulenza legale i 26/01/2012

La rinuncia agli atti di cui all'art. 306 del c.p.c. è una dichiarazione con la quale la parte che ha proposto la domanda rinuncia alla stessa e agli atti successivi. Affinchè questo determini l'estinzione del processo, la rinuncia deve essere accettata da tutte le parti costituite che potrebbero avere interesse alla prosecuzione del processo stesso. Sia la rinuncia che l'accettazione devono essere incondizionate.

Quando la fattispecie è perfezionata l'estinzione opera di diritto e per questo non deve essere appositamente dichiarata dal giudice. Tuttavia, la norma prevede che la parte interessata all'estinzione possa eccepirla prima di ogni difesa. Per questo è concepibile un provvedimento del giudice con il quale egli dichiara l'estinzione del processo e contro di esso sarà sempre possibile proporre impugnazione.

L'estinzione del processo non estingue l'azione: la parte, cioè, potrà riproporre la domanda introducendo un nuovo processo. L'estinzione, comunque, rende inefficaci gli atti del processo, ma non le sentenze di merito in esso pronunciate o quelle che regolano la competenza. Non viene meno il diritto sostanziale sottostante.

Alla rinuncia agli atti si suole contrapporre la rinuncia all'azione, la quale costituisce una vera e propria rinuncia al diritto sostanziale sottostante e non richiede l'accettazione del convenuto, il quale non ha alcun interesse giuridicamente apprezzabile ad opporvisi, poichè ad essa consegue una pronuncia di merito equivalente alla reiezione della domanda.


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