Cassazione civile Sez. II sentenza n. 21707 del 10 ottobre 2006

(3 massime)

(massima n. 1)

Il provvedimento con cui il giudice, nel pronunciare l'estinzione del giudizio, ai sensi dell'art. 306 c.p.c., per rinuncia di una di esse agli atti, liquida le spese del giudizio in caso di mancato accordo delle parti, attesa l'espressa previsione di inoppugnabilità ed il suo carattere decisorio, per la sua attitudine ad incidere su diritti; è ricorribile in cassazione ai sensi dell'art. 111, settimo comma, Cost. Viceversa, il provvedimento con cui il giudice, nel dichiarare l'estinzione, non solo liquida le spese ma provvede su di esse, compensandole o ponendole a carico di una di esse, esorbitando dalla fattispecie prevista dal quarto comma dell'art. 306, non è assoggettabile a detto ricorso ma è impugnabile o con un'apposita actio nullitatis o con l'appello (se emesso in primo grado).

(massima n. 2)

Il terzo e quarto comma dell'art. 306 c.p.c. attribuiscono al giudice la funzione di adottare due distinti provvedimenti, aventi ad oggetto, rispettivamente, la dichiarazione dell'estinzione del giudizio a seguito della rinunzia agli atti formulata da una parte ed accettata dall'altra e la liquidazione delle spese che la prima deve «ex lege» rimborsare alla seconda, salvo diverso accordo tra le parti. Il primo di detti provvedimenti, quando l'organo investito dalla decisione della causa abbia, per l'oggetto del giudizio, struttura monocratica, ha natura sostanziale di sentenza e, come tale, è appellabile anche se emesso in forma di ordinanza; diversamente, conserva la sua natura di ordinanza reclamabile ai sensi dell'art. 308, primo comma, c.p.c., se emanata dal giudice istruttore nelle cause in cui il tribunale giudica in composizione collegiale e, quindi, non può essere altrimenti impugnato se non con quel rimedio espressamente previsto. Il provvedimento di liquidazione delle spese è, invece, dichiarato espressamente inimpugnabile dallo stesso art. 306, quarto comma, secondo periodo, c.p.c., e, quindi, la parte che intenda dolersene può solo proporre ricorso straordinario per cassazione, in virtù dell'art. 111, comma settimo, Cost. .

(massima n. 3)

L'art. 306, quarto comma, secondo periodo, c.p.c. attribuisce al giudice – in conseguenza della dichiarazione di estinzione del giudizio a seguito di rituale rinuncia agli atti dello stesso ed in deroga alla previsione contenuta nell'art. 91, primo comma, del medesimo codice di rito – la sola funzione di «liquidazione» delle spese, non anche quella che è prevista dal primo periodo della stessa disposizione normativa, che contempla la «condanna» al rimborso delle spese, ovvero che individua la parte da considerare soccombente e alla quale farne carico, e neppure gli attribuisce le distinte funzioni previste nel primo e nel secondo comma dell'art. 92 c.p.c., che regolamentano la facoltà, rispettivamente, di ridurre o compensare le spese con valutazione discrezionale dell'utilità delle stesse e del livello della responsabilità del soccombente nel promuovere il giudizio o nel resistervi. In sostanza, l'oggetto della pronunzia sulle spese ex art. 306 c.p.c. è analogo a quello dell'ordinanza di cui all'art. 30 della legge 13 giugno 1942, n. 794, anch'essa dichiarata «ex lege» inimpugnabile e, quindi, solo ricorribile per cassazione ai sensi dell'art. 111, comma settimo, Cost., sempreché con essa il giudice si sia limitato alla «liquidazione» dei diritti e degli onorari pretesi dal professionista ed il giudizio non sia stato, per alcun verso, esteso, in ragione dell'opposizione eventualmente proposta dal cliente, al merito del rapporto.

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