Corte costituzionale sentenza n. 293 del 8 ottobre 2010

(3 massime)

(massima n. 1)

È costituzionalmente illegittimo, per eccesso di delega, l'art. 43 del T.U. n. 327 del 2001 in materia di espropriazione per pubblica utilità, che consente alla P.A. che abbia utilizzato per scopi di interesse pubblico un bene immobile in assenza di un valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità, di disporne l'acquisizione al suo patrimonio indisponibile, con l'obbligo di risarcire i danni al proprietario.

(massima n. 2)

È incostituzionale, in reazione all'art. 76 Cost. (con assorbimento delle questioni ulteriori), l'art. 43 del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 per violazione dei principi e criteri direttivi stabiliti con legge delega di mero riordino n. 50 del 1999, a sua volta collegata alla legge 15 marzo 1997 n. 59 (che aveva previsto un generale strumento permanente di semplificazione e di delegificazione). La norma censurata ha ad oggetto la disciplina dell'utilizzazione senza titolo di un bene per scopi di interesse pubblico e consente all'autorità che abbia utilizzato a detti fini un bene immobile in assenza di un valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità, di disporne l'acquisizione al suo patrimonio indisponibile, con l'obbligo di risarcire i danni al proprietario (c.d. «acquisizione sanante»); la disposizione regola, inoltre, tempo e contenuto dell'atto di acquisizione, l'impugnazione del medesimo, la facoltà della pubblica amministrazione di chiedere che il giudice amministrativo «disponga la condanna al risarcimento del danno, con esclusione della restituzione del bene senza limiti di tempo», fissando i criteri per la quantificazione del risarcimento del danno; anche la disciplina inerente all'acquisizione del diritto di servitù, di cui al comma 6-bis, appare strettamente ed inscindibilmente connessa con gli altri commi censurati, sia per espresso rinvio alle norme fatte oggetto di censura, sia perché ne presuppone l'applicazione e ne disciplina ulteriori sviluppi applicativi. Orbene, la legge-delega aveva conferito, sul punto, al legislatore delegato il potere di provvedere soltanto ad un coordinamento «formale» relativo a disposizioni «vigenti»; viceversa, l'istituto previsto e disciplinato dalla norma impugnata è connotato da numerosi aspetti di novità, rispetto sia alla disciplina espropriativa oggetto delle disposizioni espressamente contemplate dalla legge-delega 15 marzo 1997, n. 59, sia agli istituti di matrice prevalentemente giurisprudenziale. Alla stregua dei rilievi svolti, va dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'intero art. 43 del D.P.R. n. 327 del 2001, poiché la disciplina inerente all'acquisizione del diritto di servitù, di cui al comma 6-bis, appare strettamente ed inscindibilmente connessa con gli altri commi, sia per espresso rinvio alle norme fatte oggetto di censura, sia perché ne presuppone l'applicazione e ne disciplina ulteriori sviluppi applicativi. In tema di legislazione su delega, v. citate sentenze n. 340/2007 e n. 68/1991. Sulla illegittimità costituzionale di disposizioni strettamente ed inscindibilmente connesse ad altre espressamente censurate, v. citata sentenza n. 18/ 2009.

(massima n. 3)

In relazione alla questione di legittimità costituzionale dell'art. 43 del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, va disattesa l'eccepita inammissibilità per difetto di rilevanza delle questioni per inapplicabilità "ratione temporis" della disposizione denunciata. Infatti, sussistendo sul punto un contrasto tra Corte di Cassazione e Consiglio di Stato circa l'applicabilità del citato art. 43 alle occupazioni appropriative verificatesi prima del 30 giugno 2003, data di entrata in vigore del D.P.R. n. 327 del 2001, le ordinanze di rimessione hanno motivato in maniera non implausibile in ordine all'applicabilità della norma, richiamando la giurisprudenza assolutamente prevalente ed il «diritto vivente» del Consiglio di Stato.

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