Consiglio di Stato Sez. Ad. Plen. sentenza n. 2 del 29 aprile 2005

(7 massime)

(massima n. 1)

L'istituto dell'acquisizione c.d. sanante di cui all'art. 43, commi 1 e 2, del D.P.R. n. 327 del 2001 rispetta i parametri imposti dalla Corte europea dei diritti dell'uomo e dai principi costituzionali, perché: a) l'acquisto del bene avviene in virtù di un provvedimento previsto dalla legge e, soprattutto, con efficacia "ex nunc", sicché sono rispettate le esigenze di chiarezza dell'ordinamento e di preminenza del diritto; b) il provvedimento è sindacabile e l'esercizio della discrezionalità è circondato da particolari cautele di cui va verificato il rispetto in sede giurisdizionale; c) è in ogni caso assicurato il risarcimento del danno; d) in assenza dì provvedimento, la restituzione dell'area non può essere impedita, se non per scelta autonoma del privato che vi rinunci. Non trattandosi di stabilire quale è la normativa che disciplina una procedura espropriativa in itinere, ma solo di decidere - dopo l'annullamento passato in giudicato della precedente procedura - quale sorte vada riservata alla res "modificata" dall'Amministrazione e restata senza titolo nelle mani di quest'ultima dopo l'annullamento degli atti della procedura anzidetta, in sede di giudizio di ottemperanza non può non trovare applicazione la disposizione dell'art. 43 del D.P.R. n. 327 del 2001, che, in caso di apprensione e modifica di "res sine titulo" o con titolo annullato, consente la possibilità di neutralizzare la domanda di restituzione del bene solo con l'adozione di un atto formale preordinato all'acquisizione del bene medesimo (con corresponsione di quanto spettante a titolo risarcitorio) ovvero con la speciale domanda giudiziale formulata, nel giudizio di cui è parola, ai sensi dello stesso art. 43 (fattispecie concernente procedura espropriativa interamente svoltasi sotto la vigenza della disciplina anteriore al D.P.R. n. 327 del 2001).

(massima n. 2)

In caso di illegittimità della procedura espropriativa e di realizzazione dell'opera pubblica, l'unico rimedio riconosciuto dall'ordinamento alla P.A. per evitare la restituzione dell'area è l'emanazione di un legittimo provvedimento di acquisizione c.d. "sanante" ex art. 43 T.U. sulle espropriazioni per p.u. approvato con D.P.R. n. 327 del 2001 e con il riconoscimento al privato del ristoro del danno, in assenza del quale l'amministrazione non può addurre l'intervenuta realizzazione dell'opera pubblica quale causa di impossibilità oggettiva e quindi come impedimento alla restituzione.

(massima n. 3)

Nel caso di annullamento in sede giurisdizionale degli atti inerenti alla procedura di espropriazione per pubblica utilità (dichiarazione di pubblica utilità e occupazione di urgenza), il proprietario dell'area può chiedere, mediante il giudizio di ottemperanza, la restituzione del bene invece che il risarcimento del danno per equivalente monetario, anche se l'area è stata irreversibilmente trasformata a seguito della realizzazione dell'opera pubblica; conformemente alla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, deve ritenersi che la realizzazione dell'opera pubblica non costituisce impedimento alla restituzione dell'area illegittimamente espropriata e ciò indipendentemente dalle modalità di acquisizione del terreno (occupazione appropriativa od usurpativa), che in tale ottica non assumono più rilevanza.

(massima n. 4)

Una domanda di restituzione del bene e riduzione in pristino, conseguente all'annullamento della dichiarazione di pubblica utilità e dei successivi atti della procedura espropriativa, costituisce una pretesa restitutoria, che non può essere preclusa da considerazioni fondate sull'eccessiva onerosità (art. 2058 c.c.) o sul pregiudizio derivante all'economia nazionale dalla distruzione della cosa (art. 2933 c.c.). La restituzione dell'area può essere preclusa solo dalla rinuncia, anche implicita della parte o dall'impossibilità oggettiva, che non è integrata dalla sola realizzazione dell'opera in assenza di un formale (e legittimo) provvedimento di acquisizione dell'area ai sensi dell'art. 43 T.U. espropriazioni.

(massima n. 5)

Il proprietario del fondo illegittimamente occupato dalla P.A., in esito alla declaratoria di illegittimità dell'occupazione e all'annullamento dei relativi provvedimenti, può legittimamente domandare nel giudizio di ottemperanza la restituzione del fondo e la sua riduzione in pristino.

(massima n. 6)

La realizzazione dell'opera pubblica non fa venir meno l'obbligo per l'Amministrazione di restituire al privato il bene illegittimamente espropriato, prevalendo infatti, ove possibile in fatto e richiesta dalla parte, la tutela in forma specifica su quella risarcitoria.

(massima n. 7)

L'art. 57 D.Lgs. 327/01 (come modificato dall'art. 5 L. 166/02), il quale esclude l'applicabilità dell'art. 43 T.U. espropriazione alle procedure nelle quali risulti intervenuta la dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità e urgenza prima dell'entrata in vigore del D.P.R. 327/01, non trova applicazione nella diversa ipotesi in cui gli atti della procedura espropriativa siano stati annullati con sentenza passata in giudicato, e le parti controvertano unicamente sull'obbligo di restituzione del fondo.

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