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Articolo 182 Legge fallimentare

(R.D. 16 marzo 1942, n. 267)

[Aggiornato al 01/01/2023]

Provvedimenti in caso di cessione di beni

Dispositivo dell'art. 182 Legge fallimentare

Se il concordato consiste nella cessione dei beni e non dispone diversamente, il tribunale nomina nel decreto di omologazione uno o più liquidatori e un comitato di tre o cinque creditori per assistere alla liquidazione e determina le altre modalità della liquidazione. In tal caso, il tribunale dispone che il liquidatore effettui la pubblicità prevista dall'articolo 490, primo comma, del codice di procedura civile e fissa il termine entro cui la stessa deve essere eseguita.

Si applicano ai liquidatori gli articoli 28, 29, 37, 38, 39 e 116 in quanto compatibili.

Si applicano al comitato dei creditori gli articoli 40 e 41 in quanto compatibili. Alla sostituzione dei membri del comitato provvede in ogni caso il tribunale.

Le vendite di aziende e rami di aziende, beni immobili e altri beni iscritti in pubblici registri, nonché le cessioni di attività e passività dell'azienda e di beni o rapporti giuridici individuali in blocco devono essere autorizzate dal comitato dei creditori.

Alle vendite, alle cessioni e ai trasferimenti legalmente posti in essere dopo il deposito della domanda di concordato o in esecuzione di questo, si applicano gli articoli da 105 a 108 ter in quanto compatibili. La cancellazione delle iscrizioni relative ai diritti di prelazione, nonché delle trascrizioni dei pignoramenti e dei sequestri conservativi e di ogni altro vincolo, sono effettuati su ordine del giudice, salvo diversa disposizione contenuta nel decreto di omologazione per gli atti a questa successivi.

Si applica l'articolo 33, quinto comma, primo, secondo e terzo periodo, sostituendo al curatore il liquidatore, che provvede con periodicità semestrale dalla nomina. Conclusa l'esecuzione del concordato preventivo con cessione dei beni, il liquidatore deposita un rapporto riepilogativo finale redatto in conformità a quanto previsto dall'articolo 33, quinto comma. Il liquidatore comunica a mezzo di posta elettronica certificata altra copia dei rapporti al commissario giudiziale, che a sua volta li comunica ai creditori a norma dell'articolo 171, secondo comma(1).

Note

(1) Comma modificato dal D. Lgs. 10 ottobre 2022, n. 149. Il D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, come modificato dalla L. 29 dicembre 2022, n. 197, ha disposto (con l'art. 35, comma 1) che "Le disposizioni del presente decreto, salvo che non sia diversamente disposto, hanno effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data. Ai procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023 si applicano le disposizioni anteriormente vigenti".

Ratio Legis

Il concordato con cessione dei beni è quello più frequente nella prassi, quindi il legislatore gli ha dedicato un intero articolo.

Rel. ill. riforma fall. 2007

(Relazione Illustrativa al decreto legislativo 12 Settembre 2007, n. 169)

16 L’articolo 16 del decreto legislativo reca disposizioni correttive del Titolo III, Capo V della legge fallimentare.
Con l’inserimento – ad opera del comma 3 – di quattro nuovi commi nell’articolo 182, si viene a dettare una più completa e razionale disciplina della liquidazione dei beni ceduti ai creditori col concordato, garantendo che le operazioni liquidatorie si svolgano correttamente ed efficacemente nell’interesse dei creditori. In particolare, l’ampliamento dell’uso degli strumenti negoziali e la maggiore scioltezza che caratterizzano la nuova disciplina della liquidazione dell’attivo nel fallimento inducono ad estendere tale disciplina alla fase liquidatoria del concordato preventivo, la quale allo stato è rimessa alla discrezionalità del liquidatore ed alle “modalità” non meglio individuate che dovrebbero essere stabilite dal tribunale ai sensi del primo comma dell’art. 182. L’ampliamento dei poteri autorizzatori del comitato dei creditori è in sintonia col nuovo regime degli organi del fallimento, a maggior tutela del ceto creditorio.

Massime relative all'art. 182 Legge fallimentare

Cass. civ. n. 17606/2015

In caso di concordato preventivo con cessione dei beni ai creditori, il liquidatore ha legittimazione processuale nelle sole controversie relative a questioni liquidatorie e distributive, e non anche in quelle di accertamento delle ragioni di credito e pagamento dei relativi debiti, ancorchè influenti sul riparto che segue le operazioni di liquidazione, atteso che, in queste ultime può, ove esperite nei confronti del debitore cedente, spiegare intervento senza essere litisconsorte necessario.

Cass. civ. n. 1237/2013

In tema di concordato preventivo con cessione dei beni, o ad esso assimilabile, la nomina a liquidatore della persona già in carica come commissario giudiziale collide con il requisito, di cui al combinato disposto degli art. 182, secondo comma, e 28, secondo comma, legge fall. (nel testo, applicabile "ratione temporis" e risultante dalle modifiche apportate dal d.lgs. 12 settembre 2009, n. 167), che il liquidatore sia immune da conflitto di interessi, anche potenziale, ipotesi, invece, configurabile laddove nella sua persona si cumulino la funzione gestoria con quella di sorveglianza dell'adempimento del concordato, di cui all'art. 185, primo comma, della legge fall.

Cass. civ. n. 1345/2011

In tema di concordato preventivo, ai sensi dell'art. 182 legge fall., nel testo applicabile "ratione temporis", vigente anteriormente alle modifiche di cui al d.l.vo n. 169 del 2007, è precluso al tribunale nella sentenza di omologazione nominare un liquidatore giudiziale ovvero fissare ulteriori modalità esecutive (prevedendo, per esempio, la necessità della preventiva autorizzazione del giudice delegato per gli atti di straordinaria amministrazione ovvero la nomina, da parte di questi, di coadiutori, professionisti o difensori), qualora nella proposta di concordato si specifichi che il piano di liquidazione debba essere predisposto ed attuato dall'amministratore giudiziario-liquidatore, cui viene conferito il più ampio potere discrezionale sulle modalità esecutive.

Cass. civ. n. 19506/2008

È assoggettabile a ricorso per cassazione, a norma dell'art. 111, comma 7, Cost., il provvedimento con cui il tribunale accolga (o rigetti ) il reclamo proposto contro un decreto emesso dal giudice delegato in tema di vendita dei beni del debitore, nella fase esecutiva di un concordato preventivo per cessione dei beni omologato dal medesimo tribunale dovendosi estendere sulla base di un'interpretazione sistematica dell'ordinamento, imposta dalla necessità di rispettare il principio di uguaglianza il regime di ricorribilità applicabile, a norma degli artt. 617 e 618 c.p.c., per i provvedimenti del giudice dell'esecuzione non altrimenti impugnabili. Infatti, i suddetti provvedimenti del giudice delegato rientrano nel novero degli atti di giurisdizione esecutiva, assolvendo ad una funzione corrispondente a quella dei provvedimenti di analogo tenore emessi nell'ambito della liquidazione fallimentare.

Cass. civ. n. 16598/2008

Una volta esauritasi, con la sentenza di omologazione, la procedura di concordato preventivo, tutte le questioni che hanno ad oggetto diritti pretesi da singoli creditori o dal debitore e che attengono all'esecuzione del concordato, danno luogo a controversie che sono del tutto sottratte al potere decisionale del giudice delegato e costituiscono materia di un ordinario giudizio di cognizione, da promuoversi, da parte del creditore o di ogni altro interessato, dinanzi al giudice competente ; ne deriva l'inammissibilità del ricorso per cassazione ex art. 111 Cost. avverso il decreto con cui il tribunale, in sede di reclamo, abbia confermato il decreto del giudice delegato che ha rigettato la domanda di restituzione delle somme accantonate in favore dei creditori irreperibili, proposta dalla società debitrice sull'assunto dell'avvenuta prescrizione dei crediti, trattandosi di atto giudiziale esecutivo di funzioni di mera sorveglianza e controllo, privo dei connotati della decisorietà e della definitività.

Cass. civ. n. 9178/2008

In tema di liquidazione del compenso al commissario liquidatore nominato nel concordato preventivo con cessione dei beni ai creditori, in mancanza di una specifica disciplina normativa ex art. 182 legge fall. — nel testo vigente ratione temporis — trovano applicazione le norme di cui al D.M. 28 luglio 1992, n. 570, che determinano i compensi del curatore del fallimento, alle cui funzioni ed attribuzioni sono equiparabili quelle del predetto liquidatore, in rapporto al dato della liquidazione dell'attivo (che costituisce suo compito essenziale) e sempre che l'attività abbia portato a risultati utili, con esclusione del compenso supplementare sull'ammontare del passivo (la cui formazione è estranea ai compiti del liquidatore); ne consegue che, in caso di omessa alienazione dei beni, non trova applicazione l'art. 5 del citato D.M. (previsto con riguardo alle diverse funzioni del commissario giudiziale e commisurante il relativo compenso in base all'attivo ed al passivo risultanti dall'inventario), bensì gli artt. 1 e 2 del medesimo D.M. che commisurano i compensi ad una percentuale sull'attivo realizzato mentre, in difetto di risultati utili, il compenso è fissato nel minimo legale.(Nel confermare il decreto di liquidazione del tribunale, la S.C. ha espresso il principio per il caso di concordato con vendite deserte, risolto ai sensi dell'art. 186 legge fall. e convertito in fallimento).

Cass. civ. n. 9864/2006

In tema di concordato preventivo con cessione dei beni ai creditori, nel caso di nomina congiunta a liquidatori di una pluralità di dottori commercialisti o ragionieri e periti commerciali, la legittima disapplicazione, da parte del giudice del merito — per il loro contrasto con l'art. 3 Cost., sotto il profilo della palese sperequazione rispetto alla disciplina del compenso del curatore fallimentare — delle disposizioni regolamentari di cui all'art. 30 del D.P.R. 10 ottobre 1994, n. 645 e 30 del D.P.R. 6 marzo 1997, n. 100 (che disciplinano gli onorari e le indennità dei predetti professionisti per la liquidazione dei beni ceduti ai creditori), non comporta anche quella dell'art. 11 dei citati decreti presidenziali, che regola l'ipotesi di incarico affidato a più professionisti riuniti in collegio, stabilendo, in particolare — per il caso in cui si tratti (come nella specie) di collegio non obbligatorio — che il compenso globale è quello dovuto al singolo professionista, con l'aumento del quaranta per cento per ciascun membro del collegio. Esclusa, infatti, la possibilità di far capo al principio di unitarietà del compenso, desumibile dalla previsione dettata in relazione al curatore dall'art. 2, comma primo, del D.M. 28 luglio 1992, n. 570, non vertendosi nell'ipotesi di attività diversificata e frazionata nel tempo per effetto di una successione di nomine, ma di nomina plurima e contestuale, la norma regolativa della fattispecie neppure può essere rinvenuta nell'art. 53 del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (recante il testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia) — il quale stabilisce, con riferimento agli ausiliari del giudice, che quando l'incarico è conferito ad un collegio il compenso globale è determinato sulla base di quello spettante al singolo, aumentato del quaranta per cento, non per ciascuno dei membri del collegio, ma solo per ciascuno dei membri eccedenti il primo —, posto che il liquidatore non è ausiliare del giudice e manca altresì il presupposto per una applicazione analogica della norma, costituito dall'inesistenza di disposizioni disciplinanti la fattispecie.

Cass. civ. n. 3156/2006

Nel caso in cui al concordato preventivo faccia seguito il fallimento, le funzioni di commissario giudiziale e quelle di curatore fallimentare, anche se affidate alla stessa persona, non si sovrappongono, ma si cumulano, con la conseguenza che anche i relativi compensi vanno liquidati distintamente: diverse sono infatti le attività cui sono tenuti rispettivamente i due organi, così come diversi sono i criteri di liquidazione del compenso, i quali, nel concordato preventivo, non fanno necessariamente riferimento all'attivo realizzato, potendosi anche prescindere dalla liquidazione dei beni del debitore, che costituisce invece un adempimento necessario del curatore fallimentare. Non può trovare quindi applicazione, in riferimento allo svolgimento di entrambe le funzioni, il principio di unitarietà delle procedure concorsuali succedutesi senza soluzione di continuità, il quale non rappresenta un autonomo criterio normativo, destinato a risolvere tutti i problemi di successione tra le due procedure, ma un enunciato meramente descrittivo di soluzioni regolative aventi specifiche e distinte fonti normative.

Cass. civ. n. 16987/2004

In tema di concordato preventivo, al commissario liquidatore non possono riconoscersi i compensi aggiuntivi previsti dall'art. 5 comma secondo del D.M. n. 570 del 1992 per l'attività di controllo della liquidazione (nel concordato con cessione dei beni) ovvero di adempimento del concordato (in quello con garanzia, o misto), sicchè al predetto organo, previa disapplicazione della norma in parola (per violazione dell'art. 3 della Carta fondamentale), va riconosciuto un unico compenso relativo all'intera durata della procedura e commisurato ai parametri stabiliti dal medesimo art. 5, primo comma, del citato D.M. 570/1992.

Cass. civ. n. 226/1999

In caso di concordato preventivo con cessione dei beni ai creditori, la chiusura del procedimento concorsuale segna per l'imprenditore ammesso al concordato la definitiva perdita di tutti i diritti sui beni stessi, con la conseguente sua carenza di legittimazione passiva nel procedimento di impugnazione della sentenza resa antecedentemente alla data della chiusura stessa e nei riguardi del liquidatore, cui spetta, per converso, l'esercizio di tutte le azioni, e, quindi, anche della legittimazione passiva nel ricorso per revocazione di sentenza emessa in relazione ad una controversia concernente la riscossione di crediti compresi nel patrimonio ceduto, ancorché prima della proposizione del ricorso il concordato abbia avuto completa esecuzione.

Cass. civ. n. 9030/1995

I provvedimenti di nomina degli organi della procedura concorsuale, ancorché contenuti in una sentenza o altro provvedimento di carattere decisorio, conservano natura ordinatoria e amministrativa e, in quanto privi di qualsiasi portata decisoria su diritti soggettivi, non sono suscettibili di alcuna impugnazione, e nemmeno di ricorso per cassazione ex art. 111 Cost., ma possono solo essere revocati di ufficio dal tribunale, su proposta del giudice delegato o su richiesta del comitato dei creditori, al quale ciascun interessato può segnalare le ragioni di legittimità o di mera opportunità che possano giustificare la revoca. Ne consegue che, sino a quando nella procedura di concordato preventivo non sia disposta la revoca del liquidatore, nominato nella stessa persona del commissario giudiziale, non può essere ritenuto illegittimo il cumulo di entrambe le funzioni al solo fine di negare la legittimazione attiva del commissario liquidatore in un procedimento da lui promosso nello svolgimento della procedura di liquidazione dei beni ceduti dall'imprenditore concordatario.

Cass. civ. n. 6560/1994

Al giudice delegato al concordato con cessione di beni, il quale provveda, in virtù di attribuzioni di potere contenute nella sentenza di omologazione oppure su richiesta del liquidatore, alla vendita di un bene, compete il potere di disporre la sospensione della stessa, ai sensi dell'art. 108, comma 3, L. fall., anche dopo l'aggiudicazione e fino a quando non venga emesso il decreto di trasferimento di cui all'art. 586 c.p.c. ed ancorché l'aggiudicatario abbia effettuato il versamento del prezzo, allorché, sulla base di una offerta in aumento, anche inferiore al sesto, o di altre circostanze, si convinca che il prezzo offerto è notevolmente inferiore a quello giusto.

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relative all'articolo 182 Legge fallimentare

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Anonimo chiede
lunedì 24/04/2017 - Toscana
“Sono il legale rappresentante di due SpA consociate in stato di crisi (delle quali unitamente alla mia famiglia possiedo il totale del pacchetto azionario) per le quali è stata presentata nel luglio 2013 domanda di Concordato Preventivo liquidatorio omologato alla fine dello stesso anno. Il debito complessivo delle società risulta nell'ordine di 10 milioni di Euro contro un valore immobiliare periziato in Euro 13,5 milioni. E' stato nominato dal Tribunale, oltre a due Commissari, il liquidatore giudiziario, così come previsto dalla procedura, mentre nessuna menzione è stata descritta in ordine al ruolo che personalmente rappresento in seno alla procedura come legale rappresentante delle società (ora ricomposte in un'unica SrL), e come liquidatore ordinario ai cui compiti sono chiamato ad assolvere. In tal senso, essendomi spogliato di ogni mio avere in favore della procedura e rappresentando come mia unica fonte di reddito una pensione di Euro 1.150 formulo la domanda se, pur non essendo stato determinato nella procedura di alcun compenso per le funzioni da me svolte, abbia diritto ovvero possa giustificatamente (considerata la mia descritta posizione finanziaria) chiederne la corresponsione a far data dall'omologa del Concordato Nel caso a quali organi della procedura debba formalizzare la mia richiesta.
Sempre in ordine al predetto Concordato Preventivo evidenzio come nei giorni precedenti alla presentazione della domanda, per necessita impellenti e non procrastinabili, versai personalmente nelle casse della Società Euro 250.000,00 quale prestito temporaneo. Nella riunione davanti al Giudice delegato per la determinazione dei debiti/crediti delle Società, l'importo di cui sopra fu catalogato come credito postergato assimilato a finanziamento, ritengo erroneamente trattandosi di un versamento a titolo di prestito, perdipiù effettuato da un singolo socio azionista.
Chiedo a questo proposito se vi sia possibilità di effettuare un ricorso e avanti a chi, per la ricollocazione di tale mio credito, quanto meno come credito chirografario.”
Consulenza legale i 02/05/2017
Per quel che riguarda la prima questione, va in primo luogo chiarito che il liquidatore giudiziale ed il liquidatore sociale non svolgono lo stesso ruolo, benché talvolta possano coesistere nella stessa persona.

Il liquidatore sociale, infatti, viene nominato dalla società stessa (di norma prima del deposito della domanda di concordato) ed è organo interno a quest’ultima, mentre il liquidatore giudiziale viene nominato dal Giudice ed è soggetto del tutto estraneo alla compagine sociale.

Com’è noto, il liquidatore della società è – in estrema sintesi - il soggetto che, in presenza di una causa di scioglimento della società stessa, viene incaricato di procedere alla liquidazione del patrimonio sociale, sostituendosi, a tali fini, all'organo amministrativo in carica ed assumendo la rappresentanza della società.

Il liquidatore concordatario è invece definito solo in modo schematico dalla legge fallimentare, essenzialmente mediante la norma di cui all’art. 182 L. Fall. e tramite i richiami in essa contenuti; l’articolo in questione, unicamente per l'ipotesi del concordato con cessione dei beni, prevede che: "Se il concordato consiste nella cessione dei beni e non dispone diversamente, il tribunale nomina nel decreto di omologazione uno o più liquidatori e un comitato di tre o cinque creditori per assistere alla liquidazione e determina le altre modalità della liquidazione”.
Egli ha un ruolo importante, essenzialmente operativo, essendo deputato ad attuare le previsioni del concordato e le aspettative dei creditori che, fino all’omologazione, rimangono sulla carta.
Egli non assume, però, in alcun modo i compiti assegnati dal codice civile ai liquidatori della società, né la rappresentanza della società stessa.
La prova sta nel fatto che l’art. 182, 2° co., L. Fall., tra le disposizioni della legge fallimentare dichiarate applicabili ai liquidatori, non richiama né l’art. 31 L. Fall. (norma che attribuisce al curatore l’amministrazione del patrimonio fallimentare), né l’art. 35 L. Fall. (che attribuisce al predetto curatore la facoltà di compiere anche atti di straordinaria amministrazione, con l’autorizzazione del comitato dei creditori).

La giurisprudenza, poi, nell’affrontare il problema dell’eventuale designazione, quale liquidatore concordatario, dello stesso imprenditore ammesso al concordato e/o dei legali rappresentanti dello stesso in caso di società, opta per la soluzione negativa.
L’illegittimità di una tale nomina e comunque l’inopportunità della medesima, è stata motivata, sia dalla giurisprudenza di legittimità che di merito, sulla base del fatto che: ““l’affidamento della liquidazione dei beni ceduti alla stessa società debitrice (in persona dei suoi legali rappresentanti) non è conforme a legge (cfr. artt. 1977, 1079, 1980, 1983 c.c.), c.c., anche alla luce c.c. del nuovo art. 182 l. fall. (che espressamente richiama per i liquidatore l’art. 28 l. fall.): la cessio bonorum comporta necessariamente la perdita per il debitore del potere di amministrare e disporre dei beni ceduti (art. 1979, 1980 c.c.) sicché alla liquidazione non può provvedere lo stesso debitore, venendo diversamente meno un effetto essenziale della cessione (Tribunale Roma 23 luglio 2010) ed ancora “In tema di concordato preventivo con cessione dei beni, il potere di provvedere alla liquidazione tramite la cessione dei beni della società concordataria è attribuito dalla legge, in modo esclusivo, al liquidatore, mentre tale attività non può essere svolta in modo sostitutivo o parallelo dal debitore concordatario, come si desume dalle disposizioni degli art. 37, 38, 39 e 116 legge fall., richiamati nell'art. 182, comma 2, legge fall., nel testo risultante a seguito delle modifiche di cui all’art. 16 d.lg. 12 settembre 2007 n. 169, le quali, ponendo obblighi e responsabilità in capo al liquidatore, escludono che altri soggetti siano autorizzati ad operare, intervenire o interferire nella liquidazione” (Cass. Civ., I,15/07/2011,n. 15699).

Ciò detto, il liquidatore nominato dalla società ha senz’altro diritto al compenso per il suo incarico, ma il termine per far valere il suo credito all’interno della procedura concordataria è soggetto a limiti temporali ben precisi.
La disciplina del concordato preventivo, infatti, non prevede un procedimento di verifica dei crediti come è invece stabilito per il fallimento (accertamento dello stato passivo ed eventuali giudizi di opposizione). L'accertamento dei crediti è quindi il risultato di una serie di scelte prese dai soggetti coinvolti nel concordato (creditori, commissario giudiziale, adunanza dei creditori, Giudice delegato, liquidatore giudiziale, Tribunale) durante l'iter di svolgimento della procedura concordataria.

Il creditore, in particolare, qualora non abbia fatto valere il proprio credito al momento dell’apertura della procedura, potrà e dovrà farlo nel corso dell’adunanza dei creditori: “Nell'adunanza dei creditori il commissario giudiziale illustra la sua relazione e le proposte definitive del debitore e quelle eventualmente presentate dai creditori ai sensi dell'articolo 163, comma quarto.
Ciascun creditore può esporre le ragioni per le quali non ritiene ammissibili o convenienti le proposte di concordato e sollevare contestazioni sui crediti concorrenti. Il debitore può esporre le ragioni per le quali non ritiene ammissibili o fattibili le eventuali proposte concorrenti. (…).
Il debitore ha facoltà di rispondere e contestare a sua volta i crediti, e ha il dovere di fornire al giudice gli opportuni chiarimenti.
Sono sottoposte alla votazione dei creditori tutte le proposte presentate dal debitore e dai creditori, seguendo, per queste ultime, l'ordine temporale del loro deposito.” (art. 175 l.f.)
Il creditore insoddisfatto dovrebbe quindi partecipare a detta adunanza, far valere le proprie ragioni e, nel caso in cui non vengano accolte, votare contro la proposta di concordato.

L’art. 176 L. Fall. stabilisce poi che “Il giudice delegato può ammettere provvisoriamente in tutto o in parte i crediti contestati ai soli fini del voto e del calcolo delle maggioranze, senza che ciò pregiudichi le pronunzie definitive sulla sussistenza dei crediti stessi.
I creditori esclusi possono opporsi alla esclusione in sede di omologazione del concordato nel caso in cui la loro ammissione avrebbe avuto influenza sulla formazione delle maggioranze.”
Pertanto, una volta intervenuta l’omologazione del concordato, tutte le questioni concernenti la sussistenza, l'entità e il rango dei crediti vengono sottratte al potere decisionale del Giudice delegato e devono pertanto costituire materia di un ordinario giudizio di cognizione (Cass. civ. n. 16598 del 18/6/2008, Trib. Roma, 11/1/2013): quindi il creditore escluso e/o pretermesso in sede di votazione può agire con separato, ordinario procedimento davanti al giudice competente per l’accertamento del credito, non essendo precluso dal passaggio in giudicato della sentenza di omologazione.
Ovviamente, per ragioni di opportunità, il giudizio dovrà essere promosso il prima possibile, altrimenti, se fosse promosso successivamente alla chiusura della procedura di concordato, potrebbe essere difficile ottenere dal debitore tutto quanto riconosciuto dal Giudice ordinario.

Per rispondere, dunque, alla prima domanda posta nel quesito, bisognerebbe sapere a che punto è la procedura in questione: parrebbe certo che l’omologazione non sia ancora intervenuta, ma non pare altrettanto certo che si sia svolta l’adunanza dei creditori. Se così fosse, è opportuno prendere contatto quanto prima con il commissario giudiziale.
E’ quest’ultimo, infatti, che in base all’art. 171 l. fall., sulla base dell'elenco dei creditori (che il debitore ha l'onere di depositare unitamente al ricorso contenente la domanda per l'ammissione al concordato), procede all'esame delle varie ragioni creditorie sulla scorta delle scritture contabili, apportando le necessarie “rettifiche”.
Quello del commissario è quindi un riscontro volto esclusivamente allo scopo di stabilire, in via di prima approssimazione, quali dei creditori abbiano diritto di partecipare alla deliberazione di concordato.

Dopo questo primo controllo iniziale, un altro più completo ed esauriente viene svolto – come detto poc’anzi - all'adunanza prevista dagli artt. 174 e ss. l. fall. per la deliberazione sulla proposta di concordato, nel corso della quale il giudice delegato procede, alla presenza del commissario, dei creditori concorrenti e del debitore, all'accertamento della sussistenza e della natura dei crediti ai fini del voto e del calcolo della maggioranza.
Si consiglia, dunque, di inviare al Commissario quanto prima una comunicazione (ad esempio via p.e.c.) contenente la precisazione del proprio credito e la documentazione giustificativa.

Per quanto riguarda, infine, la seconda questione, è quasi certo che sia stato applicato, nella fattispecie, l’art. 2467 cod. civ., secondo il quale: “Il rimborso dei finanziamenti dei soci a favore della società è postergato rispetto alla soddisfazione degli altri creditori e, se avvenuto nell'anno precedente la dichiarazione di fallimento della società, deve essere restituito.
Ai fini del precedente comma s'intendono finanziamenti dei soci a favore della società quelli, in qualsiasi forma effettuati, che sono stati concessi in un momento in cui, anche in considerazione del tipo di attività esercitata dalla società, risulta un eccessivo squilibrio dell'indebitamento rispetto al patrimonio netto oppure in una situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento”.

L’erogazione di somme a vario titolo che i soci effettuano a favore delle società da loro partecipate può avvenire a titolo di mutuo – con il conseguente obbligo di restituzione a carico della società ad una certa scadenza – oppure a titolo di versamento in conto capitale, il che non dà luogo ad un credito esigibile (se non in un determinato momento ed a certi presupposti).
Al di là delle definizioni “tecniche” dell’espressione “squilibrio dell’indebitamento”, si può dire che quest’ultima condizione è integrata quando l’indebitamento è tale da porre la società a rischio di insolvenza e quindi è irragionevole il prestito quando la società non sarebbe in grado di rimborsare il debito senza porre a rischio il pagamento degli altri creditori.
La postergazione del credito del socio finanziatore rispetto a quelli degli altri creditori sociali non si applica invece mai quando i finanziamenti sono concessi in condizioni fisiologiche della società ed opera sempre in fase di liquidazione o concorsuale.

L’onere della prova della natura del finanziamento e del diritto alla restituzione grava sul socio.

Tornando al caso in esame, pare proprio che sussistano tutti i presupposti normativi per la postergazione: pertanto, si ritiene fortemente sconsigliabile proporre ricorso.
Quest’ultimo, in ogni caso, dovrebbe eventualmente essere proposto a titolo di opposizione nell’ambito del giudizio di omologazione disciplinato dall’art. 180 l.f., avanti al Giudice Delegato, con atto da depositare entro dieci giorni prima dell’udienza fissata dal Giudice per l’omologa: “Se il concordato è stato approvato a norma del primo comma dell' articolo 177, il giudice delegato riferisce al tribunale il quale fissa un'udienza in camera di consiglio per la comparizione delle parti e del commissario giudiziale, disponendo che il provvedimento venga pubblicato a norma dell' articolo 17 e notificato, a cura del debitore, al commissario giudiziale e agli eventuali creditori dissenzienti.
Il debitore, il commissario giudiziale, gli eventuali creditori dissenzienti e qualsiasi interessato devono costituirsi almeno dieci giorni prima dell'udienza fissata. Nel medesimo termine il commissario giudiziale deve depositare il proprio motivato parere.
Se non sono proposte opposizioni, il tribunale, verificata la regolarità della procedura e l'esito della votazione, omologa il concordato con decreto motivato non soggetto a gravame.
Se sono state proposte opposizioni, il Tribunale assume i mezzi istruttori richiesti dalle parti o disposti di ufficio, anche delegando uno dei componenti del collegio. (…)”.