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Articolo 39 Legge fallimentare

(R.D. 16 marzo 1942, n. 267)

[Aggiornato al 01/01/2023]

Compenso del curatore

Dispositivo dell'art. 39 Legge fallimentare

Il compenso e le spese (1) dovuti al curatore, anche se il fallimento si chiude con concordato, sono liquidati ad istanza del curatore con decreto del tribunale non soggetto a reclamo (2), su relazione del giudice delegato, secondo le norme stabilite con decreto del Ministro della giustizia (3).

La liquidazione del compenso è fatta dopo l'approvazione del rendiconto e, se del caso, dopo l'esecuzione del concordato. È in facoltà del tribunale di accordare al curatore acconti sul compenso per giustificati motivi (4).

Se nell'incarico si sono succeduti più curatori, il compenso è stabilito secondo criteri di proporzionalità ed è liquidato, in ogni caso, al termine della procedura, salvi eventuali acconti. Salvo che non ricorrano giustificati motivi, ogni acconto liquidato dal tribunale deve essere preceduto dalla presentazione di un progetto di ripartizione parziale (5).

Nessun compenso, oltre quello liquidato dal tribunale, può essere preteso dal curatore, nemmeno per rimborso di spese. Le promesse e i pagamenti fatti contro questo divieto sono nulli, ed è sempre ammessa la ripetizione di ciò che è stato pagato, indipendentemente dall'esercizio dell'azione penale (3).

Note

(1) Il compenso va stabilito avendo riguardo ai valori stabiliti dal D.M. 25 gennaio 2012 n. 30.
Le spese rimborsabili sono quelle vive, autorizzate dal giudice delegato e provate con documenti; il curatore ha, inoltre, diritto a un rimborso forfettario da calcolarsi come percentuale sul compenso che gli è stato liquidato.
(2) Ma comunque ricorribile per cassazione ex art. 111 Cost.
(3) Comma così modificato dal d.lgs. 5/2006.
(4) Ad esempio, se venga autorizzata la continuazione dell'attività economica dell'impresa, il curatore, ai sensi del D.M. 30/2012, ha diritto ad una maggiorazione dei suoi compensi.
(5) Comma aggiunto dal d.lgs. 5/2006.

Ratio Legis

Viene sancito il principio dell'onerosità dell'ufficio del curatore, i cui compensi sono stabiliti da un decreto ministeriale.

Massime relative all'art. 39 Legge fallimentare

Cass. civ. n. 13805/2013

La valutazione del tribunale circa la diligenza e la sollecitudine con cui il curatore fallimentare abbia svolto la propria attività può incidere sulla misura del compenso da liquidarsi in suo favore dopo l'approvazione del conto della gestione, giustificandone la quantificazione tra l'importo minimo e massimo, ma non anche sulla spettanza stessa di qualsivoglia compenso per l'opera prestata, fermo restando che la sua effettiva erogazione può essere impedita dal definitivo accertamento di una responsabilità del curatore medesimo alla stregua dell'art. 38 legge fall..

Cass. civ. n. 18916/2010

I decreti con cui il tribunale fallimentare concede o rifiuta gli acconti richiesti dal curatore sul compenso, sono espressione di un potere discrezionale ed intervengono in una fase processuale anteriore alla presentazione ed approvazione del conto, non assumendo, di conseguenza l'efficacia di cosa giudicata. Tali provvedimenti, pertanto, non possono pregiudicare la futura e definitiva decisione sul compenso dovuto (dopo la presentazione del rendiconto) cui corrisponde un diritto soggettivo del curatore, ragione per cui oltre a non essere ricorribili per Cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost., non possono essere soggetti a revocazione ai sensi dell'art. 397 c.p.c., non essendo qualificabili come "sentenze".

Cass. civ. n. 7946/2010

Nella procedura di amministrazione controllata, il termine perentorio di sessanta giorni per la proposizione del ricorso straordinario per cassazione avverso il decreto di liquidazione del compenso al commissario giudiziale decorre dalla comunicazione o notificazione agli interessati, eseguita dall'ufficio competente (non essendo necessaria la notifica del provvedimento ad istanza di parte, secondo la regola generale di cui all'art. 327 c.p.c., derogata eccezionalmente "in subiecta materia" per la specificità degli interessi tutelati e l'esigenza di celere definizione del procedimento), cui può dirsi equipollente soltanto la comunicazione, ad opera del cancelliere e sia pur "brevi manu", per presa visione del provvedimento, mentre il "dies a quo" non può essere in nessun caso individuato in relazione alla conoscenza di fatto del provvedimento stesso desunta "aliunde".

Cass. civ. n. 19230/2009

È affetto da carenza assoluta di motivazione, denunciabile con ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 Cost., il decreto con cui il tribunale fallimentare liquidi il compenso a due curatori succedutisi nel corso della procedura, calcolandolo sul complessivo ammontare dell'attivo realizzato, senza precisare l'ammontare dell'attivo realizzato da ciascuno di essi, e senza determinare, all'interno dei valori così identificati, l'esatta percentuale applicata tra il minimo e il massimo astrattamente previsti, sulla base dei criteri di cui agli artt. 1 e 2 del D.M. 28 luglio 1992, n. 570 (applicabile nella specie "ratione temporis"), i quali, anticipando il criterio di proporzionalità successivamente introdotto nell'art. 39 della legge fall. dall'art. 37 del D.L.vo 9 gennaio 2006, n. 5, mirano a temperare il criterio di cassa della realizzazione dell'attivo con quello di competenza, nei casi in cui il momento solutorio conseguente alla fase liquidatoria dei beni sia temporalmente ricadente nella gestione del curatore subentrato, pur essendo casualmente riferibile ad operazioni condotte dal curatore revocato.

Cass. civ. n. 26730/2007

Avverso il provvedimento, adottato dal tribunale fallimentare prima della chiusura della procedura, di liquidazione del compenso finale al cessato curatore ai sensi dell'art. 39 legge fallim. (nel testo previgente al D.L.vo n. 5 del 2006), è ammissibile il ricorso straordinario per cassazione, che va proposto secondo la disciplina generale di cui al penultimo comma dell'art. 111 Cost.; ne consegue che il termine di sessanta giorni di cui all'art. 325, secondo comma, c.p.c. — decorrente dalla data della comunicazione del provvedimento d'ufficio all'interessato — non subisce alcuna riduzione della metà, non applicandosi una regola che, nella materia concorsuale, è dettata dal legislatore solo con riguardo a specifici atti della procedura.

In tema di liquidazione del compenso al curatore cessato dalla carica prima della conclusione della procedura fallimentare, ai sensi dell'art. 39 legge fallim. (nel testo anteriore al D.L.vo n. 5 del 2006 che, riformulando la disposizione, non si applica ex art. 150 alle procedure pendenti alla sua entrata in vigore), il provvedimento adottabile in quella fase dal tribunale può avere per oggetto solo acconti, ma non il compenso definitivo, poichè il contributo di ciascun curatore ai risultati della procedura può valutarsi solo con le operazioni di chiusura della stessa, allorchè diviene possibile una disamina unitaria dei fatti rilevanti ai fini della liquidazione; ne consegue che anche il criterio di commisurazione del compenso all'attivo realizzato ed al passivo accertato, secondo il D.M. 28 luglio 1992, n. 570, non è decisivo per imputare a ciascun curatore rispettive quote individuate con esclusivo riferimento alla data di cessazione dalla carica, operando esso solo come criterio di valutazione e di limite e dovendo le posizioni dei predetti curatori essere esaminate come concorrenti ed in termini omogenei.

Cass. civ. n. 22380/2006

La riapertura del fallimento conseguente alla risoluzione del concordato fallimentare produce la reviviscenza dell'originario procedimento concorsuale e non un nuovo, autonomo procedimento; con la conseguenza che il compenso del curatore, richiamato in ufficio (artt. 121, secondo comma, n. 1, e 139 legge fallim.), è unico e riferito alla unitaria procedura.

Cass. civ. n. 17697/2006

Nel caso di avvicendamento di più curatori in seno alla medesima procedura fallimentare, la liquidazione definitiva del compenso spettante al curatore sostituito è possibile non solo dopo il rendiconto finale, in modo da ragguagliare il compenso ai dati certi dell'attivo realizzato, ma anche prima delle operazioni di chiusura della procedura, purché, da un lato, si tenga conto di tutti gli elementi previsti e, quindi, non soltanto del ricavato delle operazioni di liquidazione, ma anche della liquidità comunque acquisita dal curatore durante la sua gestione, nonché dell'attività dal medesimo svolta per l'inventario dei beni, se ed in quanto significativa; e, dall'altro, si adottino accorgimenti tali da assicurare che il compenso complessivamente liquidato ai curatori succedutisi non superi la percentuale massima prevista dalla relativa disciplina (con la conseguenza che ciascuno di detti curatori può ricevere un compenso inferiore alle percentuali minime, in considerazione dell'incompletezza dell'attività svolta). In tal caso, il provvedimento con il quale, prima delle operazioni di chiusura della procedura, venga liquidato il compenso al curatore sostituito, proprio in quanto avente il carattere della definitività, è impugnabile con ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 Cost.

Cass. civ. n. 2991/2006

Il termine di sessanta giorni per la proposizione del ricorso straordinario per cassazione avverso i provvedimenti definitivi di contenuto decisorio adottati dal tribunale fallimentare, e dunque anche avverso il decreto che pronuncia sul compenso dovuto al curatore, non decorre dalla data del deposito in cancelleria dei suddetti provvedimenti, bensì dalla data della comunicazione o notificazione d'ufficio di essi agli interessati, la quale deve essere eseguita esclusivamente dall'organo competente, ossia dal cancelliere (e dunque non dal curatore) e, proprio in quanto è funzionale alla individuazione del momento di decorrenza di un termine perentorio, non può trovare un equipollente nella conoscenza di fatto, aliunde acquisita, del provvedimento stesso.

Nel caso in cui il fallimento si chiuda con un concordato, il compenso al curatore - che è unico e corrisponde anche all'attività svolta dopo l'omologazione (avuto riguardo al compito del curatore di sorvegliare l'adempimento del concordato, unitamente al giudice delegato e al comitato dei creditori, ai sensi dell'art. 136 legge fall.) - va liquidato dopo l'esecuzione del concordato stesso (art. 39, comma secondo, legge fall.), secondo i criteri stabiliti dall'art. 2, comma 2, D.M. 28 luglio 1992, n. 570, che prefigura la possibilità di una valutazione riduttiva dell'opera del curatore rispetto al caso di chiusura del fallimento nei modi ordinari (in logica coerenza col fatto che il curatore, nell'ipotesi di concordato, è sollevato da una parte dei suoi compiti usuali, segnatamente in punto di liquidazione e distribuzione dell'attivo), nel senso che stabilisce che la percentuale sull'attivo, calcolata sull'ammontare di quanto con il concordato viene attribuito ai creditori, non può superare le misure massime previste dall'art. 1 dello stesso d.m., consentendo in tal modo che essa scenda, a seguito di apprezzamento discrezionale del tribunale, anche al di sotto della misura minima. (Nella fattispecie, la S.C. ha quindi cassato il decreto del tribunale, che aveva liquidato, superando i limiti massimi stabiliti dall'art. 2 D.M. cit., un secondo compenso al curatore per l'attività svolta quale «liquidatore» del concordato, qualifica estranea a qualsiasi previsione legislativa, ma attribuitagli dalla sentenza di omologazione in relazione, peraltro, non ad una attività di trasformazione in denaro dei beni residui, bensì al compito assegnatogli di provvedere, in via diretta ed in luogo degli assuntori, al pagamento di parte dei creditori tramite utilizzazione delle somme già a disposizione dell'amministrazione fallimentare e nei limiti delle medesime).

Cass. civ. n. 10353/2005

In tema di fallimento, il decreto di liquidazione del compenso al curatore deve essere specificamente motivato in ordine alle specifiche opzioni discrezionali adottate dal giudice di merito così come demandategli dall'art. 39 legge fall. e dalle norme regolamentari ivi richiamate (D.M. n. 570 del 1992), con conseguente nullità del decreto predetto (qualora lo stesso risulti del tutto privo di motivazione ovvero corredato di parte motiva soltanto apparente), denunciabile con ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 Cost. Peraltro, la motivazione può essere anche implicita, ossia integrata dal contenuto dell'istanza e dai relativi allegati, come nel caso in cui il decreto si limiti a correggerne l'erroneo riferimento alla non prevista percentuale di calcolo del compenso sullo scaglione superiore al miliardo di lire.

Cass. civ. n. 18996/2004

In tema di liquidazione del compenso al curatore del fallimento, le percentuali previste, con riguardo all'entità dell'attivo, dall'art. 1 del D.M. 28 luglio 1992 vanno applicate sull'attivo realizzato — inteso come liquidità rinvenute nel patrimonio del fallito, o derivate dalla vendita dei beni mobili e immobili, o riscosse dai debitori, o comunque acquisite alla massa attraverso azioni giudiziarie — e non sul valore di inventario dei beni.

Cass. civ. n. 10987/2004

Il decreto del tribunale fallimentare che, con riguardo a fallimento revocato, provvedendo sull'istanza del curatore di liquidare il suo compenso ponendolo a carico del creditore che aveva richiesto il fallimento ovvero a carico del fallito, respinga l'istanza senza curare che sia instaurato il contraddittorio nei confronti dei soggetti contro cui la domanda è rivolta, va cassato con rinvio perché il tribunale pronunci sulla domanda nel contraddittorio delle parti.

Cass. civ. n. 2760/2002

Giudice competente alla liquidazione del compenso al curatore, ai sensi dell'art. 39 della legge fallimentare, è il tribunale presso cui pende il fallimento, non rilevando la circostanza che il curatore sia stato nominato da altro tribunale, posto che la procedura fallimentare è unica. (Nella specie il curatore, nominato dal Tribunale di Foggia, aveva presentato istanza di liquidazione del compenso al Tribunale di Napoli, presso cui pendeva il fallimento, essendo la procedura aperta a Foggia traslata a Napoli a seguito di pronuncia sulla competenza della Corte di cassazione, con le attività acquisite e gli atti processuali compiuti; enunciando il principio di cui in massima, la Suprema Corte ha ritenuto il Tribunale di Napoli competente alla liquidazione del compenso).

Cass. civ. n. 15298/2000

Qualora il decreto del giudice delegato, liquidativo del compenso per attività professionale svolta nell'ambito della procedura concorsuale, venga impugnato dall'interessato con reclamo al tribunale fallimentare (art. 26 del R.D. 16 marzo 1942, n. 267), per ottenere una maggiorazione del quantum, deve riconoscersi a detto tribunale il potere-dovere di ridurre la liquidazione, se ritenuta non rispondente a corretti criteri, e di condannare di conseguenza il professionista al rimborso di quanto riscosso in eccedenza, considerato che quel reclamo apre un procedimento di tipo inquisitorio, nel quale il tribunale, nell'esercizio delle proprie funzioni di controllo sull'operato del giudice delegato, non è vincolato alle richieste delle parti.

Cass. civ. n. 737/1999

Come emerge dagli artt. 39 L. fall. e 6 del D.M. n. 570 del 1992, al liquidatore giudiziale del concordato preventivo possono essere accordati acconti sul compenso per «giustificati motivi» e sulla base «di risultati ottenuti e dell'attività prestata»; acconti che sono, dunque, correlati ad attività già svolta (o almeno da svolgere nell'immediatezza) e, comunque, proprio perché commisurati ad un fatto o ad un'attività già avvenuti (o di imminente realizzazione), assumono il connotato di definitività della loro attribuzione. Ne consegue che su gli stessi non può essere operata la rivalutazione, costituendo connotato fondamentale di questa l'adeguamento monetario all'attualità di una somma che si verserà in un momento successivo a quello nel quale, invece, avrebbe dovuto essere versata, laddove è, al contrario, previsto che l'acconto debba essere corrisposto in data anteriore a quella di liquidazione finale del compenso.

Cass. civ. n. 12398/1992

Il principio per cui, in caso di conflitto d'interessi tra rappresentante in giudizio e rappresentato, va nominato a quest'ultimo un curatore speciale, ha validità generale e comprende tutti i casi in cui vi sia un contrasto tra un centro autonomo d'interessi, ancorché non dotato di personalità giuridica ed il suo rappresentante, sicché esso si applica anche quando il conflitto sorga tra il fallimento ed il suo curatore, in ordine alla misura del compenso di questi. Ne consegue che il curatore, ove intenda impugnare per cassazione il provvedimento di liquidazione del proprio compenso, deve richiedere previamente al primo presidente della Corte di cassazione — non al giudice delegato, né al tribunale fallimentare — la nomina di un curatore speciale del fallimento, nei cui confronti va proposto il ricorso.

Cass. civ. n. 1504/1991

Il curatore del fallimento, il quale, residente in un luogo compreso nel circondario, ma diverso dal capoluogo in cui vi è la sede del tribunale fallimentare, si rechi, a motivo del suo ufficio, presso detto tribunale o in altri luoghi di quel circondario, non ha diritto al trattamento di «missione», di cui al secondo comma, ultima parte, dell'art. 4 D.M. 27 novembre 1976 (trattamento fatto agli impiegati dello Stato con qualifica corrispondente all'ex grado quinto), atteso che tale norma va correlata all'obbligo del curatore di fissare la residenza nell'ambito del circondario del tribunale, di modo che la missione resta configurabile solo all'infuori di questo ambito.

Cass. civ. n. 1650/1990

Il diritto del curatore del fallimento ad essere compensato per l'attività svolta ha contenuto patrimoniale e natura non personale, non rientrando fra le posizioni soggettive esercitabili soltanto dal titolare. Ne consegue che al creditore del curatore deve riconoscersi la facoltà, in via surrogatoria (art. 2900 c.c.), di chiedere al tribunale fallimentare la liquidazione di detto compenso, salva restando ogni questione sulla spettanza e l'ammontare del medesimo (nella specie, in relazione al fatto che il curatore era stato revocato nel corso della procedura concorsuale).

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LUIGI T. M. chiede
mercoledì 04/11/2015 - Veneto
“L'art. 39 della L. Fall. (come integrato dal D.Lgs del 9/1/2006 n. 5) rappresenta una deroga alla regola generale prevista all'art. 2956 punto 2) del codice civile? Cioè il curatore dimissionario può presentare istanza di liquidazione del proprio compenso per l'opera svolta durante l'incarico, al termine della procedura senza il timore di applicabilità dell'art. 2956 c.c.?”
Consulenza legale i 10/11/2015
Anche se il curatore cessa dalle funzioni prima della chiusura delle operazioni di fallimento, il compenso viene comunque liquidato al termine della procedura, tenuto conto dell'opera prestata e in applicazione dei criteri di cui all'articolo 39, comma 3, della legge fallimentare, così come modificato dal d.lgs. 5/2006 ("Se nell’incarico si sono succeduti più curatori, il compenso è stabilito secondo criteri di proporzionalità ed è liquidato, in ogni caso, al termine della procedura, salvi eventuali acconti").

La giurisprudenza pre-riforma aveva già stabilito che doveva ritenersi improponibile la domanda di liquidazione del compenso formulata dal curatore dimissionario prima della chiusura del fallimento, poiché tale compenso non poteva essere liquidato in via definitiva prima che la procedura concorsuale fosse giunta a compimento (Cass., Sezioni Unite, 19.12.2007, n. 26730).

La legge stabilisce oggi espressamente che la chiusura del fallimento è il momento prima del quale non si può liquidare l'attività del curatore, ma al più corrispondergli degli acconti.
Ne discende che fino al termine della procedura non vi può essere prescrizione del diritto del curatore a chiedere la liquidazione del proprio compenso.

Se, invece, dopo la chiusura del fallimento, il curatore omette di chiedere la liquidazione per alcuni anni, può porsi il problema della prescrizione del diritto alla riscossione del credito.

Tuttavia, è dubbio che possa farsi applicazione dell'art. 2956 c.c.: esso regola infatti una ipotesi di prescrizione presuntiva, la cui specifica peculiarità è quella di determinare non già l'estinzione dell'obbligazione, ma la presunzione iuris tantum che il debito sia stato pagato, peraltro soggetta a prova contraria (giuramento decisorio).
Ma se il curatore non ha nemmeno presentato l'istanza di liquidazione, quindi il suo credito è illiquido, come può eccepirsi che egli sia già stato pagato? Ed inoltre, a chi sarebbe deferito il giuramento?
Ci troviamo, con tutta evidenza, dinnanzi ad un caso particolare di credito professionale, che scaturisce da una procedura pubblica, la quale prevede alcune "tappe" da seguire, in primis la liquidazione, ad opera del Tribunale, del compenso secondo il tariffario stabilito con decreto ministeriale.

Inoltre, anche la ratio dell'istituto della prescrizione presuntiva non sembra invocabile nel caso di specie: ivi, la legge, nel prevedere che alcuni pagamenti si presumano effettuati, fa riferimento a quei rapporti della vita quotidiana per i quali il pagamento avviene di solito senza dilazione e senza rilascio di quietanza scritta.
Nella fattispecie in esame, invece, il pagamento al curatore è a carico della procedura e deve essere effettuato secondo certe modalità, non rientrando certo nel novero di quei rapporti privi di ogni formalismo, che stanno alla base invece delle norme sulle prescrizioni presuntive.

Sembra più corretto, quindi, applicare al diritto del curatore di chiedere la liquidazione del compenso l'ordinaria prescrizione decennale.